Bruno Pelizzari e Deborah Calitz, il primo con doppia  nazionalità italo-sudafricana e la seconda sudafricana, sono da qualche  mese tornati finalmente liberi.  La loro vicenda è iniziata il 26  ottobre del 2010 quando Bruno e Debbie vennero sequestrati dai pirati somali  mentre si trovavano  in mare a bordo di una barca a vela ‘Choizil’ al largo della costa  della Tanzania. I due poi, vennero condotti sulla terraferma in Somalia dove  hanno vissuto la stessa drammatica esperienza dei coniugi inglesi, Paul e  Rachel Chandler. A sequestrarli infatti, gli stessi della coppia britannica  che per rilasciarli si sono fatti pagare un riscatto di 800mila dollari dopo un lungo ed estenuante negoziato durato oltre un anno.Il solo scopo per cui vengono  sequestrati dei turisti- velisti nell’Oceano Indiano è quello infatti, estorsivo. Non è  mai capitato che un ostaggio sia stato rilasciato dai suoi sequestratori senza  prima aver ottenuto in cambio il pagamento di un riscatto. L’uso della forza  per strapparli ai loro aguzzini ha solo comportato la perdita dell’ostaggio ,  ucciso per ritorsione dai sequestratori o colpito per errore nel corso della  sparatoria scoppiata tra le parti. La prigionia di Bruno e Debbie si è  conclusa il 21 giungo scorso. Ufficialmente sono tornati liberi  grazie ad un blitz delle forze di sicurezza somale che hanno attaccato il  nascondiglio dove i loro sequestratori li tenevano in ostaggio e li hanno  liberati senza però sparare un colpo. Se fosse vero sarebbe la prima volta nella storia della pirateria somala. Bruno e Debbie hanno vissuto oltre 20 mesi  da ostaggi senza poter vedere nemmeno la luce del sole o respirare un po’ di  aria pura, legati mani e piedi chiusi in una stanza al buio. Ogni giorno  avevano a disposizione solo un litro e mezzo d’acqua da dividersi tra loro e un  solo un pasto caldo, pasta o riso, e del pane. I due al loro ritorno alla vita normale  hanno descritto la loro condizione da ostaggi come disumane. Nessuno ha voluto rivelare i dettagli  dell’operazione, frutto della collaborazione delle autorità somale di  Mogadiscio con quelle italiane e che ha condotto alla liberazione dei due, né se  è  stato pagato o meno un riscatto. I due si trovavano nel mare della Tanzania  per soddisfare un loro sogno, quello di girare il mondo in barca a vela. Bruno dopo il rilascio è ritornato ad Arrans a  Dar es Salaam  in Tanzania per continuare a vivere  quello che ama più di tutto al mondo, la vita  in mare. L’ex ostaggio dei pirati somali vive  lavorando sulle barche, mentre Debbie invece, è rimasta a Johannesburg. Di recente ho avuto modo di parlare con Bruno  e mi ha spiegato che sta bene ed è contento di essere ritornato libero e non  smetterà mai di ringraziare tutti quelli che lo hanno aiutato a tornare un uomo  libero. Quando gli ho chiesto se non avesse avuto  paura a tornare nello stesso mare dove era stato sequestrato dai predoni del  mare somali lui mi ha risposto: “Certo che ho  paura. Ma se tu hai un incidente con l’auto dopo non guiderai più un’auto?”. Con Bruno ho ripercorso a ritroso parte della  vicenda che lo ha visto protagonista insieme a Debbie e gli ho posto alcune domande di cui riporto le più significative. Alla mia domanda se la sua è stata  un’esperienza terribile o meno lui mi ha risposto:  “Si era terribile, ma l’esperienza mi ha  fatto bene mi ha reso più ‘strong’ come l’acciaio. Quello che non ti ammazza ti  fa più forte”.  Gli ho chiesto anche se quando  era ostaggio a cosa pensava e se gli capitava di pensare a qualcuno o qualcosa  che aveva paura di non rivedere più e Bruno mi ha risposto: “Ho avuto 20 mesi per pensare. Non avevamo niente. Nulla per scrivere solo la mente. Eravamo  ‘handcuffed’ tutto il tempo. La camera era al chiuso e non potevamo vedere  fuori. Abbiamo pensato a tutto.  Abbiamo  sofferto tutti i problemi che esistono al mondo”. A Bruno ho voluto chiedere anche se quando  stavano per essere liberarti, lui e Debbie, se lo hanno capito e lui mi ha  risposto: “ Per tre volte la liberazione era li. Era un sorpresa e non volevamo  crederci  era troppo la nostra  depressione”.  Quando io gli ho chiesto  in che senso tre volte? Bruno mi ha risposto: “Tre volte in un paio di mesi ci  hanno detto che noi andavamo a casa, ma non si è mai materializzato. Quando non  succedeva era brutto per la mente”. Quando gli ho domandato  se quando è  stato poi, veramente liberato lo sapeva e se sono stati i soldati somali  a liberarlo e se ha sentito degli spari quando questi hanno attaccato il  nascondiglio Bruno mi ha risposto: “Era un ‘operation’ tra  italiani e somali government. Buon Dio non  hanno sparato”.  Alla mia domanda sul  perchè non hanno sparato Bruno mi ha risposto: “La storia e intricata. Ci sono  cose che anche io mi domando”. Quando gli ho chiesto se sapesse del  pagamento di un riscatto per il suo rilascio e quello di Debbie, Bruno mi ha  risposto: “Noi non lo sappiamo. We only know what they want us to know. Noi  sappiamo solo quello che loro vogliono che noi sappiamo e quello che noi  sappiamo non è certo”. Allora io gli ho chiesto perchè si nasconde la verità,  forse perché è una verità inconfessabile? Bruno mi ha risposto in maniera  sibillina: “La organizzazione e molto grande. Dove sono i soldi ci sono  problemi. Io sono come Pinocchio. A puppet on a chain”.  Alla mia domanda tu cosa sai? dimmi quello  che sai? Bruno mi ha risposto: “Abbiamo sentito delle cose, ma io non sono  certo. E non posso dire le cose se non sono certo. Do not believe in rumours”. Quando gli ho spiegato che si dice che sia  stato pagato ai pirati somali un riscatto per il loro rilascio e che la somma  pagata è di 500mila dollari  Bruno mi ha  risposto: “Tutta la storia sarà dentro un libro”. Bruno mi ha infatti,  anticipato che Debbie sta scrivendo la storia  e che sarà completata tra un paio di settimane e raccolta in un libro dal  titolo ‘20 months in pirate hell’. Un libro che sarà pubblicato da una società editrice inglese, la Penguin Books.  Come sempre accade nei casi di sequestri di  marinai da parte dei pirati somali si cerca sempre di dimenticare e di lasciarsi  tutto alle spalle e voltare pagina. Un tentativo che si dimostra quasi sempre  difficile. I fantasmi del periodo che è durato il sequestro tornano sempre a  tormentare l’animo e la mente degli ex ostaggi. Come sempre restano anche le  verità inconfessabili che nessuno vuole svelare.

Ferdinando Pelliccia