La notizia che l’Imam che aveva denunciato per blasfemia Rimsha Maseeh, la bambina di fede cristiana accusata di aver bruciato pagine del Corano, è stato arrestato per aver manipolato le prove contro la bambina pone in risalto quanto le leggi sulla blasfemia finiscano per trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Il religioso aveva aggiunto volontariamente delle pagine del Corano in mezzo ai fogli di carta bruciati dalla bambina allo scopo di costruire delle prove false contro di lei e poterla poi, accusare di Blasfemia ossia offesa alla religione musulmana. Un’accusa che ha condotto la piccola Rimsha, che è affetta da sindrome di Down, in carcere dove vi si trova incarcerata dal 16 agosto scorso in attesa del processo. Forse da tempo l’Imam covava l’odio per i cristiani e tramava per fare in modo che questi venissero cacciati lontano dalla sua comunità musulmana. Quando un vicino di Rimsha gli si è presentato e gli ha raccontato di averla vista bruciare dei fogli di carta e che questi  forse erano pagine del Noorani Qaida, il manuale per imparare a leggere il Corano non avrà creduto alle sue orecchie ed ha subito messo in atto il suo diabolico piano. L’imam ha subito fatto arrestare per blasfemia dalla polizia la giovane cristiana e poi, ha mobilitato i suoi fedeli contro la comunità cristiana del piccolo villaggio di  Mehrabadi nei pressi di Islamabad. La folla aizzata dall’Imam ha anche tentato di strappare la bambina ai poliziotti per bruciarla viva. In passato molte delle persone accusate di blasfemia sono state uccise dalla gente inferocita, ma stavolta per fortuna non è accaduto nulla grazie anche ai poliziotti che si sono saputi opporre alla folla. Però, quanto accaduto ha spinto i cristiani residenti nell’area, circa 800 famiglie, ad abbandonare le proprie abitazioni e a scappare via per timore di ritorsioni da parte della popolazione musulmana. Sono le severe leggi anti-blasfemia vigenti in Pakistan, a maggioranza musulmana, a consentire tutto questo. Leggi che prevedono l’ergastolo e addirittura la pena di morte per chi è giudicato colpevole di aver offeso o insultato il Corano o il Profeta Maometto e contro cui in tanti si battono per farle riformare in quanto cosi come sono le ritengono pericolose perchè in suo nome fanatici religiosi e non solo, le usano per colpire minoranze religiose, specie i cristiani, o per mettere in atto loro intenti criminali. Questa legge di fatto giustifica qualsiasi abuso nella difesa dei diritti religiosi tanto è  vero che nel rapporto annuale curato dalla Commissione nazionale di Giustizia e pace, Ncjp, della Chiesa cattolica pakistana, nel 2010 almeno 40 persone sono state incriminate per blasfemia. Tra queste vi sono 15 cristiani, 10 musulmani e 6 ahmadi. Le persone assassinate con il pretesto della ”legge nera” sono invece 37, fra cui 18 cristiani e 16 musulmani. Nella maggioranza dei casi le morti derivano da omicidi extragiudiziali. Dal 1986, anno dell’entrata in vigore, al 2010 le persone imputate per blasfemia sono state 1081, di cui 138 cristiani, 468 musulmani e 454 ahmadi.  Per fortuna la vicenda della piccola Rimsha in pochi giorni si è trasformato in un caso internazionale facendo registrare la mobilitazione dell’intera comunità  internazionale a sua difesa. Forse per la prima volta in merito è intervenuto anche il presidente pakistano, Asif Ali Zardari che dicendosi  preoccupato ha chiesto al ministero dell’Interno di fare chiarezza sulla vicenda e invitato le autorità locali a spiegare le motivazioni dell’arresto  della bambina. In Pakistan come in altri Paesi di fede musulmana sono in continuo aumento gli episodi di violenze nei confronti dei cristiani  specie di minori. Nel corso degli anni bambine e bambini di fede cristiana sono stati rapiti per essere convertiti a forza all’islam o uccisi per loschi  traffici di organi, molte bambine sono state anche uccise dopo aver subito violenza sessuale. Di fronte a questa crescente problematica numerose  organizzazioni umanitarie si battono per portare alla luce del sole questa situazione e impedire che questi crimini restino impuniti.