Povero vecchio diavolo. Solo un diavolo così ridotto può ispirare tanta amarezza e tenerezza. Può prendere cinque gol in amichevole dal Real Madrid. Può perdere alla prima di campionato dalla Sampdoria (0 – 1). Può auto distruggersi cedendo Ibrahimovic, Cassano e Thiago Silva…
Può non fare mercato, sbagliare tutte le scelte. Può mantenere il titolo di squadra più titolata al mondo, tanto a cosa serve se non al ricordare “com’eravamo”? Che nostalgia caro vecchio Milan! Ora è una squadra che non gioca da squadra. Con una società che non è in grado di prendere un centrale del Montpellier! Una squadra con giocatori di burro, sempre cotti, infortunati, svogliati. La società Milan non sa più programmare, investire, né, tantomeno, darsi degli obiettivi.
Ha subito persino l’onta di un giocatore, Ze Eduardo (giocatore del Genoa), che non ha voluto fare un provino per essere acquisito: in prestito, beninteso, perché il Milan i giocatori li vuole in prestito e meglio se gratuito. E’ una società che ama l’outlet, il mercato d’occasione, i saldi. Sembra non sapere più dove si trova, in quale campionato giuoca; perché il Milan “giuoca” mentre gli altri giocano, fanno mercato, investono, fanno il loro dovere di società, di squadra, di pubblico, di ambiente.
Intorno al Milan, tutto è diventato triste, apatico. Non c’è più energia né allegria. Di Allegri è rimasto solo un allenatore triste. Di Berlusconi è rimasto un presidente ombra. Di Galliani è rimasto un manager spento, “cazziato” a distanza persino da Cassano; Galliani, un manager che pensa ancora a Kakà. Un Kakà che dovrebbe arrivare, ovviamente in prestito, dal Real Madrid.
Sì, il Milan ama il prestito! E adora i “fine contratto” specie se ultratrentenni, per prenderli a euro zero e a kilometri immensi sul groppone.
E’ un mercato anche onesto, quello del Milan, dove si dice non ci sia più il becco di un quattrino, solo perche il presidente non ha più voglia di mettere risorse, di coprire buchi di bilancio e allora si ricorre alle cessioni illustri e remunerative. E’ un’onestà, però, a senso unico: perché non comprende i tifosi, la Storia del Milan e il suo blasone da squadra più titolata del mondo. Sembra che i tifosi abbiano solo il diritto di essere delusi. No, anche loro sono la Storia del Milan.
C’è modo e modo di scivolare in basso: si può farlo aggrappati con le unghie e con gli attributi, oppure si può farlo mollemente e senza uno straccio di orgoglio.
Se non c’è più l’orgoglio di chiamarsi Milan la dirigenza può anche tentare di vendere o di acquisire nuovi soci per ritrovare smalto; però qualcosa mi dice che si preferisca il profilo basso e un bilancio in pareggio da presentare alla politica, come una virtù da specchietto per le allodole.
Al di là del sospetto, oggi il Milan è come il suo presidente: pieno di cuciture, di distacco e di cerone. Occorre un nuovo abito, un altro slancio, o rischierà di diventare la squadra del ridicolo e la società calcistica più autolesionista al mondo.
“Terra chiama Via Turati: Milan, c’è un problema”. E zero punti.
Danilo Stefani