Da 7 mesi e 14 giorni due sottoufficiali della Marina Militare italiana, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, sono trattenuti dalle autorità dello stato federale indiano del Kerala contro
la loro volontà e quella del governo italiano.  I due militari italiani, che si trovano a Kochi in libertà su cauzione, sono accusati di aver ucciso in mare, il 15 febbraio scorso, scambiandoli per pirati somali, due pescatori indiani originari del distretto di Kollam mentre si trovavano a bordo della nave italiana Enrica Lexie. I due marò erano parte di un team di sicurezza denominato Nuclei Militari di Protezione, NMP, istituiti dall’Italia con la legge 130 del 2011 nata per difendere le navi commerciali di bandiera dagli attacchi pirati. Si tratta di una legge nata incompleta, come riconosciuto da più parti, e che ha coinvolto i militari della Marina Militare in una dinamica di ‘sicurezza sussidiaria’ che è invece, più adatta ad un privato.  I militari degli NMP devono attenersi a regole d’ingaggio basate sul principio dell’autodifesa,
cioè l’uso della forza solo quando è necessario, e svolgono una mansione di contrasto alla pirateria marittima per conto del governo italiano in ottemperanza a risoluzioni ONU e quindi godono di immunità funzionale. Quell’immunità che il governo indiano non ha voluto invece, riconoscere ai marò dell’Enrica Lexie anzi, non ha voluto nemmeno riconoscere che il drammatico episodio si è svolto in acque internazionali. Nell’Oceano Indiano sono frequenti incidenti come quello che è avvenuto il 15 febbraio scorso al largo delle coste indiane del Kerala. Numerose volte inermi pescatori, scambiati per pirati, sono stati uccisi dai team di sicurezza armati imbarcati sulle navi in transito. Un fatto che di certo nel tempo ha finito per esasperare gli animi delle popolazioni costiere dei Paesi coinvolti e quindi ha dato vita ad una sorta di ‘caccia alle streghe’.  Mai, prima del caso dell’Enrica Lexie, chi aveva scambiato in mare dei  pescatori per pirati era stato ‘preso’. Quale occasione migliore quindi, per gli indiani di dare un esempio a tutti e far capire che non sempre la si passa liscia. Nel tempo, quella che appare sempre di più una vicenda figlia della testardaggine da parte delle autorità indiane a voler trattenere ad ogni costo i due marò e a volerli giudicare per omicidio, sta producendo una estenuante attesa e agitazione. Un’attesa soprattutto per un verdetto della Suprema Corte di New Delhi che non arriva ancora ed un’evidente irritamento del governo italiano, che fino ad oggi ha affidato solo alla sua diplomazia la ricerca di una soluzione, ma domani non si sa cosa potrebbe decidere in merito. A tutto poi, si ‘affianca’ la forte inquietudine che assilla gli amici e i familiari dei due soldati italiani. In Italia si sono creati diversi ‘partiti’ pro e contro una reazione decisa nei confronti dell’India.
Qualcuno, contro l’ostinazione indiana, ha addirittura chiesto misure di ritorsione ai danni degli indiani che vivono e lavorano in Italia. In merito a questa vicenda il 14 settembre scorso si è espresso il ministro degli Esteri Giulio Terzi spiegando che: “Abbiamo diritti da vendere, vogliamo risolvere il caso sul piano politico, giuridico, legale, non con sotterfugi. E lo risolveremo”. Il capo della diplomazia italiana ha voluto anche chiarire il punto sulla volontà espressa da una parte dei politici italiani a chiedere una più marcata reazione alle pretese indiane affermando: “Non so cosa voglia dire battere i pugni sul tavolo, ma la diplomazia non è il gioco dei pasticcini, vuol dire essere duri quando bisogna essere duri e noi lo siamo stati fin dall’inizio. Non sono d’accordo sulle ritorsioni nei confronti di popolazioni che non c’entrano. Non appartiene alla mia cultura e a quella di questo governo”. In questi lunghissimi mesi la diplomazia italiana ha lavorato per assicurare ai due fucilieri di marina
un’adeguata assistenza legale e una condizione di vita che non limitasse eccessivamente le loro libertà personali.  Un’azione diplomatica che ha coinvolto anche l’ONU e la comunità internazionale, Ue compresa, nel valutare e giudicare la controversia nata tra India e Italia.  Nessuno sa o può prevedere cosa succederà nelle prossime settimane.  Difficile soprattutto capire dove sta la ragione e dove il torto. La situazione è davvero complicata. Comunque quello che è certo è che l’India si trova in una posizione predominante. Gli indiani si sentono in diritto di fare quello che hanno fatto finora e forse chiunque altro al loro posto avrebbe fatto lo stesso. Ognuno lavora per far valere le proprie ragioni e la soluzione sta proprio nello stabilire chi ha ragione Il tutto ha avuto inizio nel momento in cui l’Enrica Lexie, nave della società di navigazione Flli D’Amato di Napoli, ha cambiato rotta è fatto ritorno al porto di Kochi, nell’India meridionale, sottostando alle richieste delle autorità indiane. La nave non era tenuta ad obbedire ne tantomeno a tornare indietro. Ormai si trovava in acque internazionali. La nave commerciale italiana, con a bordo anche sei militari italiani, è tornata indietro per ordine del suo comandante, Umberto Vitelli che a sua volta eseguiva quello del suo armatore come ha anche spiegato, davanti all’assemblea parlamentare a Roma, il ministro Terzi. Quello messo in atto dagli indiani è stato un vergognoso espediente per riportare l’Enrica Lexie in acque territoriali indiane. Gli indiani hanno infatti, fatto credere a chi si trovava a bordo della nave italiana di dover rilasciare una testimonianza su un episodio avvenuto in mare e che li aveva visti protagonisti di uno scontro con dei pirati somali. In questo modo la nave e chi vi era a bordo sono stati riportati nel porto di Kochi dove poi, i due militari italiani, rispettivamente il capo e il vicecapo team, sono stati arrestati con l’accusa di omicidio. Una colpa che in India, se riconosciuti colpevoli, viene punita con l’ergastolo o con la pena di morte. Per fortuna dopo un lungo tira e molla tra armatore e autorità indiane il 5 maggio scorso la nave Enrica Lexie è stata lasciata andare via. A bordo, oltre all’equipaggio, anche l’NMP ma incompleto. Dei 6 marò che lo componevano solo 4 hanno potuto lasciare le acque territoriali indiane, gli altri 2, LaTorre e Girone, sono stati trattenuti in India. Da quel giorno tutti gli sforzi della diplomazia italiana si sono concentrati sull’obiettivo di riportare a casa anche gli altri due marò. Entro le fine di questo mese, al massino nei primi dieci giorni di quello di ottobre, è atteso il fondamentale pronunciamento della Corte Suprema di New Delhi sulla questione della territorialità sulla base della quale si fonda la difesa dei due militari italiani trattenuti in India.  Per l’Italia i due sottoufficiali di marina hanno agito in acque internazionali per cui devono essere giudicati in Italia. La Suprema Corte indiana deve stabilire se il tribunale dello stato del Kerala, quello del distretto di Kollam, sia competente o meno a giudicare i due marò o questi debbano essere giudicati in Italia. Un pronunciamento che dovrebbe giungere in una ormai prossima udienza. L’ultima seduta del massimo organo giudiziario di New Delhi si è svolta lo scorso 4 settembre quando i giudici Altamas Kabir e J.Chelameswar, che compongono la seconda sezione, dopo aver ascoltato la replica della difesa, hanno dato tempo entro il 10 settembre successivo ai legali dello Stato del Kerala e di quello centrale di presentare le loro controrepliche scritte prima di stabilire la data di una nuova udienza. Nel frattempo, prima il 17 settembre e poi, il 26 settembre scorsi, il tribunale di primo grado di Kollam ha dovuto aggiornare l’udienza per l’avvio del processo a carico dei due militari della marina proprio per il mancato pronunciamento della Corte Suprema indiana. In subordinazione di questo pronunciamento il magistrato che presiede la corte, il giudice P.D. Rajan ha rinviato la seduta al prossimo 10 ottobre. Purtroppo il tempo che la Corte Suprema indiana si è presa per decidere sulla vicenda è davvero troppo lungo ed estenuante e questo, sta contribuendo a logorare ulteriormente gli animi dei protagonisti della vicenda che sono già fortemente agitati. Sfortunatamente gli indiani giocano in casa e all’Italia non resta che attendere come ha finora fatto senza alimentare ulteriori dissidi. Ad allungare i tempi anche il cambio al vertice del massimo organo giudiziario indiano. Nei giorni scorsi lo ‘Chief Justice of India’, Sarosh Homi Kapadia è andato in pensione e al suo posto è stato nominato il giudice Altamas Kabir. Questo cambio potrebbe anche rivelarsi utile alla ‘causa’ dell’Italia in quanto il nuovo ‘capo’ è preceduto da una buona reputazione. Il conto alla rovescia sul pronunciamento del massimo organo giudiziario indiano è quindi iniziato, ormai non ci sono più scuse per rimandare. In merito alla vicenda ieri si è espresso, a margine dei lavori della 67esima Assemblea generale dell’ONU, ancora il numero uno della Farnesina che ha affermato: “La situazione dei due marò è di assoluta inaccettabilità e inammissibilità, ma l’Italia attende con trepidazione e fiducia la sentenza della Corte Suprema dell’India, un Paese che è una grande democrazia”.  Nella stessa sede anche il presidente del Consiglio Mario Monti ha affrontato la questione. Monti ha pronunciato un discorso in cui ha rivendicato le regole internazionali della lotta contro la pirateria marittima e dunque il diritto dei due marò italiani ad essere giudicati in Italia. L’attenzione è ora rivolta alla prossima settimana quando l’India nella stessa sede parlerà della lotta alla pirateria ed esporrà il suo progetto di voler imbarcare militari indiani armati a bordo delle proprie navi commerciali per difenderle dagli attacchi dei pirati somali, come hanno già fatto tanti altri Paesi tra cui l’Italia. Di certo in quell’occasione l’Italia cercherà ancora una volta di far valere le sue ragioni. L’India è uno dei Paesi che è stato più colpito dal fenomeno della pirateria marittima in corso nell’Oceano Indiano e nel bacino somalo. Decine di navi indiane sono state catturate e dirottate e centinaia di marittimi indiani sono stati presi in ostaggi dalle gang del mare somale. L’india nell’ambito del contrasto internazionale al fenomeno ha schierato nel mare infestato dai predoni del mare alcune sue navi da guerra e finora ha catturato e imprigionato almeno un centinaio di pirati somali. Un risultato che le è valso l’astio dei pirati somali che si sono rifatti con ritorsioni sui marittimi-ostaggi di nazionalità indiana.

Ferdinando Pelliccia