“La pirateria marittima, tristemente d’attualità, è un fenomeno crescente nelle acque del globo, che colpisce maggiormente nelle aree dell’Oceano Indiano e in quelle adiacenti il Corno d’Africa. Nel 2010 i marinai rapiti sono stati 1.181 e le navi sequestrate 53, delle quali ben 49 nelle acque al largo della Somalia”.  “A tutt’oggi sono trattenute dai pirati somali oltre una decina di navi e circa 200 membri di equipaggi di varie nazionalità. Naturalmente, ciò che maggiormente preoccupa l’Apostolato del Mare è la vita dei marittimi e delle loro famiglie, messe a rischio dai pirati e provate da tensione e paura che perdurano anche a lungo termine. Si nota soprattutto un incremento della violenza nella gestione degli ostaggi, si prolungano i tempi di detenzione e la capacità dei sequestratori di resistere nella gestione complessiva delle trattative. E’ necessario che i marittimi, prima di attraversare quelle acque tanto pericolose, siano sufficientemente avvisati su quanto potrà accadere, sulle procedure messe in atto per tutelare loro e le loro famiglie. E invece, mancano supporti di comunicazione e di vicinanza a quanti, a casa, attendono incerti il ritorno dei loro cari sequestrati. Durante il nostro Congresso un avvocato marittimo descriverà la sua lunga esperienza nel condurre negoziati con i pirati somali, che si sono risolti con il rilascio di decine di navi e dei loro equipaggi. Sarà importante anche la testimonianza del comandante della nave Savina Caylyn, Giuseppe Lubrano, che per mesi ha subito il sequestro dei pirati, anche perchè dirà qual è stato il ruolo della fede nel dargli forza fino al felice ritorno in libertà di tutti i membri del suo equipaggio”.  Con queste parole alla vigilia dei lavori del XXIII Congresso Mondiale dell’Apostolato del Mare, dedicato alla ‘Nuova evangelizzazione nel mondo marittimo’, e i cui lavori si concludono oggi dopo essere iniziati il 19 novembre scorso, il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti, nell’anticipare i temi del convegno, ha voluto lanciare un’allarmante denuncia. Grazie al porporato il fenomeno della pirateria marittima e la lotta per combatterlo sono stati  inseriti accanto ad altri temi del Congresso come la pesca illegale, il traffico di persone, il lavoro forzato e altri ancora. Alle parole del Card Vegliò si sono poi, associate quelle di padre Gabriele Bentoglio e di Bruno Ciceri, rispettivamente sottosegretario e officiale del Pontificio consiglio della pastorale dei migranti e degli itineranti. Da loro lanciato anche un altro allarme: ”Siamo vicini soprattutto alle famiglie delle vittime di pirateria – ha spiegato padre Bruno Ciceri – che devono affrontare lunghi periodi di paura, angoscia e difficoltà di vario genere, anche economico. Se l’assistenza alle vittime della pirateria, anche per i casi come quello della Savina che hanno attirato l’attenzione della opinione pubblica, è conosciuta, meno noto, è il fenomeno dell’abbandono delle navi nei porti. Magari dopo un controllo delle autorità che ne blocca la navigazione, le navi vengono lasciate a se stesse perchè gli armatori non trovano più conveniente lasciarle in mare e per i marinai si aprono lunghi periodi di difficoltà e di ansia sul proprio futuro. Portiamo loro da mangiare, sigarette e carte telefoniche, nel lungo processo che a volte si conclude con la messa all’asta della nave”. Portato ad esempio il caso della  ‘Gina Iuliano’, una nave da carico italiana del 1990 di 64 mila tonnellate di stazza, lunga 266 metri, all’ancora dal 5 giugno nel porto indiano di Vizag dove è stata bloccata dai creditori della fallita compagnia armatrice, la Deiulemar di Torre del Greco. Una tragedia senza eco, ma che è in corso da mesi. “Dal 20 ottobre – ha scritto un suo ufficiale – abbiamo iniziato a ridurre il consumo di diesel fermando i generatori ausiliari di bordo e mettendo in funzione quelli di emergenza ad orari intermittenti. Con una temperatura esterna diurna sui 35 gradi, la chiusura del condizionamento rende insopportabile la vita nelle cabine. Nei serbatoi ci resta un’autonomia di dieci giorni al massimo. Meno male che di acqua dolce ne abbiamo in quantità”. A tal proposito al congresso è presente anche una delegazione del comitato Welfare Ravenna, che segue parecchie navi abbandonate, tra cui quella su cui un marittimo è morto per attacco cardiaco e si è dovuto far venire i familiari dalla Turchia per il riconoscimento e il rimpatrio della salma.