Dal 2008 ad oggi al largo della Somalia e nelle acque dell’Oceano Indiano in totale sono stati registrati almeno 433 attacchi contro navi mercantili di cui 125 andati a buon fine. Il fenomeno oggi, sebbene i pirati somali siano attivi più che mai, fa registrare però, una brusca frenata. A rivelarlo sono i dati dell’IMB aggiornati al 16 agosto scorso relativi agli episodi di pirateria marittima denunciati al largo della Somalia e Oceano Indiano. Nel 2012 finora sono stati registrati 70 attacchi di cui 13 andati a segno. Nel 2011 erano stati 151 e 25 erano andati a buon fine.  Chiedere e  ottenere un riscatto per il rilascio dei marittimi ostaggi e delle navi catturate è l’unico scopo per il quale i predoni del mare somali assaltano in mare le navi. Estorcere del denaro agli armatori delle navi sequestrate o ai governi dei Paesi a cui appartengono i marittimi catturati è nel corso degli anni diventata una lucrosa attività criminale che ha fatto incassare ai banditi del mare milioni di dollari. Ufficialmente l’ammontare stimato dei riscatti pagati ai pirati somali nel 2010 è stato di circa 79,8 mln di dollari per 25 navi rilasciate. Nel 2011 i milioni dichiarati sono stati 147 per 30 riscatti pagati. Nel 2012 ai pirati somali sarebbero, per ora, andati solo 2,65 milioni di dollari. Si tratta di cifre che non corrispondono alla realtà. I milioni sono molto di più in quanto molti armatori e governi pur pagando il riscatto chiesto loro negano poi, di averlo fatto. La giustificazione che viene data a questa loro negazione è che lo fanno per salvaguardare l’incolumità degli altri ostaggi cora in  mano ai pirati e per non incentivare il fenomeno. In realtà il loro è solo un fragile e inutile tentativo di cercare di mascherare la verità. I pirati somali però, sanno bene che prima o poi qualcuno paga il riscatto per ottenere il rilascio dei marittimi ostaggi e quindi non è mai successo che abbiano rilasciato un ostaggio senza ottenere in cambio milioni di dollari. Secondo stime ONU sono almeno 200 i marittimi ostaggi dei pirati somali, la gran parte  tenuti prigioniera a bordo delle loro stesse navi, ma altri, almeno 40, sono tenuti a terra in condizioni indefinibili. Un numero esatto dei prigionieri in Somalia non è possibile quantificarlo, ma di certo le stime sono molto inferiori a quelle reali in quanto nel computo non vengono conteggiati anche gli equipaggi delle tanti navi da pesca catturate dai predoni del mare somali. Nelle loro mani si stima che le gang del mare trattengano almeno 11 grandi navi catturate, ma almeno altrettanti piccole navi non sono contemplate nella stima. Alcune di queste navi e uomini sono trattenuti dai pirati somali anche da due anni e più. Capita spesso infatti, che gli armatori decidano di abbandonare navi ed equipaggio al loro destino. Non venendo pagato un riscatto per il loro rilascio i marittimi non vengono quindi rilasciati e rimangono prigionieri dei pirati somali subendo angherie di ogni genere. In molti casi il dramma di questi lavoratori del mare si conclude con la morte. Ad essere abbandonate sono prevalentemente quelle barche per le quali gli Armatori non ritengono ‘valga la pena’ pagare un riscatto. Il calo dell’attività pirata e soprattutto della riuscita degli attacchi è dovuto al fatto che quasi tutti i mercantili oggi si proteggono da soli con team di sicurezza armati a bordo, che possono essere militari o appartenenti a società di sicurezza private a secondo del Paese di Bandiera della nave. Secondo una recente stima sono almeno 1500 le navi che ogni mese attraversano il Golfo di Aden e l’Oceano Indiano con guardie armate a bordo. Ogni viaggio protetto ha per l’Armatore un costo di circa 60mila dollari. Il calo è però, dovuto anche all’aumentata capacità di azione delle unità navali da guerra internazionali che operano al largo del Corno d’Africa e che, rispetto al passato, con operazioni mirate e anche con una maggiore  coordinazione tra loro, stanno riuscendo a contenere molto di più il fenomeno. Di fronte a questa nuova realtà i pirati somali hanno cercato di correre ai ripari. Hanno per prima cosa allargato la loro area di azione. Oltre che nel bacino somalo sono arrivati ad attaccare le navi anche vicino alle coste della Tanzania, Kenya, Yemen, Oman e in profondità nell’Oceano Indiano.  Una sorta di migrazione che però, non ha dato loro i frutti sperati. La crescente pressione esercitata dalle navi da guerra dispiegate dai vari Paesi nell’Oceano Indiano e l’azione di contrasto a terra che molti istituzioni locali stanno attuando sul suolo somalo li sta mettendo in serie difficoltà. Le gang del mare si sentono come degli animali braccati e come tali agiscono. Si registra infatti, un aumento della violenza direttamente proporzionale al ricorso all’uso sempre maggiore delle armi da parte degli assalitori ma anche degli assaliti. Una violenza che ha causato nel 2011 almeno 111 morti tra le fila dei pirati e 35 tra i lavoratori del mare imbarcati come membri dell’equipaggio sulle navi attaccate e tra quelle catturate. Da tempo è stato reso noto che il governo somalo di Mogadiscio ha intenzione di offrire un’amnistia ai pirati che operano al largo della coste della Somalia, in cambio del rilascio degli ostaggi e della restituzione ai loro proprietari delle navi dirottate e sequestrate. Non esiste un computo esatto, ma le stime ritengono che tra le fila delle varie gang del mare somale vi militino almeno 2mila uomini. Questo annuncio potrebbe essere fatto domani dal Presidente somalo Sharif Sheikh Ahmed. Domani è il 18 agosto, il giorno della festa islamica Eid. In questo giorno per tradizione  i leader islamici concedano il perdono ai criminali. In controtendenza al fatto che la pirateria somala stia calando di intensità si registra un aumento degli attacchi pirati nel Golfo di Guinea, Africa Occidentale, dai 25 dello stesso periodo del 2011 sono stati 32 nei primi sei medi del 2012 di cui 5 andati a buon fine. Gli assalti pirati avvengono specie al largo delle coste della Nigeria e del Togo.  Una novità questa che ha messo in allarme la comunità internazionale. Modalità e mezzi a cui le gang del mare, per lo più nigeriane, ricorrono sono per molti versi simili a quelle dei loro ‘colleghi’ somali. Anche qui per colpire lontano dalle coste, i predoni del mare  utilizzano come basi di appoggio barche da pesca o altri tipi di navi.

Ferdinando Pelliccia