In attesa delle risposte dei periti, nominati per l’inchiesta, alle cinquanta domande del Gip di Grosseto sui contenuti della scatola nera, i fari mediatici si sono affievoliti sulla tragedia della ‘’Costa Concordia’’che – va doverosamente ricordato- ha fatto 32 vittime innocenti, e anche prodotto gravi traumi a quelle migliaia di poveri sventurati imbarcati per una crociera di vacanze sul mare. L’imbecillità umana, miscelata con la spavalderia, complice un’atmosfera vacanziera  – in una notte stellata di inizio di questo bisesto 2012, con mare calmo, di fronte ad una fra le isole più belle del Mediterraneo- ha causato  un vero disastro umano, materiale, e di immagine globale della nostra marineria. I riflettori mediatici, giustamente accesi all’inizio per comunicare il nefasto e vergognoso evento, ed anche per dare atto dello spirito solidale ed encomiabile dei soccorritori –sia quelli della Marina che dei Corpi dello Stato -hanno, in seguito, spettacolarizzato l’evento spendendo  ‘’milioni di watt’’ in vane interviste, in talkshow, tanto inutili e fuorvianti, quanto indecorosi. Alcune trasmissioni della nostra ‘’beneamata e cara’’ RAI, si fa per dire, sono riuscite a passare l’inverno, la primavera e parte dell’estate ‘’gossipando’’ quotidianamente, speculando sul caso, dando un servizio pubblico al cittadino al limite dell’assurdo, con esperti omnipresenti di veline e pseudo – naviganti che di esperienza –forse- avevano quella di navigare virtualmente nel proprio computer, ma non certo in odore di salmastro. Altro che servizio pubblico e corretta informazione; demagogiche e pelose comunicazioni e opinioni a ruota libera, e come tali assai opinabili, hanno portato a un giustizialismo a priori e a prescindere, seguito da uno ‘’smondanamento’’ internazionale, sia degli attori dell’incidente, che di tutta la nostra povera marineria. Un approccio culturale e giuridico tipico di un Paese alla deriva valoriale, in cui ormai prevalgono il gusto masochista e insieme autolesionista dell’affondamento degli altri, ma anche proprio; linciaggi alimentati da perversi cortocircuiti mediatici colpevolizzanti, tipici di un Paese incivile e illiberale. Un Paese per furbi, guasconi, narcisi e mariuoli che ben han capito come orientarsi nel magma mediatico che governa la nostra misera quotidianità, sfruttandolo e tentando – spesso con successo-, di far credere che ’’Gesù, anziché crocefisso, morì di freddo nel deserto’’. I media nostrani hanno una concezione teleologica (o utilitaristica) dell’informazione, in cui spesso si pubblica ciò che costituisce un obiettivo ‘’pagante’’ anche se poco etico e deontologico; la dimostrazione più evidente di tale ‘’patologia’’ si è avuta proprio nello strascico delle interviste sulle vicende della Costa Concordia. Il famoso Capitano, che tutto il mondo ci invidia, è stato intervistato nella sua dimora a Sorrento, sembra dietro lauto compenso perché si trattava di esclusiva a personaggio di spicco (?!); nella vergognosa intervista, con una miscellanea di fatti artatamente raccontati intorno alla tragedia  –compreso la logica, la cronologia,la ragione, oltre che ogni credibile aspetto di arte navale- l’autore del misfatto naviga nella metafisica e negli spazi celesti affermando che ‘’a guidarlo nelle decisioni finali è stato Dio che gli ha messo una mano sul capo’’, evitando così una strage. Sembra che anche il suo ‘’Secondo’’, a margine della recente udienza per l’incidente probatorio, abbia dichiarato che ‘’se il Comandante avesse gettato le ancore al largo, la tragedia sarebbe stata di dimensioni maggiori’’. Davvero un eccellente Capitano che merita una medaglia sul campo per indiscussi atti di valore, per la babele di menzogne raccontate; oltre la serie di fandonie marinaresche e di ‘’combutta ‘’, è paradossale e offensivo che si dicano simili sconcezze: non ci sono davvero più limiti alla vergogna, al pudore, alla decenza, neppure davanti alla sacralità delle vite umane distrutte.

La tragedia della motonave ‘’Costa Concordia’’, un gigante del mare di 290 metri con oltre 4200 persone imbarcate –un grattacielo flottante di 54 metri- è connessa unicamente ad  un  comportamento   irresponsabile. Non d’imperizia si tratta che, negli incidenti e sinistri marittimi e aerei, è esclusa perché gli attori, e in particolare il Comandante, possiedono tutta la preparazione  nautica e le competenze professionali per adempiere ‘’con perizia’’ le funzioni di bordo. Al Giglio, invece, la negligenza, la totale mancanza di prudenza, e la ‘’est-etica’’ della responsabilità ha prevalso sulla professionalità e sul comune buon senso, creando le condizioni immediate per un disastro. Un naufragio della responsabilità, della dignità e dell’onore: portare la nave su uno scoglio –Le Scole- che non c’era sulle carte(? Giustificazione puerile e pietosa!), per scambio di favori, con un esibizionismo straordinario di un ‘’inchino’’ sottocosta, conferma comportamenti, usi  e costumi che di ‘’marinaro’’ non  hanno nulla.                                                                                                                                                                        L’azione azzardata di portare una nave di 115.000 tonnellate, con oltre 4200 anime a bordo, alla  velocità  pazzesca di 16  nodi, alla distanza irrisoria di 200 metri dalla costa, ha dell’ incredibile ed è imperdonabile: è infatti la causa del disastro. Buona norma anticollisione e un minimo di prudenza, avrebbero imposto che la ‘’Costa’’fosse ben più al largo dalla costa, almeno dell’ordine di qualche miglio, altro che della decina di metri. Altro che ‘’navigazione turistica’’;chi va per mare deve sempre tenere a mente che  possono occorrere all’ improvviso  delle  emergenze, quali  l’avaria al timone, il malfunzionamento di  un motore, un incendio, ecc, che richiedono  acqua e spazi  sgombri per poter manovrare in sicurezza  e  governare la nave.  Alcune elementari considerazioni marinaresche avrebbero imposto che: primo, non ci si avvicina alla costa con un grattacielo di quel genere, passando a mezzo miglio dagli scogli o da bassi fondali; secondo, anche se non si va a sbattere, il transito vicino alla costa crea danni agli altri natanti e a terra, per l’onda prodotta dalla stessa nave a 16 nodi; terzo, l’accostata a dritta con tutto il timone porta la parte centro-poppiera del lato opposto a scarrocciare sensibilmente sulla sinistra; quarto,la nave torna sul punto iniziale o nelle vicinanze, se lasciata con timone costante, smorzando naturalmente il moto, anche senza interventi umani. Non c’è bisogno di rispondere a 50 domande sulla scatola nera, basta  dare una risposta a queste 4 di ordine deontologico per capire che gli errori fatti sono marchiani ed inaccettabili; poi, per quelle ulteriori relative ai soccorsi ed all’etica marinara, basterebbe richiamare le norme tradizionali insite nelle responsabilità di un Comandante riportate negli aforismi navali che risalgono agli albori della nostra marineria. ………..’Nel servizio navale possono accorrere alcuni avvenimenti, quali il naufragio e l’abbandono della nave che vanno giudicati con criteri severissimi. Al Capitano che, ad onta dei maggiori sforzi, ha la sventura di perdere la propria nave, rimangono gli obblighi ‘’novissimi’’ che egli deve compiere prima di pensare alla sua personale salvezza, e questi sono: provvedere alla salute dell’equipaggio pel momento fatale ed essere l’ultimo ad abbandonare la nave. A niun navigatore militare o civile, a niun cuore ben fatto può sfuggire l’importanza di questi obblighi la cui trasgressione, oltre alla severità delle provvide leggi, trae sul trasgressore una nota incancellabile d’imprevidenza, di dappocaggine e peggio. L’ultimo atto del dramma si chiude colla partenza del Capitano; egli deve essere l’ultimo di tutti, dopo aver visitata accuratamente la nave  e raccolti i ritardatari..,pena la perdita sua della libertà perpetua..’’                                                                                                                                                                               

Non c’è bisogno,quindi, di perizie che tentano di coinvolgere altri soggetti nella sventura, da quelli della Compagnia di Navigazione, ad altre comparse collaterali, per scaricare parte della colpa che, invece, è tutta del negligente Capitano del bastimento che andrebbe messo ai ferri perpetui, se si applicasse quel tradizionale aforisma!   Ormai dieci mesi sono passati e il tempo è scaduto anche per un processo ‘’civile’’ e ‘’politically correct’’; basterebbe, per un giudizio giusto e definitivo, rispondere a quelle domande basilari professionali ed etiche: senza ‘’ciurlare nel manico’’ o cercare il’’pelo nell’uovo’’, ponendo così fine a sciocche e inaccettabili giustificazioni, ma anche ai pruriginosi e incivili show televisivi all’argomento.

Giuseppe Lertora