Un’idea di Europa

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Se considerata nel suo insieme, l’Unione europea è l’economia più grande al mondo, con un prodotto interno lordo complessivo  stimato nel 2008 in 12 504 miliardi di euro. Ma gli europei, in quanto tali, lo sanno, o comunque ne hanno adeguata consapevolezza? In quanto tali, ovvero non come olandesi, portoghesi, italiani e via dicendo: ma, appunto, in quanto europei. Nel mercato globalizzato, quando la competizione avviene per grandi sistemi o blocchi continentali (Asia, Americhe), le singole economie sono molto, troppo piccole. Tutti allora sembrerebbero convenire che la vera concorrenza è su scala mondiale, e non per singoli stati: se non altro per questa decisiva ragione – anche a prescindere dalle forti motivazioni ideali e culturali che da sempre animano l’idea federalista – la via di un’ accelerata integrazione anche politica dovrebbe apparire unica e irreversibile: quale, piaccia o meno, oggettivamente è. Eppure di questo sembra cosciente solo una esigua élite di intellettuali e statisti. La grande opinione pubblica, a torto o a ragione, continua a percepire l’Unione Europea come un’entità astratta e lontana, aridamente pedagogica, occasionalmente persino ostile. Mentalmente, l’orizzonte primario o esclusivo si riduce tuttora all’angusto perimetro dei diversi interessi nazionali – per non parlare dei risorgenti nazionalismi, tra intolleranze, estremismi e nuove xenofobie. Perché? E quali sono le ragioni vere, ideali e reali, su cui si fonda quella che un tempo si chiamava Mercato Comune, poi Comunità e oggi Unione Europea?
Nascita e crescita
Nell’immediato dopoguerra le democrazie dell’Occidente condividono l’esigenza vitale di scongiurare per il futuro nuovi conflitti armati in Europa – ancora forti e non sopite, per esempio, le storiche contese sull’acciaio tra Germania e Francia, da poco ex nemici. Allo stesso tempo, si tratta di fronteggiare con totale fermezza la crescente minaccia militare dell’espansionismo dell’Est comunista. Nel 1948 scatta il blocco sovietico di Berlino, e per rifornire l’ex capitale gli alleati francesi, inglesi e americani devono lanciare un grandioso ponte aereo, sfidando Stalin. In effetti in quegli anni l’Europa è già spaccata da quella che, con l’ efficace definizione di Churchill, è chiamata cortina di ferro. La Germania è mutilata, e tale resterà fino all’ ’89: da questa parte la giovane democrazia della Repubblica Federale, dall’altra la DDR comunista (Deutsche Demokratische Republik). Per l’Occidente democratico – o “mondo libero”, come si diceva allora – c’è l’immediata urgenza di integrarsi meglio con forti strutture sovranazionali. L’America di Truman vede con favore questo processo, e promuove un generoso e massiccio progetto di aiuti a un’ Europa ancora esausta: si tratta del piano Marshall, su cui si fonderà tutta la nostra ricostruzione. Nel 1949 nascono il Patto Atlantico e la Nato, che ne è la diretta espressione militare. L’idea europea scaturisce da questo contesto. Al 1950 risale la fondamentale dichiarazione del Ministro degli esteri francese Schuman:
<<Il governo francese propone di mettere l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei.>>
Dove c’è già un’idea, anzi un embrione di Europa unita, com’era da tempo immaginata dai grandi padri fondatori: intellettuali come Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, statisti come De Gasperi, Adenauer, Spaak, Churchill, Monnet e lo stesso Schuman. In principio è la CECA, Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (Parigi, 1951): comprende Belgio, Francia, Germania Federale, Italia, Olanda e Lussemburgo. Ma le basi più solide della nuova Europa vengono gettate a Roma nel ’57, dove quegli stessi paesi vollero un’unione doganale, una Commissione e una Corte di Giustizia Europea, avviando anche importanti piani di cooperazione nel campo dell’agricoltura, delle comunicazioni e dell’energia nucleare pacifica (EURATOM). L’Italia è rappresentata dal ministro degli Esteri Gaetano Martino. Furibonda l’opposizione comunista: l’europeismo delle sinistre sarebbe maturato in seguito, molto gradualmente, e sempre con molte riserve.
Nel corso dei decenni, intanto, si passa dalla Guerra Fredda a una (relativa) distensione tra i blocchi. Dopo il Trattato del Lussemburgo (1970), è tutto un incalzare di vertici, conferenze, protocolli internazionali, incontri informali. Con l’esigenza di dare ordine ai commerci e stabilizzare i cambi, nasce l’idea di un’unione monetaria. L’accordo di Basilea, così, getta le basi del cosiddetto “serpente”, che vedrà associate le valute CEE entro ristrette “fasce d’oscillazione”. Nel ’79, a Parigi, il serpente evolve in un principio di Unione Monetaria. Nasce l’ECU, come semplice unità statistica di conto, che però anticipa la futura moneta unica: l’Euro (=lire 1936,27). E’ in questa prospettiva che si collocano gli accordi di Schengen, sulla libera circolazione di uomini e merci ma anche sul rafforzamento dei controlli doganali esterni, e soprattutto di Maastricht (1992): dove tra l’altro si prefigura per la futura Eurozona tutta una serie di parametri tesi alla stabilità monetaria e di bilancio: rapporto deficit pubblico/PIL non superiore al 3 per cento, rapporto spesa pubblica/PIL non superiore al 60 per cento, tasso di inflazione non superiore dell’1,5% rispetto a quello dei tre paesi più virtuosi.
A Maastricht il processo di integrazione aveva subito una forte accelerazione grazie all’abilità e alla sapiente lungimiranza del cancelliere Helmut Kohl, lucido e generoso europeista. Nell’ ’89, con il collasso del comunismo, è crollato il Muro di Berlino, e lo scenario si è bruscamente dilatato.Già molti paesi ex comunisti premono nell’anticamera, mentre Kohl realizza senza gravi traumi il grande sogno dell’unificazione tedesca. Ma la scelta più coraggiosa e difficile è nella rinuncia del fortissimo marco in favore della nuova moneta europea. Ad Amsterdam (1997) si rafforza l’integrazione. A Lisbona, nel 2009, si sostituisce infine la Costituzione europea bocciata dai precedenti referendum francese e olandese.
Oggi
Il resto è cronaca attuale. I grandi crash bancari in America, la crisi dei debiti sovrani, i contrasti tra Mitteleuropa e paesi mediterranei sul ruolo della BCE e la condivisione del debito. I dilemmi tra crescita e rigore. La forte iniziativa di Mario Draghi e le violente contrarietà tedesche.
Si è visto fin qui quanto denso e travagliato sia stato nei decenni il percorso di questo nostro continente, e quante e quali generazioni di pensatori, economisti e statisti abbiano dato in questa costruzione il meglio di sé. L’Unione si è nel tempo consolidata e allargata (oggi comprende 27 paesi), ha saputo attraversare nella pace e spesso nel benessere le temperie più turbolente, articolando le sue istituzioni e dandosi nuovi e più duttili strumenti operativi. Ma forse, scontrandosi nel vivo delle difficoltà pratiche, ha perso un po’ dell’appeal iniziale. Come un giovane che debba passare dalle nobili idealità dell’adolescenza alle dure difficoltà quotidiane per crescere uomo. Ora c’è chi ne paventa la disgregazione, mentre in effetti pregiudizi e stereotipi sembrano tenacemente consolidati. Qualche tempo fa la Francia viveva nell’incubo dell’Idraulico Polacco. Mentre in Italia, dopo decenni d’indebitamento demenziale, la Merkel – in realtà delfina di Kohl e ben più europeista di tanti suoi concittadini – è percepita come un’arcigna esattrice prussiana, solo perché pretende conti in ordine e rispetto dei trattati.Un’infantile fuga dalle responsabità. In compenso, dopo che il presidente Draghi ha imposto alla BCE l’uso operativo dello scudo anti-spread – come una qualunque Banca Centrale che correttamente si preoccupi di calmierare i mercati e le loro distorsioni a difesa di titoli e moneta – l’opinione pubblica e i media tedeschi sembrano perdere la testa, pur tenendo conto dei toni sempre un po’ scalmanati di ogni campagna elettorale. Leggiamo.
Sueddeutsche Zeitung: “”E’ inammissibile che un’istituzione non legittimata democraticamente (la BCE,n.d.r.) decida delle condizioni di vita in Europa, infischiandosi di ciò che pensa il Bundestag e l’Alta Corte di Karlsruhe. Quando i giudici e la legislazione non le piacciono, la Bce stampa moneta. Una cosa insopportabile”. Poi, addirittura: “La Bce e gli altri salvatori a ogni costo dell’euro nell’interesse europeo non dovrebbero spingere i cittadini tedeschi a salire sulle barricate, poiché stanno quasi per farlo”.
Frankfurter Allgemeine Zeitung: “I capi di governo del Sudeuropa possono rallegrarsi, poiché possono continuare ad indebitarsi a tassi di interesse ridotti senza curarsi degli investitori.”
Welt:”I pericoli di questa politica sono giganteschi, poiché si tratta di una redistribuzione assolutamente non trasparente e non legittimata politicamente del benessere dal nord al sud. E’ una cosa antisociale e antidemocratica. Draghi fa il lavoro sporco dei politici.”.
Anche la cultura mediterranea ha le sue responsabilità, specie in Italia. “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” di Max Weber non si direbbero il nostro forte.Lo Stato di Hegel è arcigno, lo Stato italiano è Babbo Natale. Da un lato ci appare bizzarro trovarci dei concittadini svedesi, olandesi o tedeschi con cui competere o collaborare, condividere diritti e doveri, dall’altro è tutta una gioiosa corsa filantropica al Derelitto Africano, che forse nell’inconscio beneficia ancora del pregiudizio favorevole del “buon selvaggio” illuministico. Com’è facile apparire buoni, com’è difficile costruire perfette Volkswagen.
GianLuca Caffarena