Il gip Patrizia Todisco ha firmato il provvedimento di sequestro (senza facoltà d’uso) degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva di Taranto. La notizia ha scatenato immediatamente la reazione degli operai che sono immediatamente usciti dallo stabilimento per manifestare sulle statali Appia e 106. Anche i sindacati di categoria Fim, Fiom e Uilm si stanno attivando per preparare una mobilitazione generale.

Di “sciopero preventivo” parlano gli operai stremati dall’attesa e dalla rabbia contro un provvedimento che potrebbe far perdere loro il posto di lavoro. Lavoro che viene prima d’ogni cosa, a quanto sembra, anche prima della loro stessa salute.

Mobilitazioni sono in corso anche nella capitale, nei pressi del ministero dell’Ambiente. La statale è stata bloccata già ieri dai lavoratori, sordi alla voce di chi dice che l’Ilva non produce solo acciaio, ma anche malattia e morte.

“Rispettiamo i magistrati – dichiara un lavoratore – ma non capiamo perché intervengono ora che Riva sta spendendo soldi per far sposare ambiente e fabbrica. Noi vogliamo lavorare, perché così difendiamo il futuro dei nostri figli”.

Proprio di futuro delle prossime generazioni, però, si tratta per i magistrati che, dopo le dovute indagini, hanno accusato Emilio e Nicola Riva e tre dirigenti del siderurgico di disastro ambientale. Disastro che, tra le altre cose, compromette proprio la salute dei loro figli e di quelli di tutta Taranto, come confermano le due perizie effettuate qualche mese fa dal pool guidato dal procuratore Franco Sebastio, ma anche uno studio recentissimo diffuso proprio in questi giorni.

Si tratta di una ricerca condotta da studiosi italiani ed americani, che mostra concretamente quali sono gli effetti dell’inquinamento sugli abitanti della città. “Nelle urine dei tarantini è stata riscontrata la presenza del piombo, sostanza neurotossica e cancerogena”, ha avvertito il presidente di Peacelink Taranto Alessandro Marescotti, riferendo i dati presentati in un convegno a Oxford. Una presenza che è risultata molto più alta del normale, soprattutto nei soggetti che avevano mangiato pesce nelle 72 ore precedenti le analisi.

I ricercatori hanno analizzato le urine di 141 tarantini: 67 uomini e 74 donne. In tutti è stata una presenza di piombo oltre i limiti consentiti. Il valore medio del piombo presente nelle analisi di questi soggetti è stato, infatti, di di 10,8 microgrammi per litro, mentre i normali valori di riferimento per questo metallo sono fissati in un intervallo che va da 0,5 a 3,5 microgrammi per litro. Lo studio ha preso in considerazione anche i valori di cromo e mercurio: anch’essi sono risultati più alti rispetto ai normali valori di riferimento.

I lavoratori che protestano oggi contro il provvedimento della magistratura, però, sembrano del tutto indifferenti di fronte a questi dati. La preoccupazione di perdere il posto di lavoro viene prima della salute.

Aldilà del malessere e della preoccupazione che, non a torto, sta interessano i 4.600 operai che lavorano negli stabilimenti dell’Ilva, però, non si può negare che nella città di Taranto, a seconda dei quartieri più o meno a ridosso delle ciminiere, lo stato della salute collettiva appare abbastanza compromesso.

A rischio anche la popolazione infantile che, secondo quanto riferito in questi giorni dal Corriere della Sera, ha registrato un aumento della mortalità del 18 per cento nel periodo preso in esame dai ricercatori.

La tensione, però, sembra destinata a crescere nelle piazze: la firma, da parte della magistratura, del provvedimento che prevede il sequestro degli impianti situati nella città ionica non ha fatto altro che buttare benzina sugli animi già infuocati dei lavoratori.

A Roma, intanto, il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, il sindaco e il presidente dell’amministrazione provinciale di Taranto, Ippazio Stefàno e Gianni Florido stanno firmando in queste ore l’accordo sulle bonifiche e sul risanamento della città di Taranto. Il protocollo d’intesa che ne emergerà darà il via a “interventi urgenti di bonifica, riqualificazione e infrastrutturazione” nell’ambito dell’area industriale, e stabilirà anche  l’ammontare economico che lo Stato vuole sborsare per gli interventi.

Secondo quanto riferito dal Ministro dell’Ambiente in un’intervista al Sole 24 Ore, infatti, “l’Ilva di Taranto non va fermata. Il giudizio sui rischi connessi ai processi industriali dello stabilimento va attualizzato”. E, ancora: “La situazione dell’Ilva di 10-15 anni fa era molto diversa da quella attuale. Oggi si può dire che l’Ilva è uno stabilimento in cui è in atto un processo di trasformazione della produzione per renderla adeguata agli obiettivi nazionali e alle direttive europee”.

A livello economico, dunque, per Clini sarebbe un grave danno chiudere. Bisognerebbe invece “concordare un piano di azioni” che permettano di “riprendere il percorso già iniziato. Nella consapevolezza che gli interventi devono tenere conto della competitività dell’impresa: non sarebbe un gran risultato costringere le aziende a chiudere e ad abbandonare un sito perché le prescrizioni ambientali non sono sostenibili dal punto di vista economico”.

Luciana Coluccello