“Escludo che sia stato pagato un riscatto. l’Italia non paga riscatti”.

Con queste parole il 21 giugno scorso il ministro degli Esteri, Giulio Terzi rispondeva a chi gli domandava del rilascio di Bruno Pelizzari e Deborah Calitz.

Il primo un italo-sudafricano e la seconda sudafricana erano stati tenuti prigionieri in Somalia per quasi 20 mesi.

Ebbene a quanto pare sarebbero stati invece, pagati 700 mila dollari per il rilascio di Bruno Pelizzari e Deborah Calitz.

I due turisti-velisti erano stati catturati il 26 ottobre del 2010 al largo della costa della Tanzania dai pirati somali.

Al momento della cattura erano a bordo dello yacht ‘Choizil’ preso a nolo insieme  allo skipper inglese, Peter Eldridge.

Quest’ultimo,  nel corso del dirottamento, riuscì a scappare. Eldridge venne poi, recuperato  da una nave da guerra francese, la ‘FS Floreal’ della forza navale europea, che  seguiva a breve distanza lo Yacht sequestrato.

L’imbarcazione  venne poi, dirottata verso le coste Somale.

I due  ostaggi dovrebbero essere stati tenuti prigionieri a terra in qualche luogo  remoto del territorio somalo  a nord di  Mogadiscio in quanto, dopo il sequestro, vennero sbarcati e lo yacht  abbandonato.

Probabilmente  il Pelizzari e la Calitz sono passati di mano, venduti o scambiati, almeno un  paio di volte durante la prigionia.

Per il rilascio  di Bruno e Debbie  era stato  inizialmente chiesto alle loro famiglie in  Sudafrica 10 mln di dollari poi, di fronte al fatto che  queste non erano in grado di pagare una cifra  così alta

si erano  detti disposti ad accettare 500mila dollari per poi, di nuovo alzare la posta a  4 mln di dollari.

Delle trattative e della raccolta fondi si era occupata  principalmente una delle 5 sorelle di Bruno, Vera Hect. Questo anche in seguito  al fatto che le  autorità di Johannesburg come tante altre, almeno ufficialmente, si sono fin  dall’inizio  dichiarate non disposte a  trattare con i pirati somali ne tantomeno a pagare un riscatto.

In un recente contatto Vera aveva  riferito di essere riuscita a mettere insieme attraverso donazioni di privati solo  200 mila dollari.

Ufficialmente  il 21 giugno scorso il loro rilascio era stato  presentato, sia dalle autorità italiane sia somale, come un successo delle
forze di sicurezza somale che avevano compiuto un blitz militare riuscendo a  liberare i due turisti velisti prigionieri in Somalia.

Quel giorno il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, in  merito alla liberazione aveva affermato: “Desidero ringraziare tutte le
Istituzioni che grazie al loro lavoro tenace hanno consentito di giungere al  risultato di oggi, al quale hanno fornito un contributo determinante anche le  autorità somale del Governo Federale Transitorio”.

Il numero uno della  Farnesina pur rifiutandosi di dare  elementi sulla dinamica del rilascio, avvenuto, come poteva del resto, se non c’era
stato alcun blitz, aveva spiegato che il rilascio era avvenuto grazie all’intervento  armato delle forze di sicurezza e dell’esercito locali.

Sulla  stessa ‘falsa’ riga il ministro della Difesa  somalo, Hussein Arab Isse aveva reso noto che le forze di sicurezza somale,  assieme all’esercito avevano tratto in salvo una coppia sudafricana rapita 18  mesi fa.

“L’operazione di salvataggio è iniziata mercoledì notte  ed è andata avanti fino a questa mattina…”, aveva spiegato il ministro  durante una conferenza stampa in cui erano presenti anche i due ostaggi  liberati.

Era  chiaro a tutti però, che il loro rilascio era stata certamente preceduto dal  pagamento di un riscatto o meglio come lo stesso Pelizzari avrebbe confidato ad  un giornalista seguito ad una soluzione negoziata che è la stessa cosa.

Finora i  predoni del mare non hanno mai rilasciato una nave o un ostaggio senza non aver  ricevuto in cambio il pagamento di un riscatto come contropartita.

Ma a  rendere ancora meno credile la versione resa nota era anche il fatto che, per usare le parole del ministro somalo, ‘i due sono  stati liberati in modo sicuro’.

Se fossero stati veramente ostaggi dei miliziani islamici  questi difficilmente si sarebbero fatti strappare dalle mani gli ostaggi  integri basta vedere i casi precedenti.

La  notizia del pagamento di un riscatto è invece, molto più credibile come lo è  anche la somma che sarebbe stata pagata, ossia i 700mila dollari.

In  genere i pirati somali preferiscono catturare le grandi petroliere o i cargo,  per il cui rilascio chiedono poi, dai 5 ai 10 mln di dollari.

Quando  però, una ‘battuta’ di caccia si mostra infruttuosa, per ‘recuperare’ almeno le  spese, ripiegano catturando piccole navi a vela da crociera. In genere per il  rilascio dei ‘velisti-turisti’ catturati le gang del mare somale chiedono circa  400 mila dollari a persona.  Nel caso del  Pelizzari e della Calitz  gli ostaggi  erano due e quindi 700 mila dollari deve essere stata appunto la cifra ‘negoziata’  per ottenere il loro rilascio.

Ferdinando  Pelliccia