Nell’Oceano Indiano i pescatori sono sempre di più  ‘vittime’ delle guardie armate a bordo dei mercantili e pescherecci e dei marinai di alcune navi da guerra. Forse si commettono degli abusi nell’agire nel nome della lotta alla pirateria marittima al largo della Somalia e nell’Oceano Indiano. Paradossalmente sembra che i più danneggiati da questo contrasto anziché essere i pirati somali sono invece, chi si reca per lavoro a  pescare nel mare infestato dalle gang del mare somale. Risultano infatti, in aumento i casi in cui dei pescatori, gente che quindi si guadagnano da vivere pescando, vengono uccisi per errore da personale armato, militare e non, facente parte di team di sicurezza anti pirateria imbarcati a bordo di navi commerciali e pescherecci in transito nel bacino somalo e Oceano Indiano per difenderle da attacchi pirati.  Quegli stessi uomini che per anni hanno chiesto la restituzione di un mare e delle sue ricchezze abusato dagli stranieri sono ora quindi abusati loro stessi venendo uccisi ingiustificatamente. A far pensare che forse si commettono degli abusi è il fatto che negli ultimi mesi si sono registrati in maniera crescente una serie di episodi in cui presunti pirati somali sono stati uccisi dalle guardie armate o sono stati catturati da navi da guerra straniere  e alla fine si è  scoperto che invece, erano semplicemente dei pescatori.  Un dato che ha fatto scattare un campanello d’allarme. Lo ‘scorazzare’, avanti e indietro, per le acque che lambiscono le coste dei Paesi del Corno D’Africa e di quelli che si affacciano sull’Oceano Indiano di navi da guerra, mercantili e pescherecci stranieri presidiati da uomini armati ha reso altamente a rischio la vita di tutti quelli che si dedicano ‘onestamente’ all’attività di pesca in quelle acque.  Da tempo infatti, i  pescatori denunciano, inascoltati, di essere vittime delle marine militari  internazionali e nell’ultimo anno dei team di sicurezza imbarcati sulle navi  commerciali e pescherecci stranieri a loro difesa da attacchi pirati.  Un fatto questo che, ironia della sorte, pone  per loro la minaccia che viene dai pirati somali come una minaccia secondaria. Dai predoni del mare infatti, numerosi  pescatori subiscono solo furti delle barche e di motori. Furti che si spiegano  con il fatto che poi, i pirati somali usano queste imbarcazioni e i motori per  compiere la loro attività criminale. La situazione sta ormai degenerato. Dai pochi sporadici casi si è passati  a continui incidenti in cui i pescatori perdono la vita o vengono arrestati e  ingiustamente imprigionati come sospetti pirati.  Il fenomeno è cresciuto in maniera  esponenziale negli ultimi dodici mesi. Infatti, anche se è dal 2008 che è in corso nel  mare del Corno D’Africa e Oceano Indiano un tentativo di affrontare militarmente  il fenomeno della pirateria marittima per debellarlo, solo da poco tempo le navi  da guerra internazionali hanno iniziato ad effettuare operazioni più energiche  nei confronti dei pirati somali o presunti tali. Compiendo a volte anche azioni  preventive come il bloccare e controllare ogni tipo di  imbarcazione che incontrano in mare e ricorrendo facilmente all’uso dell’armi  al primo ‘gesto sospetto’. Lo scopo di tutto questo è quello di poter consentire  alla fine la libera navigazione ai mercantili di tutto il mondo lungo la rotta  che collega l’Asia con l’Europa ora minacciata dai predoni del mare. Tutto ciò però, ha innescato anche una sorta di abusi  nell’agire nel nome della lotta alla pirateria marittima.  Si sono infatti, verificati episodi di ‘eccessi’ che  delineano chiaramente che è messa a rischio non solo la libera navigazione, ma  anche l’attività dei pescatori che operano nel mare infestato dai pirati somali. I pescatori ormai evitano di  allontanarsi dalla costa, al massimo arrivano a due miglia marine da essa,  anche se sanno bene che è al largo che vi sono i pesci più grossi e pregiati  come il tonno e lo sgombro. In questo modo però, essi sperano di evitare le  navi militari delle missioni internazionali antipirateria e le navi da pesca e  da carico straniere con a bordo team di sicurezza armati. Il problema è reale e nasce soprattutto dal fatto che molti pescatori, specie i somali, escono in mare aperto portando con se un’arma. Si tratta di una vecchia usanza nata in quella parte  del mondo dalla necessità di potersi difendere dai predoni che cercano di  portare via loro il pescato.  Purtroppo di questi tempi però, vedere  un uomo armato in pieno Oceano è per molti sinonimo di pirata.  Inoltre, le barche che usano i pirati sono simili a quelle dei pescatori anzi, a volte sono quelle dei pescatori. Ed ecco che  nasce l’equivoco. Si fanno sempre più numerose le testimonianze di  ‘incontri’ tra navi da guerra o mercantili con pirati somali o presunti tali.  Queste testimonianze raccontano di sparatorie e uccisioni. Raccontano di molti marinai  usciti per andare a pescare e che non sono più tornati indietro o che sono  finiti, innocenti, nelle carceri somale accusati di pirateria marittima. Addirittura alcuni raccontano di episodi di abusi da  parte delle navi da guerra senza però, indicarne la nazionalità. Potrebbe  trattarsi, se confermato, di unità navali militari che operano nel ‘mare dei  pirati’ in maniera individuale. Difficile credere che tali azioni possano  essere compiute da quelle che operano nelle tre missioni navali internazionali anti pirateria. Qualcosa quindi comincia a non funzionare nel senso  giusto nella lotta alla pirateria marittima. Forse si ricorre troppo facilmente  all’uso delle armi. Questo, specie dopo l’ingresso prepotente, nel contrasto al  fenomeno, dei team di sicurezza armati privati composti per lo più da ex  militari.  Come forse anche perché la procedura  finora seguita dai team militari di lanciare una serie ripetuta di ‘Warning  Shots’, ossia ‘attenzione se non vi allontanate spariamo’, forse è stata ormai  messa da parte. Dalla minaccia di usare le maniere forti per debellare fenomeno forse tutti sono passati direttamente ai fatti solo che a pagarne le  conseguenze non sono i pirati somali, ma soprattutto i pescatori. Un esempio di quanto accade in quella parte del mondo, in  quel mare infestato dai pirati somali, è la vicenda  che vede tuttora coinvolti, loro malgrado, due marò italiani, Massimiliano LaTorre e Salvatore Girone, che si trovavano a bordo della petroliera italiana, ‘Enrica  Lexie’ come team di sicurezza antipirateria e che sono dal 15 febbraio scorso  trattenuti dalle autorità locali dello stato federale indiano del  Kerala con l’accusa di aver ucciso per errore  due pescatori locali scambiandoli per pirati somali. Come questo però, tanti altri incidenti  non sono mai venuti a galla. Eppure ogni giorno se ne contano tanti lungo le  zone costiere dei Paesi che si affacciano sull’Oceano Indiano.

Ferdinando Pelliccia