Recenti notizie che provengono dal mondo australe hanno forse fatto irritare qualche bontempone pacifista, islamista o Verde, per il fatto che il Governo ‘’laburista’’ dell’Australia ha varato alcune norme impopolari, ma assai logiche, finalizzate a controllare il flusso migratorio clandestino che approda via mare alle loro coste. Soprattutto tenta di discriminare i clandestini, da quelli che chiedono asilo e ne hanno titolo; tutti i rinvenuti in mare, comunque, a scanso di equivoci, vengono portati e confinati in un paio di isole remote ( Manus e Nauru che, pur essendo abbastanza vicine alle Figi, non sono proprio … attrazioni turistiche..) praticamente deserte, in centri di accoglienza che sono simili a vere prigioni. Lì, Commissioni di esperti di problemi di profughi, ed altri, valutano chi ha diritto ad essere ammesso come rifugiato politico da chi –invece- non ne ha titolo, prevedendone il forzato ed immediato rimpatrio: norme chiare, con una valenza dissuasiva di tutto rispetto. Non regole ondivaghe o strategie comunitarie inesistenti, come siamo abituati a vedere dalle nostre parti, in altri emisferi; possono piacere o meno, ma rispondono a ‘’politiche’’ di un Paese che governa e che, preso atto degli oltre 6200 arrivi dall’inizio del 2012, con la perdita di circa 600 disgraziati, ha fatto delle scelte. Và detto che, nell’ambito del dibattito sulla questione, è prevalsa la soluzione più ‘’soft’’, nel senso che il partito conservatore all’opposizione aveva proposto e sollecitato di avvalersi della Marina per respingere, anche con la forza, le imbarcazioni ‘’clandestine’’ verso i paesi di partenza; così ponendo fine, o almeno un grosso freno, allo stillicidio dei clandestini che quotidianamente provengono dalle coste dell’Indonesia e della Malesia.In tal ultimo caso sussisterebbero problematiche reali di natura legale ed umanitaria in contrasto con le stesse norme internazionali per l’assistenza ed il soccorso di persone in difficoltà per mare, atteso che le imbarcazioni usate sono delle ‘’carrette’’ ed il mare ‘’oceanico’’ dell’ Australia non è certo meno infido e pericoloso del nostro Mediterraneo. Contemporaneamente da noi, a Lampedusa –ma anche in Calabria – sono ripresi gli sbarchi cospicui di clandestini (ieri oltre 400, oggi quasi un centinaio,ecc) che provengono da vari paesi sub-sahariani, partendo però quasi sempre dalla Libia ed in particolare, come gli ultimi arrivi, dalla Tunisia: peccato che, da noi, oltre tutto, non ci sia alcun discrimine fra i rifugiati politici e gli altri (clandestini, delinquenti, terroristi, ecc). Il complessivo degli immigranti via mare quest’anno è, comunque, relativamente contenuto –circa 6000- cioè il 10% dello scorso anno durante la guerra libica, ma si mantiene sotto quei 17-20.000 fisiologici degli ultimi 10 anni : certamente nel periodo estivo, considerate le buone condimeteo, il numero è destinato a salire. E’ pur vero che gli spostamenti di ‘’massa’’ prefigurati da studiosi e scienziati, costituiranno un fenomeno migratorio dai paesi africani, verso l’ Occidente, di proporzioni decisamente diverse stimando alcuni milioni di individui che, per motivi di sopravvivenza, aggravati da situazioni di crisi o da conflitti , tenteranno di raggiungere le coste europee, e quelle italiane in particolare.
E non sarà solo con la ‘’parata’’ della Frontex europea limitata ad un paio di mesi ‘’estivi’’ –esercitazione con navi ed aeromobili di diverse nazioni in pattugliamento nel Mediterraneo- o con una corvetta della nostra Marina nel Canale di Sicilia che si riuscirà a controllare davvero le frontiere sul mare, tentando di limitare gli sbarchi, anzi; dopo aver scoperto le imbarcazioni si assistono per raggiungere il porto più vicino che, guarda caso – a prescindere dalle aree di responsabilità SAR ( Search and Rescue)- è sempre italiano! Neppure quando Gheddafi aveva minacciato un’invasione, i nostri esimi rappresentanti nell’ambito della UE, sono riusciti a far varare una qualsivoglia politica comunitaria per la grave (o presunta tale) emergenza immigratoria. Bastava riferirsi a quel principio di ‘’solidarietà’’ (o mutuo supporto) sancito fra Stati membri, e tanto sbandierato con la ratifica del Trattato di Lisbona, pretendendo di metterlo in pratica, anziché lasciarlo dissolvere fra le brume di Bruxelles. La solidarietà diviene, ahimè, solo una questione di opportunità e l’unitarietà evanescente, non certo quel valore fondante posto a preambolo della Costituzione Europea: il problema concreto, quando si parla di immigranti, è che nessuno li vuole a casa propria (e,forse, non hanno tutti i torti ). L’Europa non solo non condivide il fenomeno su un piano politico ‘’comunitario’’, ma neppure sul piano della disponibilità dei mezzi aeronavali, né su quello economico dei costi; è tuttavia pronta ad accusarci (emblematica la condanna per l’evento del barcone con una sessantina di naufraghi che nel 2011 ha vagato in mare per circa 15 giorni), o a criticarci perché non siamo in grado di controllare quei flussi, e trattare con dignità quelle ondate di immigranti. E’ vero il contrario; bisogna evidenziare che alcuni Stati della UE non sono affatto collaborativi e, con comportamenti censurabili, rendono ancora più spinosi i problemi con gli immigranti: dai nostri ‘’cugini’’ francesi che partecipano al pattugliamento aero-navale per il contrasto se non ‘’per forza’’, a paesi come Malta che, anziché fare una oggettiva politica di accoglienza, trovano ogni scusa ‘’levantina’’ – talvolta anche poco plausibile- scaricando sempre le responsabilità sugli italiani, rifiutandone l’ ospitalità e, in molti casi, ‘’deviandoli’’ surrettiziamente verso le nostre coste. Malta, invero, non ha le capacità di far fronte alle incombenze connesse con l’‘’abnorme’’ area SAR ; per ogni tragedia che capita nella propria zona di competenza, trova sistematicamente scuse – anche puerili- per non prendersi i naufraghi, che magari qualcun altro ha provveduto a soccorrere. Comportamenti che la nostra diplomazia e quella internazionale dovrebbero censurare pesantemente, imponendo un ridimensionamento dell’ area SAR (che ora lambisce le acque territoriali italiane attorno a Lampedusa!) compatibile con le capacità di quel paese : troppo ovvio, ma non facile poiché, altrimenti, dovrebbero rinunciare ad una buona fetta dei fondi della Comunità europea! E’ vero che anche la nostra politica non ha brillato; qualche onorevole proponeva di ‘’gettarli a mare’’ disconoscendo le più elementari regole della salvaguardia della vita umana in mare, altri si sono affidati alle forze di polizia (Guardia di Finanza) con risultati negativi, i più privilegiando tasti ‘’umanitari’’; la Chiesa invitava ad accogliere tutti, a prescindere (ma non in Vaticano), e l’organizzazione dell’ Onu per i rifugiati (UNHCR) che -analogamente- predicava la non discriminazione o controllo nella accoglienza. Evidentemente c’è qualcosa che non funziona, sia da noi che nelle volontà dei diversi paesi europei, sia nelle norme SAR. Tuttavia la soluzione non sta certo in un approccio etico ed umanitario che prescinda da una precisa politica dell’immigrazione clandestina; non è risolutivo l’approccio ammantato di solidarietà e carità ‘’pelose’’, per cui se non si accolgono tutti, si fa peccato. E’ necessario, invece, che, in primis il nostro dicastero degli Esteri faccia sentire la sua voce nei consessi europei, perché le frontiere sono dell’UE; ma, anche a livello internazionale, denunciando la intollerabile situazione maltese, pretendendo il ridimensionamento delle aree SAR, in funzione delle concrete capacità di soccorso della stessa Guardia Costiera o della loro Marina. In parallelo dovranno essere stabiliti degli accordi, coinvolgendo le Marine Militari,( e non Polizia o GdF) fra i diversi Stati costieri (Libia e Tunisia) mutuando quella soluzione che ha consentito di ridurre drasticamente la immigrazione clandestina dai paesi dell’ ex- Yugoslavia ed Albania, affidandone la gestione al Comando in Capo della Squadra Navale. Siccome non potremo mai emulare l’Australia, si tratta di usare delle metodologie di contenimento e discernimento dell’attuale indiscriminato flusso di clandestini; impiegare cioè qualche Nave con capacità elicotteristica della nostra Marina, al largo dei sorgitori della Tunisia e della Libia per il monitoraggio dei traffici davanti ai porti da cui partono quei ‘’poveracci’’, dando le dovute informazioni alle motovedette tunisine o libiche per i necessari preventivi filtri e controlli. Non sarebbe male che, ai fini della discriminazione fra immigranti clandestini e rifugiati politici, fossero presenti a bordo anche rappresentanti dell’UNHCR (che non possono solo pontificare e lagnarsi) e del Miniesteri, per prendere i veri rifugiati e consegnare ai tunisini o ai libici i loro ‘’malavoglia’’. Da non trascurare, inoltre che, tale controllo preventivo, fatto a circa 12 miglia dalle coste, eviterebbe che tante di quelle ‘’carrette del mare’’ inizino la traversata -che spesso si trasforma in tragedia- per la mancanza di quei minimi requisiti per la navigazione, e per l’ abnorme carico umano che trasportano illegalmente. Se non altro la nostra presenza costituirebbe un deterrente anche per gli stessi ‘’malavoglia’’ che, invece, ora non esiste. C’è bisogno , in definitiva, non di norme dure tipo ‘’australi’’, ma neppure di ipocriti approcci ‘’politically correct’’ o di ‘’pietas’’ a buon mercato; si deve invece porre in essere – quanto prima e con determinazione- quelle azioni verso l’UE (politiche comunitarie, solidarietà condivisa, disponibilità assetti aeronavali, ecc..) e per riequilibrare le aree SAR di Malta. Attivando contestualmente un ‘’comprehensive approach’’ politico con il coinvolgimento degli Interni, degli Esteri e della Difesa, per stabilire corretti accordi bilaterali con la Tunisia e Libia al fine di utilizzare le Marine per ‘’normalizzare’’ i traffici migratori via mare. Ci siamo sobbarcati –fra l’altro- i flussi migratori della ex- Yugoslavia, quelli della Libia e della Primavera araba; ora stanno cominciando ad arrivare anche dalla Siria, poiché respinti duramente da turchi e greci: sta bene se sono rifugiati politici, ma non possiamo continuare ad accollarci l’onere di gestire comunque tutti i clandestini nel Mediterraneo.
Giuseppe Lertora