Dopo il caos estivo sui mercati, la riforma sembrava imminente. Ma per ora non ci sono cambiamenti all’orizzonte.

È  attuale, ma ha radici antiche. Potremmo dire che è semplicemente esploso in estate ma i presupposti perché questo accadesse c’erano già tutti anni fa, precisamente nel 2008, quando in piena crisi da mutui subprime il  Segretario americano al Tesoro, Timothy Geithner lanciò l’allarme sul funzionamento del tasso d’interesse più discusso del momento, e su come questo potesse essere manipolato dalle banche a proprio piacimento. Il grido, purtroppo, rimase inascoltato. Stiamo parlando dello scandalo Libor, deflagrato ufficialmente alla fine di giugno quando la Barclays, uno degli istituti più colpiti dal ciclone, ha accettato di pagare una multa record di 453 milioni di dollari, oltre ad allontanare top manager e trader. Ma dopo l’enorme clamore e i titoli a pagina intera sui quotidiani che cosa è veramente cambiato a mesi di distanza? Ripercorriamo le tappe dall’inizio.

 

Cos’è il Libor

La sigla è l’acronimo di London Interbank Offered Rate, cioè  il tasso di riferimento per i mercati finanziari europei, ovvero il tasso in base al quale si scambiano denaro le banche operanti nel mercato interbancario londinese. Solitamente le banche si prestano denaro tra loro durante la notte dopo la chiusura dei mercati. Il Libor è un tasso variabile e viene calcolato e pubblicato ogni mattina (alle ore 11 di Londra) dalla British Banker’s Association. È capace di influenzare oltre 500mila miliardi di dollari in strumenti finanziari e prestiti, dai derivati ai mutui. È inoltre il principale punto di riferimento di altre operazioni finanziarie, come prestiti auto, prestiti agli studenti, tassi delle carte di credito e mutui a tasso variabile.

 

Lo scandalo

Barclays, ma non solo. Nello scandalo Libor e nelle inchieste sulle presunte manipolazioni del tasso di prestito interbancario sono coinvolte anche la Royal Bank of Scotland, Deutsche Bank, JpMorgan Chase, Citigroup, Ubs, Credit Suisse, Bank of Tokyo-Mitsubishi Ufj, Hsbc, Mizuho Financial, Rabobank, Société Générale e Sumitomo Mitsui. Il motivo per cui sono accusati gli operatori finanziari è quello di aver manipolato volontariamente il Libor, ammorbidendolo, in modo da ottenere vantaggi sul mercato: con il Libor basso, infatti, le banche ottenevano notevoli guadagni, a discapito dei clienti che guadagnavano meno interessi, oltre a dimostrare un – falso – stato di salute degli stessi istituti bancari. Un Libor più alto invece fa pesare maggiormente la rata del mutuo. Il Wall Street Journal ha calcolato che lo 0,3% in più del Libor porterebbe ad un aumento della rata mensile di pagamento di 100 dollari per un mutuo a tasso variabile di 500mila mila dollari.

Secondo l’economista Nino Galloni “La gravità risiede nel fatto stesso della manipolazione e poi nella continuità dell’imbroglio nei confronti di coloro che domandano liquidità e vengono indotti a sottoscrivere anche collaterali o derivati per scaricarsi da rischi mentre proprio chi li offre trama contro”. “Con l’aumento degli spread, continua Galloni, molti enti – soprattutto pubblici – sottoscrissero (malconsigliati) titoli assicurativi che pagavano un rendimento quando lo spread ovvero l’euribor saliva; le stesse amministrazioni pubbliche, quindi, furono convinte a comperare l’acquisto di tali titoli per assicurarsi dal rischio di aumenti degli interessi da pagare sulle emissioni obbligazionarie. Quindi, le deliziose banche di interesse planetario, manipolando al ribasso l’euribor si assicuravano la possibilità di non pagare la scommessa”.

 

Cosa è cambiato.

Durante lo scandalo sembrava fosse giunto ormai il tempo di riformare un sistema e un meccanismo che proprio per la sua natura si prestava ad essere manipolato e aggirato a piacemento dagli istituti di credito. La verità è che non è stato fatto nulla, almeno fino ad ora. Tante le proposte, le idee, le ipotesi di riforma,ma la realtà è che si è gridato talmente forte che alla fine è rimasto tutto com’era. Le notizie più recenti parlano di uno studio sul tavolo della Commissione Europea, che ha avviato anche una consultazione pubblica che terminerà il 15 novembre (Il Sole 24 Ore 10 settembre 2012). Tra gli obiettivi – presa consapevolezza che un sistema più aspro di pene e sanzioni non basterebbe da solo a contenere il fenomeno – ci sarebbe quello della creazione di un nuovo sistema “per regolare il modo in cui gli indici e i benchmark sono costruiti, prodotti e usati”. Almeno fino al prossimo scandalo.

Possibili soluzioni

Sempre secondo Nino Galloni, per combattere la tentatazione all’imbroglio e dotare il sistema di un meccanismo più “sano” bisognerebbe “rilanciare il ruolo delle banche sul territorio – fondamentale per lo sviluppo – ma con quattro condizioni: il ripristino dell’incompatibilità tra attività bancaria e speculativa in capo ad uno stesso soggetto; lo svelamento di come la banca di credito funziona (sono i debitori che creano, col loro lavoro, la moneta che affluisce al sistema bancario stesso); l’allentamento degli attuali vincoli (Basilea 2 e 3 e non solo) in cambio di istruttorie più attente alla capacità di reddito dei prenditori (invece che solo su garanzie reali degli stessi, ovvero parametri finanziari delle banche). Quello di cui c’è bisogno – conclude Galloni – è un accordo sistemico tra utenti, politica, istituzioni pubbliche e banche per lo sviluppo (anche studiando uno scaricamento adeguato dei debiti accumulati e, fino al raggiungimento di un migliore livello dell’occupazione, tassi di interesse non superiori all’inflazione, in modo di giocarci la ripresa sull’andamento del PIL nominale invece di quello reale).

Fulvio D’Andrea