La notizia che il 12 giugno scorso, una nave da guerra, la Fregata Scirocco della Marina Militare italiana,  ha soccorso nel Golfo di Aden una piccola barca da pesca rende meno amaro la cronaca che giunge da quella parte del mondo infestata dai pirati somali.

La barca per un’ avaria al motore era alla deriva dal 7 giugno scorso.

A bordo dell’imbarcazione vi erano due pescatori somali provenienti dalla città di Alula, sulla costa settentrionale della Somalia,
nella regione di Bari.

L’unità navale della Marina Militare italiana, in forza alla missione navale antipirateria dell’Unione europea, ATALANTA, al momento
dell’avvistamento della barca dei pescatori somali stava conducendo una missione di  pattugliamento nel Golfo di Aden a
circa 20 miglia dalla costa settentrionale della Somalia.

Il personale di bordo della Scirocco ha immediatamente dato assistenza ai due quasi naufraghi.

Soprattutto è stata fornita loro assistenza medica oltre che a fornirgli prodotti alimentari e bevande in quanto i due pescatori somali si mostravano, dopo una così lunga permanenza in mare, disidratati e affamati.

L’unità navale da guerra italiana ha anche fornito assistenza tecnica alla barca da pesca nel tentativo di riparare il motore. Un tentativo però, fallito in quanto il guasto non era riparabile in mare.

A quel punto la barca da pesca è stata preso a rimorchio dal team di imbarco della Scirocco che l’ha trainata verso la costa somala fino ad Alula dove i due malcapitati sono stati poi, trasferiti a terra al sicuro.

Finalmente una buona notizia che riguarda dei pescatori.

Forse nel mare al largo della Somalia infestato dai pirati si sono e si stanno commettono degli abusi nell’agire nel nome della lotta alla pirateria marittima.

Ed i più danneggiati da questo contrasto risultano essere i pescatori.

Si tratta di quegli stessi uomini che per anni hanno chiesto la restituzione di un mare e delle sue ricchezze abusato dagli stranieri ora sono forse abusati loro stessi.

Da tempo infatti, i pescatori denunciano, inascoltati, di essere vittime delle marine militari internazionali e ultimamente dei team di sicurezza imbarcati sulle navi commerciali e pescherecci stranieri.

Mentre,  ironia della sorte la minaccia che viene dai pirati somali è definibile per loro come una minaccia secondaria.

Da questi ultimi infatti, numerosi pescatori subiscono solo furti delle barche e di motori. Furti che si spiegano con il fatto che poi i pirati usano queste imbarcazioni per compiere la loro attività criminale.

La situazione è degenerata nell’ultimo biennio.

Infatti, anche se è dal 2008 che è in corso nel mare del Corno D’Africa e Oceano Indiano un tentativo di affrontare militarmente il
fenomeno della pirateria marittima per debellarlo, è solo di recente che le navi da guerra internazionali hanno iniziato ad effettuare operazioni più energiche nei confronti dei pirati somali o presunti tali. Compiendo a volte anche azioni preventive come il bloccare e controllare ogni tipo di imbarcazione che incontrano in mare.

Lo scopo è quello di poter consentire alla fine la libera navigazione ai mercantili di tutto il mondo lungo la rotta che collega l’Asia all’Europa ora minacciata dai predoni del mare.

Tutto ciò però, ha innescato anche una sorta di abusi nell’agire nel nome della lotta alla pirateria marittima.

Si sono infatti, verificati episodi di ‘eccessi’ che delineano chiaramente che è messa a rischio non solo la libera navigazione, ma anche l’attività dei pescatori che operano nel mare infestato dai pirati somali.

I pescatori ormai evitano di allontanarsi dalla costa, al massimo arrivano a due miglia marine da essa, anche se sanno bene che è al largo che vi sono i pesci più grossi e pregiati come il tonno e lo sgombro. In questo modo però, essi sperano di evitare le navi militari delle missioni internazionali antipirateria e le navi da pesca e da carico straniere.

I pescatori negli ultimi due anni sono infatti, diventati le ‘vittime’ delle guardie armate delle società di sicurezza private o dei marinai delle navi da guerra che li uccidono o li imprigionano scambiandoli per pirati somali.

Il problema è reale e nasce soprattutto dal fatto che molti pescatori, specie i somali, escono in mare aperto portando con se un’arma. Si tratta di una vecchia usanza nata in quella parte del mondo dalla necessità di potersi difendere dai predoni che cercano di portare via loro il pescato.

Purtroppo di questi tempi però, vedere un uomo armato in pieno Oceano è per molti sinonimo di pirata.

Ed ecco che nasce l’equivoco.

Si fanno sempre più numerose le testimonianze di ‘incontri’ tra navi da guerra o mercantili con pirati somali o presunti tali.

Queste testimonianze raccontano di sparatorie e uccisioni. Raccontano di molti marinai usciti per andare a pescare e che non sono più tornati indietro o che sono finiti, innocenti, nelle carceri somale accusati di pirateria.

Addirittura alcuni raccontano di episodi di abusi da parte delle navi da guerra senza però, indicarne la nazionalità.

Potrebbe trattarsi, se confermato, di unità navali militari che operano nel ‘mare dei pirati’ in maniera individuale.

Difficile credere che tali azioni possano essere compiute da quelle che operano nelle tre missioni navali internazionali anti pirateria.

Da tutto questo si evince che forse nella lotta alla pirateria marittima si ricorre troppo facilmente all’uso delle armi.

La procedura stabilita internazionalmente di lanciare una serie ripetuta di ‘Warning Shots’, ossia ‘attenzione, se non vi allontanate spariamo’, sembra che sia stata ormai da molti messa da parte.

Ferdinando Pelliccia