Come riporta il sito web di Italians for Darfur ONLUS, Layla Ibrahim Issa Jumul, 23 anni, originaria dello stato sudanese del Sud Kordofan, è stata condannata a morte per lapidazione il 10 luglio scorso dalla Corte Criminale di Mayo, Khartoum, sulla base dell’Articolo 146 del Codice Penale Sudanese del 1991. La ragazza, accusata di adulterio, è ora detenuta nel carcere femminile di Omdurman, nei pressi della capitale sudanese, con il figlio di sei mesi .  Dopo il successo della mobilitazione internazionale contro la lapidazione di Intisar Sharif Abdallah, rilasciata lo scorso luglio, Amnesty International e Italians for Darfur ONLUS rilanciano la sfida anche questa volta, chiedendo al governo sudanese che venga salvata la
vita della giovane madre e venga riformato il Codice Penale sudanese.  La lapidazione di Layla Ibrahim Issa Jumul è chiaramente in contrasto
con la stessa Costituzione sudanese che sancisce la non applicabilità della sentenza per donne in stato di gravidanza e in allattamento. Il processo sarebbe stato condotto in maniera iniqua, senza che la donna abbia potuto avvalersi del proprio legale, in violazione dell’Articolo 135 del Criminal Procedure Act. Ora si ripresenta l’occasione, dopo il successo delle trascorse iniziative, di renderci tutti protagonisti nella corsa contro il tempo
per salvare la vita di Layla, donna e madre sudanese, condannata a morte per lapidazione. Chi non ha già firmato il precedente appello contro la lapidazione, lo può fare ora, subito.

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