Graziella De Palo

Cala la sera di sabato 16 giugno su Amalfi, dopo una splendida e calda giornata, già estiva. Sul sagrato della cattedrale Sant’Andrea, ai piedi della lunga scalinata, fervono i preparativi di un  piccolo palco improvvisato, dedicato all’edizione 2012 di incostieraamalfitana.it, fra gli undici comuni della Costa d’Amalfi, da Vietri sul mare ad Agerola, la Festa del Libro in Mediterraneo con quindici autori in concorso. L’intera manifestazione di quest’anno, la sesta,  è dedicata a Melissa Bassi, la studentessa uccisa dalla bomba esplosa il 19 maggio scorso a Brindisi.

Due giovani jazzisti introducono e chiudono una delle cinque serate speciali, dedicate al premio “Uomo/donna del mio tempo”, che l’altro sabato è stato consegnato a Minori al col. Vincenzo Lauro, portavoce del contingente militare italiano in Afghanistan e che il 14 luglio verrà consegnato, tra gli altri, anche al magistrato Antonino Ingroia. Il lungo percorso si concluderà il 15 luglio a Cetara con la prima fiera dell’editoria in riva al mare.  L’ideatore di questa bella iniziativa, il direttore Alfonso Bottone, spiega dal palco che “questa serata è dedicata a un personaggio che probabilmente è scomparso dalla nostra memoria: il personaggio si chiama Graziella De Palo. Graziella De Palo era una reporter italiana, che faceva il suo mestiere, il suo lavoro e che nel 1980 fu ammazzata in Libano insieme al suo collega Italo Toni. Stasera ripercorreremo quella brutta storia, probabilmente la ripercorreremo attraverso i Misteri d’Italia con il fratello Giancarlo De Palo, la ripercorreremo con il cugino Nicola De Palo, che è autore di un libro che è appena uscito, “Omicidio di Stato”, Armando Curcio Editore. e la ripercorreremo perché insieme a loro ci sarà un collega, un amico, che io reputo uno dei migliori direttori di giornale che noi abbiamo, Angelo Di Marino, direttore de “La Città” di Salerno.

Ma prima Alfonso Bottone chiama sul palco il padrone di casa,  l’assessore al turismo e alla cultura del comune di Amalfi, Daniele Milano : “E’ la prima volta – spiega l’assessore –  che il comune di Amalfi partecipa alla rassegna ..incostieraamalfitana.it , l’abbiamo fatto con piacere perché è una manifestazione che abbraccia tutto il comprensorio della Costa d’Amalfi, che ha lanciato da pochi mesi una sfida impegnativa, quella di candidata a Capitale europea della Cultura per il 2019, assieme ad altre città importanti  della nostra nazione. A ognuno di voi per quest’esperimento di presentazione di libri a  piazza Duomo il piacere di potersi anche sedere sulle scale della cattedrale, o semplicemente in uno dei tavolini dei bar della piazza.”

Quindi tocca a noi tre andare a riempire i posti al tavolino, avendo come pubblico più attento proprio quello che si è sistemato sopra di noi sulla scalinata del Duomo, Duomo che stasera è il testimone d’eccezione di quest’odissea senza Itaca alla ricerca in primo luogo dell’impossibile salvezza della Vita di due vittime dell’efferatezza del terrorismo palestinese, e in subordine dell’altro valore predicato da Gesù, costituito dalla Verità, cui l’opera prima “Omicidio di stato” è consacrata.

“E’ sempre emozionante – introduce il direttore Angelo Di Marino – venire ad Amalfi, soprattutto è davvero unico uno scenario come questo, che ci vede parlare sul sagrato del Duomo. Questa sera parleremo sicuramente di un libro, ma soprattutto  di una storia, una storia che l’Italia non conosce, almeno non conosceva e non conosce del tutto… Parlo della storia di due giornalisti, Graziella De Palo e Italo Toni, che facevano il loro lavoro con lo scrupolo, a caccia di notizie, come credo sia dovere, ovviamente unico vero scopo della nostra professione, evidentemente lo avevano fatto talmente bene che hanno pagato con la vita. I fatti risalgono al 1980. Sono due giornalisti – in particolare Italo Toni inviato di una certa esperienza, e la giovane Graziella De Palo, giovane ma già molto  avanti col mestiere – particolarmente arguti e scrivono tra l’altro di vicende che adesso ci spiegherà Nicola De Palo e che scaturiranno in quello che è poi il titolo del libro, “Omicidio di Stato”. Graziella e Italo partono nell’agosto del 1980 per Beirut: da quel viaggio di lavoro, un viaggio proprio a caccia di notizie,  di ulteriori approfondimenti, da quel viaggio non sono mai più tornati. Ecco, io vorrei partire con Nicola De Palo, l’autore del libro “Omicidio di Stato”, cugino di Graziella: io l’ho definita una storia non raccontata. Sicuramente questo libro ci aiuterà moltissimo a farcela vivere, a farcela capire. Però nella prefazione di Gian Paolo Pelizzaro ci sono dei messaggi che forse già ci fanno capire la storia e quello che è accaduto in quegli anni, in quei momenti, perché parliamo di  fari spenti: una realtà che non è mai sta fatta venire alla luce, un Mistero d’Italia, un Mistero d’Italia che va svelato.”

“E’ una vicenda – esordisce Nicola De Palo –  che ancora oggi è coperta dal segreto di Stato. Nel1984 l’allora presidente del consiglio Bettino Craxi decretò il segreto di Stato invocato dal colonnello Stefano Giovannone. Una storia che sembra una spy story, drammaticamente incredibile, ma assolutamente vera.

I due giornalisti senz’altro erano persone “scomode”, erano persone che nel loro operare, nel loro far cronaca per difendere gli interessi soprattutto delle popolazioni più deboli del mondo, quelle che erano vittime nei conflitti, non avevano timore di mettere anche a repentaglio la propria vita. In particolare Graziella, molto giovane, aveva una vasta conoscenza di tutti quei meccanismi che avevano invischiato proprio la nostra industria bellica italiana nei confronti di tutti quei paesi antidemocratici, illiberali dove vigevano quei regimi totalitari, che oggi definiremmo Stati-canaglia. Ebbene, l’Italia era ai primi posti nella fornitura di armi verso questi paesi. E’ un meccanismo perverso che Graziella aveva descritto nel corso dei suoi articoli su “Paese Sera” e su “L’Astrolabio”, che contenevano denunce molto precise e dettagliate. Ad esempio Graziella aveva spiegato come coloro che dovevano essere controllori di questo mercato delle armi – ex generali, ammiragli dello Stato maggiore – una volta che erano arrivati al congedo passavano da un giorno all’altro nei consigli d’amministrazione delle industrie belliche, quindi passavano così d’emblais dal ruolo di controllori al ruolo di controllati. Questo meccanismo per la fornitura di armi era molto ben congegnato, perché all’interno di queste commissioni sedevano rappresentanti del Ministero degli Affari esteri e dei servizi segreti, che andavano praticamente a dare l’avallo alla consegna delle armi italiane a questi paesi. Il meccanismo perverso era che con un gioco di triangolazioni queste partite di armi,  armi che venivano dall’industria di Stato, quindi dall’Iri, dalla Breda. dalla Finmeccanica, in breve tempo venivano dirottate appunto verso il Medioriente e tutti i paesi del Corno d’Africa, i paesi del Sud America: dove c’erano dittatori, dove c’erano personaggi scomodi, ecco che noi facevamo affari.

La cosa ancora più imquietante è che l’industria bellica italiana lavorava in particolar modo su brevetto statunitense. Cosicché le armi che gli USA non potevano vendere direttamente, con questo meccanismo, si imbarcavano magari su navi francesi aLa Speziaper giungere poi alla destinazione finale “coperta”. Ci guadagnavamo noi, ci guadagnavano gli americani, e tutti erano abbastanza contenti.”

“Ecco – riprende la parola il moderatore –  io vorrei partire un po’ dall’inizio della storia che già Nicola De Palo ci ha sunteggiato dandocene le connotazioni più importanti; con Giancarlo De Palo vorrei un ricordo di quel giorno, di quel viaggio a Beirut, ecco, vissuto da un fratello: il viaggio è lungo, l’aereo come andrà, avrà problemi per spostare i soldi, più o meno soldi…  Che ricordo hai di quei giorni che coincidono con quel viaggio?

“E’ un ricordo drammatico – rispondo emozionato – , perché pochi giorni prima della sua partenza per il Libano, il 2 agosto 1980, scoppiò la bomba alla Stazione di Bologna, una ventina di giorni prima che lei partisse.  Quasi subito si parlò di una pista libanese che portava agli attentatori della strage di Bologna e questo mi mise in urto con mia sorella perchè ebbi il presentimento atroce che non l’avrei mai più rivista, che avrebbe indagato anche su questo e che cose che già andavano male, sarebbero andate malissimo, in quanto io non avevo nessuna fiducia nell’ospitalità che le dava l’Organizzazione perla Liberazionedella Palestina, che sovvenzionava questo viaggio; fu dunque qualcosa che mi sconvolse, quindi ci lasciammo male e questi ricordi finali sono pessimi…

“Quasi un presentimento – riprende la parola Angelo Di Marino – di quello che poi sarebbe accaduto… il libro lo spiega benissimo, ed è scritto in maniera tale che davvero diventa un documento. Il viaggio a Beirut sembrava però una tappa di lavoro come tante altre.. dunque…”

“Italo Toni era molto vicino al mondo palestinese – risponde Nicola De Palo -, erano due giornalisti che si spendevano molto per la causa palestinese nelle sue rivendicazioni anche legittime, ad esempio Italo aveva fatto uno scoop nel 1969 per “Paris Match”, documentando i primi campi d’addestramento dei feddayn in Giordania, era un giornalista molto ferrato, sempre pronto a stare sulla notizia, sempre pronto ad avere la valigia in mano per partire per quei luoghi caldi.

Graziella aveva intervistato poco prima di partire Nemer Hammad, che era il rappresentante a Roma dell’Organizzazione perla Liderazionedella Palestina. L’OLP in  Italia era pienamente riconosciuta, c’era il pieno appoggio da parte delle istituzioni a tutti quegli organi che potevano dare forza a questi movimenti. Ma la cosa che saltò fuori poi in seguito è che non solamente davamo il peno appoggio alle rappresentanze diplomatiche, ma sul suolo italiano circolavano liberamente anche i terroristi del Fronte Popolare perla Liberazionedella Palestina, che andava a  compiere attentati in tutta Europa, andava a fare dirottamenti. Sicuramente tutti si ricordano nel ’72 l’attacco di Settembre Nero alle Olimpiadi di Monaco, ebbene in seguito alla scomparsa di Graziella e di Italo ormai è storicamente provata questa connivenza tra agenti segreti e terroristi, sancita dal patto Moro-Giovannone, un patto secondo il quale noi consentivamo alle frange più estreme del terrorismo palestinese di circolare liberamente, scorazzare con armi, in giro per l’Italia, col solo impegno di non colpire imprese, interessi e cittadini italiani.

“Ecco – riprende il direttore de “La Città” -, Nicola ha citato il colonnello Stefano Giovannone, che nella storia compare spesso, io dico troppo spesso. Fra l’altro il colonnello Giovannone conosce il padre di Graziella, perchè hanno fatto il corso di allievi ufficiali insieme nei carabinieri e c’è un punto, e vorrei che Giancarlo ce lo raccontasse, in cui questo colonnello si fa intermediario rispetto soprattutto ai momenti tragici, drammatici del rapimento, ecco ci fu addirittura una specie di silenzio stampa che poi dopo si scoprì era una manovra voluta… carpendo la buona fede…”

“Sì – rispondo -, il colonnello Giovannone era la persona sulla quale Graziella indagava e di cui aveva denunciato i loschi traffici, sulla base delle informazioni che riceveva dall’ex presidente della commissione Difesa della Camera Falco Accame e come certe volte succede proprio la persona che doveva essere la prima delle sospettate fa in modo di diventare il deus ex machina delle ricerche, del ritrovamento, delle presunte trattative per la liberazione della giornalista. Noi ovviamente, sì. fin dall’inizio chiedemmo alla stampa il massimo riserbo, come si fa in tutti i casi di rapimento, questo è logico. Ben presto però si cominciò a dire: “ah, ma nella peggiore delle ipotesi sono prigionieri”, quasi che fossero scomparsi di loro volontà, tanto erano filopalestinesi! C’era questo ammiccamento continuo che dovevamo stare tranquili, dovevamo stare tranquilli… Intanto notizie precise non ci venivano date, l’OLP forniva rassicurazioni generiche e infondate e ben presto venne fuori che della vicenda si occupavano i servizi segreti. A questo punto io sentii il bisogno, in cambio di questo silenzio stampa che stavamo garantendo, di avere delle informazioni precise io e di raccoglierle e registrarle, in modo che, se i sospetti che avevo si fossero rivelati fondati, poterle in un secondo momento pubblicare, denunciare, come poi abbiamo cercato di fare con l’inchiesta giudiziaria che si è basata su questo materiale che abbiamo consegnato alla procura della Repubblica di Roma.

Quindi specialmente quando vidi che lo stesso presidente della Repubblica Sandro Pertini, che ci ricevette moltissime volte, ci era molto vicino, ma era tenuto all’oscuro pressoché di tutto, io mi recai a casa del colonnello Giovannone: questo avvenne alla fine di novembre. La prima volta egli si presentò con una grande autorevolezza, mi disse di essere l’unica persona nel campo occidentale che poteva fare quello che stava facendo, mi parlò di uno scenario, che era necessario, in modo che non venissero individuati i veri responsabili, ragion per cui tutta questa pista falangista, tutto sembrava avere un senso, sì, si è creata una falsa pista, ma è per ottenere la libertà di Graziella salvando la reputazione dei suoi rapitori.

Tutto sembrava ancora avere un senso: rispetto alla Veritàla Vita, la salvezza di una vita umana ha la precedenza, tanto più che si parlava di Graziella viva e Italo morto: quindi e a maggior ragione c’era anche in qualche modo da… non indagare su un omicidio per salvare una persona ancora viva.

Queste erano le prime notizie che dava il colonnello Giovannone. Mano a mano che le cose andarono avanti emergevano enormi contraddizioni nelle cose che mi diceva e soprattutto questa liberazione che veniva sempre data per imminente non avveniva mai. Il colonnello Giovannone aveva allertato il Ministero degli Esteri e i suoi superiori al SISMI, dando per imminente la liberazione di Graziella, facendo partire un aereo militare per il Libano, destinato a prenderla in  consegna e a rimpatriarla. Per due volte ci fu una moratoria, moratoria che coinvolse anche il nostro ambasciatore in Libano, il quale venne sospeso in deroga al suo dovere d’istituto  da ogni indagine perché la liberazione veniva data come imminente, da un giorno all’altro. Tutto questo non è avvenuto, col passare dei mesi le promesse del colonnello Giovannone si facevano sempre più generiche, finché si è giunti alla rottura dei nostri rapporti, perché ovviamente non potevamo stare a un gioco infinito: il gioco aveva un senso fino a quando questo silenzio stampa e questo non indagare sui colpevoli fosse servito a liberare Graziella: nel momento in cui Graziella non veniva liberata, chiaramente noi volevamo sapere la verità; volevamo e vogliamo sapere la verità.”

“Ecco – riprende il nostro moderatore -, guardiamo però anche il contesto generale in cui si inserisce la storia. Che Paese è in quel momento l’Italia? – Il mese prima stava vivendo come già ricordato la tragedia di Bologna, la bomba che fece saltare in  aria la stazione, le enormi tensioni sociali che c’erano in quel periodo, gli anni di piombo del terrorismo, due anni prima era stato ucciso Moro e soprattutto c’era da registrare un’altissima tensione anche nel quadro internazionale e da qui anche i rapporti dell’Italia con il mondo arabo, una ragnatela nella quale l’Italia che ruolo ha giocato, quello del ragno o quello della mosca?”

“Io credo più il ruolo del ragno – risponde l’autore di “Omicidio di Stato” -, perché in quegli anni la politica energetica italiana, come già ancora prima, dai tempi di Enrico Mattei, era legata a doppio filo proprio con i paesi dell’OPEC produttori di petrolio;  dovevamo dipendere in tutto e per tutto dai paesi arabi.”

“Immaginare una storia del genere con tutti questi risvolti è come guardare un film o leggere una spy story – continua Angelo Di Marino -, eppure è tutto vero, non solo è tutto vero, ma è tutto documentato. Piccolo particolare, il segreto di Stato, qui ci ritorno a bomba: e vorrei ancora chiederlo a Nicola, ecco trentadue anni di segreto di Stato: perché, che senso ha soprattutto?

“Credo che il patto Moro-Giovannone, l’ammettere da parte delle nostre istituzioni di essere scese a patti con i terroristi, un pochino come il famoso accordo con la mafia di cui tanto si parla oggi, ecco forse questo è stato un qualcosa di ancora più terribile e successo ancora prima. Il segreto di Stato fu apposto nel 1984, perché erano stati incriminati dalla procura della Repubblica George Habbash del Fronte Popolare perla Liberazionedella Palestina,  il colonnello Stefano Giovannone e il generale Giuseppe Santovito, cioè i vertici dei nostri servizi segreti. Tra le altre cose, quasi tutti i protagonisti della vicenda risulteranno nel marzo 1981 iscritti alla Loggia massonica P2 di Licio Gelli.

Una catena di regia decideva quali fossero gli affari più lucrosi per garantire all’Italia le commesse di armi.

I De Palo sono riusciti dopo un mucchio di insistenze e di peripezie legali ad ottenere prima in visione 1240 documenti in una sede  dei servizi segreti militari, ma la cosa incredibile è che non potevano fotocopiarli, ma soltanto trascriverli. Il fratello minore di Graziella, Fabio, è allora ricorso al TAR contro il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, riuscendo ad ottenere finalmente copia della maggior parte dei documenti desecretati, nei quali sono stati apposti omissis, che nascondono e proteggono nomi dei protagonisti politici e di quelli legati appunto alla Loggia massonica P2. Io credo quindi che la verità storicamente si possa provare, ma dal punto di vista giuridico non credo che ci saranno molte possibilità di riaprire l’inchiesta giudiziaria.

“Ecco – riprende la parola il direttore de “La Città” -, dall’autore del libro la ricostruzione dei fatti. La politica entra più volte in questa storia, ed entrano anche dei politici, ne cito uno: Giulio Andeotti, lo incontrate, cìoé avete anche un colloquio molto diretto con lui, poi Andreotti, all’epoca Presidente della commissione Esteri della Camera, credo sia scomparso… Poi colloqui con Alfredo Biondi, all’epoca liberale, poi diventato Ministro guardasigilli molti anni dopo… il mondo della politica era realmente attento a quello che stava accadendo a Graziella e a Italo in quei momenti difficili oppure sembravano più parole di comodo?”

“Dunque – rispondo -, l’aspetto più preoccupante era che  le informazioni erano in mano agli apparati dello Stato, cioè a quei funzionari che gestivano… un nome fra tutti, il segretario generale del Ministero degli Esteri Francesco Malfatti di Montetretto; è un altro deus ex machina di questa vicenda: nella sua posizione di segretario della Farnesina è anche membro di diritto del CESIS, l’organismo che coordinava i servizi segreti.

E’ lui che di fatto estromette l’ambasciatore D’Andrea dall’inchiesta: l’ambasciatore D’Andrea era giunto quasi immediatamente ad accertare le responsabilità dell’Organizzazione perla Liberazionedella Palestina nel sequestro e nell’omicidio di Graziella e di Italo, e viene non solo estromesso dall’indagine ma trasferito a Copenhagen. Al suo posto l’inchiesta viene affidata al colonnello del SISMI Stefano Giovannone, che come abbiamo visto era la persona sui cui traffici illeciti Graziella indagava. Quanto ai politici, oltre all’incapacità di penetrare le cose, emergono poi delle contraddizioni clamorose: ancora scottati dalla morte di Moro, per la cui liberazione non si era voluto trattare, vediamo invece che per Graziella e Italo si tratta ad oltranza, senza nessuna remora, senza nessuna vergogna, si tratta con i terroristi. Lo stesso Umberto Vattani, segretario particolare del presidente del consiglio Arnaldo Forlani, un altro di questi funzionari che poi non a caso prenderà il posto di Francesco Malfatti di Montetretto alla segreteria generale del Ministero degli Esteri, restando in carica tanto sotto il Governo Prodi quanto sotto il Governo Berlusconi, Vattani disse: “per nessuno è stato fatto questo, non è stato fatto per Moro!”

Perché Giovannone parlava di trattative e lo Stato italiano assecondava e favoriva queste trattative, quindi i politici da una parte avevano dato via libera ad esse, dall’altra non coglievano, o meglio fingevano di non cogliere delle contraddizioni, che erano enormi, si bevevano delle fesserie clamorose che venivano dai servizi segreti e soprattutto quando noi abbiamo cominciato a denunciare queste contraddizioni, a denunciare il fatto che i servizi segreti erano diventati complici dei terroristi palestinesi che avevano eliminato Graziella ed Italo, i nostri politici hanno fatto tutt’altro: noi denunciavamo il SISMI con documenti scritti e le nostre denunce arrivavano proprio al SISMI, ora AISE, dove le abbiamo recentemente rinvenute! Identico il comportamento del solito Giulio Andreotti.”

“Credo che più chiaro di così sia difficile… Tra l’altro, Graziella e Italo avevano detto alla nostra ambasciata dove stavano andando quel giorno, quali sarebbero stati i loro spostamenti. Più chiaro di così!”

“All’inizio – spiega Nicola De Palo – nei primi giorni a Beirut, accompagnati da Al Fatah, li vediamo compere i classici giri quasi turistici riservati agli ospiti della resistenza palestinese, ma Italo comincia a stufarsi, comincia a indispettirsi  e a scalpitare, perché insomma un giornalista come lui che viene portato a destra e a sinistra a vedere… lui che era stato con i guerriglieri al fronte giordano! E’ allora che, perdendo la protezione di Al Fatah anche in seguito ad una lite, viene indirizzato al Fronte Democratico di Nayef Hawatmeh. I due, Graziella e Italo, il primo di Settembre, si recano all’ambasciata italiana perché capiscono che qualcosa non va per il verso giusto: non c’è l’ambasciatore D’Andrea, li riceve il primo consigliere Guido Tonini. Graziella e Italo spiegano che partiranno l’indomani per il Sud Libano con il Fronte Democratico, ma chiedono di essere cercati se entro tre giorni non si rifaranno vivi.

Ma quando i due spariscono, nessuno pensa più a quella drammatica e disperata visita in ambasciata, non si ricorda.

L’ambasciatore D’Andrea a ottobre aveva mandato un telex riservato, segretissimo al segretario generale Francesco Malfatti Di Montetretto in cui si diceva in grado di indicare i nomi dei componenti il commando palestinese che aveva rapito i due giornalisti. Quando i familiari De Palo e Toni si rivolgono al Ministero degli Esteri, parlano con Forlani, parlano con Santovito, parlano con tutti,  ricevono delle notizie che non sono quelle dell’ambasciatore D’Andrea. L’ambasciatore D’Andrea è la massima carica istituzionale in Libano, ma non viene comunicato ai familiari quello che D’Andrea ha detto, e  si racconta loro che i due sono stati rapiti dai falangisti, cioè dalla parte avversa ai palestinesi…”

“Lo disse anche Arafat!”, osserva l’attento moderatore.

“Assolutamente – riprende l’autore di “Omicidio di Stato -, perché dopo mille insistenze Giancarlo e sua mamma Renata partono per Damasco, riescono ad incontrare Arafat, e Arafat anche lui dice: ‘state tranquilli, Graziella è viva, è prigioniera dei maroniti, dei falangisti, stiamo cercando di trattare per la loro liberazione, siamo pronti a ricevere mille angherie, l’importante è riuscire a salvare la vita di Graziella’. Così disse Arafat, che pure sapeva benissimo che Graziella ormai non era più tra noi.”

“Ecco Giancarlo – conclude Angelo Di Marino -, questa è una storia aperta, non c’è un vero e proprio dopo, c’è un ancora… quanto costa in termini ovviamente anche di emotività la ricerca della verità, in una storia come questa?”

“Mi dispiace dirlo perché io sono parte in causa, ma è un prezzo infinito, qualcosa che non ha prezzo – rispondo -. Noi adesso un  prezzo l’abbiamo chiesto, abbiamo…  abbiamo chiesto di essere riconosciuti come vittime del terrorismo per ottenere un risarcimento. Io ho rotto con tante persone: molti miei amici ritenevano che io sbagliassi a immergermi nella tragedia di mia sorella, che dovessi metterci una pietra sopra e ricominciare la mia vita da zero. In realtà io ho fatto la mia scelta, scelta obbligata, però il prezzo è infinito, questo fatto appunto che come dicevi tu non c’è un poi, non c’è un post quem e un ante quem; per me ci fu solo un giuramento: sarà sempre il 2 Settembre 1980, perché era un gioco a negare… siamo arrivati addirittura all’oblìo dei nomi, se non fosse adesso per Gianni  Alemanno che ha riabilitato la loro memoria con un convegno internazionale per non dimenticare Graziella e Italo ed il loro sacrificio, e la dedica dei due viali a Villa Gordiani a Roma, saremmo arrivati all’oblìo dei nomi di queste due persone: “Reporter Sans Frontières”, nonostante la mia segnalazione, non li annovera tra i giornalisti scomparsi nel mondo, rapiti: siccome sono “scomparsi” non sono né vivi né morti, e quindi non risultano neanche fra i nominativi dei giornalisti vittime del terrorismo.”
Intanto ogni quarto d’ora c’è stato il rintocco delle campane, e rintocco dopo rintocco si avvicina la mezzanotte, sta per cominciare domenica 17 giugno, giorno nel quale Graziella avrebbe compiuto 56 anni. Il nostro dibattito si è concluso, e Alfonso Bottone lascia la parola all’assessore Daniele Milano, che mi consegna un regalo di compleanno postumo per Graziella, la vivace targa in ceramica di Vietri dedicata alla “Donna del mio tempo/Giornalista di frontiera”, a quasi tre anni dal primo riconoscimento ottenuto con il Premio Antonio Russo come inviata di guerra. Lo ringrazio della solidarietà che mi viene da un  politico, da qualcuno cioè che deve rompere il muro di omertà creato su questa tragica vicenda dalla sua stessa categoria. Sulla scia di quanto hanno  fatto per primi i Sindaci di Sassoferrato e di Roma Capitale. E in attesa che a muoversi sia finalmente il primo cittadino italiano, Giorgio Napolitano, che ha il dovere morale di riparare al più presto ad uno sconcio simile, senza continuare a nascondersi dietro un dito.

Giancarlo De Palo