Il 4 ottobre scorso dalle pagine della rivista indonesiana di politica internazionale ‘Strategic Review’ il ministro Terzi lanciava un interrogativo: “Quale Paese sarà disposto ad inviare suoi militari per proteggere le proprie navi, sapendo che rischierebbero l’arresto facendo il proprio dovere?”.  Un interrogativo che è un chiaro riferimento alla vicenda che vede protagonisti i due marò italiani trattenuti in India. Una vicenda che è soprattutto caratterizzata dall’atteggiamento intransigente dell’India che mette a rischio la lotta al fenomeno della pirateria marittima.  Per le prossime settimane sono attesi con trepidazione nuovi sviluppi del caso che vede coinvolti loro malgrado due marò italiani.  Si tratta di due  sottoufficiali della Marina Militare, Massimiliano LaTorre e Salvatore Girone che si trovavano, come team di sicurezza, a bordo della petroliera Enrica Lexie e che sono accusati dalle autorità dello stato federale indiano del Kerala di aver ucciso, il 15 febbraio scorso, per errore in mare due pescatori locali. I due sarebbero stati scambiati dai marò per pirati somali.  L’Italia attende che l’India rispetti  pienamente il diritto  internazionale.  L’incidente infatti, sarebbe avvenuto quando la Enrica Lexie si trovava ormai a 22 miglia nautica dalle coste meridionali indiane, quindi oltre al limite internazionalmente riconosciuto delle 12 miglia. Per questo motivo l’Italia sostiene che spetti ad essa giudicare e, se riconosciuti colpevoli condannare i due militari italiani. Sono in aumento, o per lo meno se ne denunciano di più, i casi di pescatori uccisi per errore in mare dal personale dei team di sicurezza, militare o privato, impegnato a protezione delle navi mercantili di quei Paesi che hanno deciso di difendere le loro navi quando sono in transito nelle acque infestate dai predoni del mare  come Oceano Indiano e mare del Corno D’Africa.  Oltre alla vicenda che vede, loro malgrado, coinvolti i due marò italiani vi sono anche altri casi i cui autori o presunti tali sono noti. Uno di questi è quello accaduto lo scorso mese di luglio quando ancora una volta un pescatore indiano è stato ucciso da militari americani che si trovavano a bordo della nave rifornimento della Marina Militare americana, USNS Rappahannock, o quello avvenuto lo scorso mese di agosto in cui sarebbe morto un pescatore ucciso da guardie armate russe imbarcate a bordo della petroliera norvegese, Nordic Fighter. Restano però, tantissimi i  casi in cui invece, i responsabili sono rimasti anonimi. Nell’Oceano Indiano  in particolare sono tanti, tantissimi i pescatori che escono in mare per pescare e non fanno più ritorno.  Intanto, la vicenda dei due marò italiani va per le lunghe ed è al centro di una forte diatriba tra Italia  e India. Una vera e propria battaglia legale, a colpi di istanze, è in corso da mesi, oltre 8 mesi, nello stato del Kerala.  Intanto, di pari passo procede il lavoro certosino della diplomazia italiana per riportare a casa i  due marò sani e salvi.  Ieri è giunto la ratifica  della Camera, con un voto unanime, 458 SI, un astenuto e nessun contrario, all’accordo Italia-India per il trasferimento dei condannati, siglato il 10 agosto  scorso tra i governi dei due Paesi. Il provvedimento è ora passato all’esame del Senato.  Si tratta di un importante passo in avanti affinchè i cittadini italiani che si trovano nelle carceri indiane possano tornare in Italia. L’intento è ovviamente quello di risolvere vicende come quelle dei due marò, ma anche di ‘dare una mano’ ad altri connazionali come Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni. Si tratta dei due italiani condannati all’ergastolo in India per la morte di un loro compagno di viaggio, Francesco Montis e detenuti nel carcere indiano di Varanasi. L’impressione comune a tanti  è che gli indiani sulla vicenda dei due marò vogliano guadagnare tempo in attesa chissà di quale ‘miracolo’ che dimostri che essi siano dalla parte della ragione. Per tutti  chiaro che il comportamento delle autorità locali indiane del Kerala è contrario al principio dal codice penale internazionale che stabilisce che gli organi dello Stato sono immuni dalla giurisdizione penale dello Stato straniero quando svolgono attività ‘iure imperii’. La convinzione generale è che la Corte Suprema indiana è difficile che si possa pronunciare contro la richiesta di giurisdizione richiamata dall’Italia in base al diritto internazionale.  Diversamente verrebbero meno tutti i valori giuridici che tengono insieme la giurisprudenza nazionale e internazionale ossia chi si farebbe carico di una decisione contro macchierebbe il proprio onore e quello dell’istituzione che rappresenta. Con molta probabilità tutto questo tergiversare è solo un modo per cercare di salvare capra e cavolo. Che i due fucilieri del reggimento San Marco, LaTorre e Girone, siano i veri responsabili della morte dei due pescatori indiani è del tutto da dimostrare e seppure fosse, il fatto è accaduto in acque internazionali dove l’India non ha giurisdizione e a bordo di una nave battente bandiera italiana.  In merito, è indubbiamente sindacabile il comportamento della Corte Suprema indiana, che deve sentenziare a riguardante del ricorso presentato dall’Italia proprio sulla giurisdizione da applicare nella vicenda.  Da questo verdetto dipende anche il processo per omicidio che si deve svolgere a Kollam a carico di LaTorre e Girone, e che è già stato rinviato innumerevoli volte. L’ultimo rinvio è all’8 novembre prossimo. Visti i presupposti si assisterà di certo ad un ennesimo rinvio.  Il massimo organo giudiziario indiano tergiversa e non emette la sua sentenza bloccando di fatto  ogni procedimento penale nei confronti dei due militari italiani in India. Ed ora, si appresta anche  a celebrare due periodi di ferie legate a due importanti ricorrenze religiose. Questo organo giudiziario, che ha sede a New Delhi, resterà infatti, chiuso dal 22 al 27 ottobre e dal 12 al 17 novembre prossimi in occasione della festa di Dusshera e di quella del Diwali (o Festa delle Luci), che segna il Capodanno induista.  Una chiusura che di fatto prolunga ancora l’attesa per un verdetto che inspiegabilmente non arriva.  Eppure la Suprema Corte indiana si riunisce per deliberare su altre questioni tanto è vero che nei giorni scorsi ha sentenziato su una questione che forse non è meno importante, ma cronologicamente è seconda a quella dei due marò italiani. Il massimo organo giudiziario indiano ha ripermesso ai turisti di poter accedere nei 41 parchi nazionali dedicati alla protezione della tigre del Bengala dopo averlo vietato lo scorso 24 luglio.  Gli indiani, ‘anche se hanno il coltello dalla parte del manico’, stanno facendo davvero perdere la pazienza a tutti.  Nel frattempo, i due sottoufficiali di marina si trovano in libertà su cauzione a Kochi. Si tratta della città portuale indiana del Kerala da cui è iniziata questa vicenda dopo che la petroliera Enrica Lexie della società armatrice partenopea F.lli D’Amato è tornata indietro, sebbene si trovasse già in acque internazionali mettendo di fatto i due militari italiani nelle mani delle autorità dello stato meridionale indiano. La nave lo scorso mese di maggio è tornata dal ‘suo’ armatore, mentre i due militari sono rimasti in India.  Per questo motivo appare sempre più evidente a tutti che occorre elaborare una nuova giurisprudenza nei Paesi interessati da casi del genere.  Alla fine dello scorso mese, nel corso del suo intervento all’assemblea generale dell’ONU, il presidente del Consiglio, Mario Monti parlando della lotta alla pirateria in generale ha  ricordato che questa può essere efficace solo se le nazioni cooperano in buona  fede, secondo le regole fissate dai regolamenti internazionali e dalla  convenzioni ONU, incluse quelle che difendono la giurisdizione dello Stato in  acque internazionali. Un chiaro riferimento, senza nominarla, alla vicenda  indiana. In quella stessa sede il primo  ottobre scorso l’India ha ribadito le sue priorità nella lotta al terrorismo e  alla pirateria, specialmente al largo della Somalia. Parlando davanti ai membri  dell’assemblea il ministro degli esteri indiano, S. M. Krishna ha affermato:  “L’India continua ad essere seriamente preoccupata per la minaccia  rappresentata dagli atti di pirateria”. Il ministro indiano ha voluto anche  sottolineare la necessità di ‘un’azione concertata a livello internazionale  sotto l’egida dell’ONU in modo da poter garantire il benessere delle persone  che lavorano in mare e delle loro famiglie. In mano ai pirati somali sono  trattenuti in ostaggio almeno 40 marittimi di nazionalità indiana, alcuni anche  da moltissimi mesi. Nei confronti degli indiani le gang del mare somale  mostrano particolare interesse in quanto lo scorso anno il Paese asiatico è  stato tra i loro principali ‘nemici’ dandogli moltissimo filo da torcere e  riuscendo a catturare oltre un centinaio di pirati somali che ora sono ospitati  nelle carcere indiane. Un’azione che poi, a metà anno è stato interrotta per il  fatto che aveva scatenato ritorsioni nei confronti dei marittimi indiani  catturati dai pirati somali. Ed è per questo motivo che sempre S.M. Krishna ha  voluto sollecitare la comunità internazionale ad affrontare il problema serio  dei marinai trattenuti in ostaggio dai pirati somali. Attualmente in mano alle  gang del mare sono tenuti prigionieri almeno 200 marittimi di diversa  nazionalità tra cui anche degli europei. Successivamente, il 7  ottobre, ‘India nel definire allarmante l’aumento degli attacchi dei pirati  somali al largo delle coste della Somalia ha chiesto l’intervento della  comunità internazionale e delle Nazioni Unite.  L’ambasciatore indiano  presso le Nazioni Unite, Hardeep Singh ha suggerito la creazione di una forza  navale antipirateria sotto lo  stemma dell’ONU e il coordinamento tra le varie unità navali per eliminare il  grave fenomeno.  Da tempo nel mare infestato  dai pirati somali sono attive tre missioni navali internazionali di cui una  europea e diverse altre in forma individuale per contrastare il fenomeno. La  stessa India è impegnata con proprie navi da guerra in pattugliamenti  antipirateria nel Golfo di Aden e  nella parte orientale e nord orientale del Mar Arabico.  Evidentemente per molti la  ‘mossa’ indiana è dettata dal fatto che nel periodo settembre-dicembre 2012 l’India  è presidente del Gruppo di contatto sulla pirateria al largo della Costa della  Somalia (CGPCS). Quale occasione migliore per imporsi nello scenario  internazionale della lotta alla pirateria marittima e guadagnare il plauso  dell’intera comunità. Il numero uno della  Farnesina, Giulio Terzi replicando alle parole di Krishna scriveva sul suo  profilo di Twitter che: “C’è un solo modo affinchè l’India possa continuare a  manifestare coerentemente la sua posizione contro la pirateria: rispettando il  diritto internazionale. Lo stesso diritto che concede all’Italia la  giurisdizione esclusiva su nostri marò”. A cui facevano eco quelle del numero  due della diplomazia italiana, Staffan de Mistura: “Le preoccupazioni  dell’India e dell’Italia sulla pirateria sono un motivo in più affinchè si  protegga chi, come i nostri due marò, fa il suo dovere per proteggere le navi”.  Nei giorni scorsi il  ministro degli Esteri ha di nuovo ribadito che i due marò italiani in India torneranno  a casa. “Non sono in grado di dare una data ma torneranno a casa”, ha   assicurato Terzi.

Ferdinando Pelliccia