Il caso Vieri

Written in

La sentenza è di ieri. La Telecom e l’Inter sono state condannate, dal tribunale di Milano, a risarcire l’ex attaccante nerazzurro Bobo Vieri con un milione di euro. Le due società sono state ritenute responsabili di danni alla privacy per aver spiato il giocatore tramite pedinamenti e il controllo delle sue telefonate. Considerando che Vieri aveva chiesto 21 milioni di euro di risarcimento (anche per sopraggiunta insonnia e depressione a causa della vicenda), non si può dire che gli sia andata benissimo, anche se ha espresso comunque la sua soddisfazione.

E’ probabile che la sentenza, “provvisoriamente esecutiva”, sarà impugnata presso la Corte d’Appello. Aspettando lumi definitivi dai vari tribunali (c’è da dire che le prove “fisiche”, tipo cd-rom contenente i contatti telefonici di Vieri, appaiono difficilmente confutabili) urgono delle riflessioni.

Siamo tutti (o quasi) intercettati: perché intercettare è “bello”, rende più snelle e meno faticose le indagini, si può divulgare qualcosina ai media attraverso gli spifferi delle Procure (magari non gratis), pazienza se poi qualcuno finisce sputtanato anche senza aver commesso reati, e il tutto costa diversi milioni di euro l’anno. Persino il presidente Napolitano si è detto sdegnato, non appena è caduto nelle grinfie del Grande Fratello dell’ascolto, riproponendo l’urgenza del problema.

Il caso di Vieri è diverso nei “mandanti e negli esecutori”: perché non c’entra la magistratura, qui, vi sono due società che sembrano essersi adoperate per aver indagato nei confronti di un tesserato, violando la sua privacy e causando danni alla sua salute.

Il caso di Vieri è uguale al desolante panorama italiano in materia di anti privacy: perché anche “spiare è bello”; possiamo immaginare un certo numero di veline, telefonate amorose, pruriti galanti o meno, situazioni intriganti e paradossali.

Possiamo intuire che un personaggio pubblico come Vieri, avesse all’epoca un’infinità di relazioni telefoniche e di spostamenti. Il lavoro per impacchettare il dossier doveva essere stato spossante.  “Guardare” le spalle a un campione un po’ mattacchione, e che è anche un grosso investimento finanziario, dovrebbe non scandalizzare più di tanto.

Quello che lascia sconcertati è, tra l’altro, l’accuratezza dell’indagine e la perseveranza della situazione (tra il 2000 – 2001 e nel 2004). Qualora sia stato attuato per lunghi periodi lo spionaggio di un calciatore, ciò lascerebbe intendere che di lui non ci si fidava. Allora perché tenerlo? Non era più semplice ‘sbobinare’ Vieri molto prima?

Aspettiamo la sentenza definitiva e le motivazioni. Tra qualche anno, a giustizia piacendo, ne sapremo di più. Nel frattempo, e nel dubbio, non telefonate a Vieri.

Danilo Stefani