La liberazione di Bruno Pelizzari e Deborah Calitz è contornata da alcuni punti oscuri su cui sarebbe bello fare chiarezza.

I  due sono rimasti prigionieri in Somalia per 20 mesi ostaggi prima dei pirati  somali che li avevano catturati nell’Oceano Indiano nell’ottobre del 2010 e poi  ostaggi di banditi che li avevano presi in consegna dai loro sequestratori e  tenuti in custodia finchè per loro non fosse stato pagato un riscatto per ottenerne  il rilascio. L’iniziale  richiesta di 10 mln di dollari si era poi, ridotta ad 1 mln di dollari. Una  somma che comunque era fuori della portata dei familiari.

I due prima di partire nel 2009 per la loro avventura in mare, volevano  fare il giro del mondo in barca a vela, avevano venduto ogni loro avere e
lasciato il proprio posto di lavoro. Bruno era un ascensorista e Debbie una  commessa. Per  mettere insieme la somma necessaria si erano allora mobilitati tutti dai  familiari agli amici dei due ostaggi.

Le  famiglie dei due malcapitati hanno lanciato in questi lunghi 20 mesi varie campagne per  la raccolta fondi nel tentativo di mettere insieme i soldi del riscatto. Addirittura  era stata costituita nel settembre del 2011 una ONG collegata ad un conto  corrente  della FIRST NATIONAL BANK di Durban presso cui inviare  eventuali donazioni. La  sorella di Bruno, Vera Pelizzari in Hecht è stata fondamentale nelle trattative  con i pirati ed è stata lei a  guidare la  raccolta di fondi per raccogliere i soldi necessari per il  riscatto. Alla fine come la stessa ha  confermato a LiberoReporter nel marzo scorso è riuscita a mettere insieme circa  170 mila dollari.

Comunque  sia andata non è difficile credere che sia stato pagato un riscatto per la loro liberazione.
Finora  non è mai capitato che ad un ostaggio sia stata restituita la libertà senza aver incassato in cambio una cospicua somma come riscatto.  E’ questa infatti l’unica ragione per cui le  gang del mare somale compiono i loro atti criminali. Lo scopo è puramente  estorsivo ed ha fruttato finora a loro centinaia di milioni di dollari.

“Today I am a free man. Yesterday I wasn’t, but today  I am”. Sono  queste le parole che Bruno Pelizzari ha ripetuto in continuo dopo  essere ritornato un uomo libero.

Sulla  loro pagina web Bruno Pelizzari e Deborah Clìalitz hanno poi scritto: “GRAZIE  … GRAZIE …. GRAZIE ……  Per tutti
voi persone meravigliose,…  per non aver rinunciato alla nostra liberazione , per essere stati lì con noi  ……. Le parole non sono sufficienti per esprimere quanto felice e siamo grati.  I vostri pensieri d’amore e buona  volontà ci sono pervenuti ad  8000 miglia nautiche di distanza nel nostro buio,  nella nostra prigione solitaria, e ci ha circondato di luce, mantenendoci  al sicuro e protetto  in vita.
Come Bruno dice:  “Ci  vorranno 4 vite per ripagare tutti voi che ci avete aiutato.  Siamo così felici ed abbiamo la fortuna di avere l’amore e il sostegno della nostra famiglia, degli amici e anche di persone sconosciute (che adesso sono tutti i nostri amici). La  nostra vita non sarà mai più la stessa … Si può solo migliorare … Il tempo  guarisce ogni dolore … e l’Amore è la forza più potente dell’Universo, e noi  siamo i più fortunati ad avere persone che vivono dalla nostra parte.  Che modo meraviglioso per annunciare in questa nuova epoca. Questa nuova “Età dell’Acquario”.  Un sacco di amore, abbracci e baci a tutti  voi Debbie e Bruno.  PS …. sembra che sarà scritto un libro in un prossimo futuro, vi terremo aggiornati come  procedono le cose. Ciao per ora”.

Bruno  e Debbie, il primo italo-sudafricano e la seconda sudafricana, finalmente  dopo  20 mesi di prigionia in Somalia il  7 luglio scorso  sono tornati a casa a Durban in Sudafrica accolti da amici e parenti in  lacrime per la gioia di poterli riabbracciare. I due ex ostaggi sono atterrati alle 20,10 locali all’aeroporto  internazionale di King Shaka di Durban in Sudafrica a quel punto la festa è  iniziata.

Si è trattato di una festa studiata nei minimi particolari. Per giorni sulla  pagina di Facebook del gruppo ‘SOS Bruno and Debbie’ creata per contribuire a  raccogliere i soldi necessari per pagare il riscatto chiesto dai loro  sequestratori per poterli liberare, tutti gli iscritti, oltre 10mila, hanno programmato  su come dare il benvenuto a loro una volta che sarebbero tornati a casa  esternando nel contempo tutta la loro gioia.

Dopo la loro liberazione i due ostaggi sono stati prima condotti in Italia,  per permettere a Bruno di riabbracciare la madre Francesca e poi a Johannesburg  per incontrare le autorità sudafricane.

Secondo il sito web http://www.iol.co.za  , che riprende quanto pubblicato da portali di informazione sudafricani, nella sua  edizione del 4 luglio sembra che i fondi che erano stati raccolti da amici e  parenti, in testa Vera Pelizzari in Hecht sorella di Bruno, saranno utilizzati  per aiutare gli altri ostaggi in Somalia. Solo una parte sembra infatti, che  rimarrà nelle disponibilità dei Bruno e Debbie e che dovrebbe essere poi utilizzata per il loro reinserimento nella società civile. Questo potrebbe far pensare che quindi quei soldi non sono stati  utilizzati.

Però,  nell’articolo il portale rivela anche che non è ancora chiaro a quanto  ammonterebbe il riscatto pagato per la liberazione della coppia e questo  porterebbe a pensare che quindi è stato pagato un riscatto, ma non con i fondi  raccolti da familiari e amici in Sudafrica.

http://www.iol.co.za/dailynews/news/funds-raised-for-hostages-to-help-others-1.1334205

Sembra,  secondo quanto riporta il sito, che Vera Hecht abbia detto che non è disposta a  rivelare tutti i dettagli del rilascio del fratello e della sua amica per non  minacciare la sicurezza degli altri ostaggi ancora detenuti in Somalia.

Già  nella sua edizione del 26 giugno scorso dalle sue pagine www.iol.co.za riportava la notizia che un  nipote di Bruno Pelizzari, Terry aveva riferito che era stato pagato un  riscatto per la liberazione dei due ostaggi. Nello stesso articolo veniva riferito che il governo italiano si era fatto garante  per il rilascio della coppia. Cosa  volesse dire che si fosse fatto garante, questo però non è chiaro. Ufficialmente  sia il governo somalo di Mogadiscio sia il governo italiano dicono che i due  ostaggi  sono stati liberati con un blitz militare. Sono però numerose  le altre fonti che invece affermano che i due devono la loro  libertà interamente alle trattative e al pagamento di un riscatto. In  merito non ci sono conferme, addirittura il governo italiano per bocca del suo  ministro degli Esteri, Giulio Terzi ha negato il pagamento di un riscatto come  anche quello sudafricano.

Però,  mentre da un lato le autorità di Johannesburg sembra che non abbiano mai  pagato un riscatto, quelle italiane hanno più volte pagato riscatti per  ottenere il rilascio di connazionali sequestrati nel mondo e nel caso  specifico, l’Italia ha pagato 4 mln di dollari ai pirati somali nel 2009 per  ottenere il rilascio del rimorchiatore Buccaneer e del suo equipaggio.

Un’altra  traccia di un possibile  pagamento  di un riscatto lo rivela dalle sue pagine web www.iol.co.za  il 22 giugno scorso quando riporta che Vera Hecht è volata da  Durban in Somalia il 20 giugno dopo che era stato raggiunto un accordo per il pagamento  del riscatto con i pirati somali che avevano in ostaggio Bruno Pelizzari e Deborah  Calitz.

http://www.iol.co.za/mercury/free-we-re-free-cry-hostages-1.1325804

Il Dipartimento sudafricano di Relazioni Internazionali e della Cooperazione, si legge  ancora sulla pagina web, ha espresso la sua “sincera gratitudine” al  governo federale di transizione della Somalia e il governo italiano per il loro  ruolo nel garantire il rilascio. Di  garanzie date dall’Italia ne riferisce anche il nipote di Bruno Pelizzari, Terry.

Sul  fatto che  la coppia sia stata salvata  dall’esercito somalo o che sia stata rilasciata dopo che è stato pagato un  riscatto vi è un silenzioso dibattito.

Come  sempre si cerca di stendere un velo su tutto anche perchè  pagare un riscatto è vietato.

Citando  il sito on line somalo, Somalia Report, www.iol.co.za  riferisce  però, che il governo di transizione somalo ha dichiarato che la coppia è stata salvata dall’esercito. Ma le famiglie di Pelizzari e Calitz hanno invece confermato al portale d’informazione  online  ‘ The Mercury’ che del denaro era  stato scambiato per la loro libertà. Ma quanto, o da chi, non era stato mai appurato.

A  questo punto è chiaro qualcuno non dice il vero e che con molta probabilità se  è stato pagato un riscatto qualcun’altro se ne è assunto l’onere di metterci la differenza che mancava alla somma richiesta dai sequestratori visto che i soldi  raccolti dai familiari erano poco meno di 200 mila dollari.

A  questo punto è chiaro anche che un ruolo importante nella vicenda è stato  svolto dalle autorità italiane e sudafricane.

Questo in quanto come sempre in merito al sequestro  www.iol.co.za  il 22 giugno scorso scrive precisamente che i due sono stati rilasciati nelle mani di funzionari del governo italiano e diplomatici sudafricani dopo mesi di  negoziati.

http://www.iol.co.za/pretoria-news/family-itching-to-having-freed-hostages-back-home-1.1325452

Nella  pagina web si legge: “Una somma di denaro è stata pagata, anche se  non si è sicuri della cifra. Il fratello della Calitz, Dale Van der Merwe, ha  detto che parte del denaro era venuta dai fondi raccolti dalla famiglia e il  resto sarebbe potuto provenire da altri “giocatori” che hanno avuto un  ruolo, come il governo  italiano, che è noto per il pagamento di riscatti per la liberazione degli  ostaggi”.

Sia in un caso, sia nell’altro, appare chiaro che alla liberazione di Bruno  Pelizzari e Deborah Calitz  si sia giunti  grazie ad uno sforzo congiunto profuso dal governo federale di transizione  somalo, TFG, dal governo italiano, dal  governo sudafricano e dalle famiglie e amici di  Bruno e Debbie.

Ognuno  di queste parti avrebbe ‘contribuito’ in qualche modo alla liberazione dei due  ostaggi. Per ora non è dato capire ancora in che modo.

Difficile  però credere che le forze di sicurezza somale siano riuscite a ‘strappare’ dalle  mani dei loro sequestratori i due ostaggi. Stranamente non ci sono state  perdite ne sono stati fatti prigionieri e i due ostaggi sono usciti indenni  dall’esperienza quando invece, nella gran parte dei blitz militari tentati finora  per liberare gli ostaggi, questi ultimi sono stati quelli che ci hanno rimesso  in molti casi la vita o quanto meno hanno subito ferite.

Addirittura  sempre www.iol.co.za nell’edizione del 26  giugno riporta in un articolo(http://www.iol.co.za/pretoria-news/pelizzari-spills-beans-on-pirates-1.1328040), la  notizia che alcune fonti hanno suggerito che il riscatto sia stato pagato con le  donazioni raccolte dalle famiglie degli ostaggi e anche della comunità somala  in Sudafrica, e in parte anche dal governo italiano.

Ferdinando  Pelliccia