I pirati somali puntano, metaforicamente parlando, il coltello alla gola dell’india. Ovviamente questo gli è dato modo di poterlo fare grazie al fatto che nelle loro mani trattengono, anche da anni, almeno una quarantina di marittimi di nazionalità indiana. Si tratta dei membri degli equipaggi di navi catturate nel corso degli ultimi anni. Una parte di essi si trovano prigionieri a bordo di navi dirottate, mentre altri si trovano a terra. Tutto questo ha comportato che nel mare della Somalia si consumi un dramma nel dramma. Il duro braccio di ferro armato in atto tra India e pirati somali sta di fatto portando a gravi conseguenze per i marittimi indiani. I predoni del mare somali infatti, nell’intento di voler far ‘pagare’ all’India il suo forte impegno nella lotta alla pirateria marittima si stanno rivalendo sui marittimi di nazionalità indiana che cadono nelle loro mani. I pirati somali infatti, da tempo ormai, riservano ai membri degli equipaggi delle navi catturate che sono di nazionalità indiana un trattamento diverso dagli altri ostaggi di altra nazionalità. Addirittura anche quando viene pagato un riscatto, per il rilascio di una nave e del suo equipaggio, le gang del mare trattengono i marittimi di nazionalità indiana. Questo, a dimostrazione della loro forte voglia di volersi vendicare per il fatto che l’India detiene legalmente un centinaio di pirati somali catturati in mare dalle navi della sua Marina Militare. Purtroppo il rischio che marittimi indiani cadano nelle mani dei pirati somali è altissimo in quanto oltre il 10 percento del totale dei marittimi che lavorano per le compagnie di navigazione di tutto il mondo sono di nazionalità indiana. Il fatto poi, che questi indiani sono dei lavoratori e non dei soldati, e che per mare non vanno a combattere una guerra, ma a lavorare e quindi non sono preparati a sopportare le angherie e le privazioni che invece, poi, subiscono cadendo nelle mani dei pirati somali ha finito per allarmare fortemente il governo di New Delhi preoccupato per i sui cittadini. E’ un dato di fatto che i marittimi catturati dai pirati vivono un’esperienza che segna la loro vita e che coinvolge in maniera drammatica anche i loro familiari. Ancor di più a mettere in allarme le autorità indiane il forte e crescente malessere che sta montando tra i familiari dei marittimi indiani trattenuti in ostaggio dai pirati somali. Familiari che si mostrano sempre più esasperati per il trascorrere inesorabile del tempo senza avere notizie certe dei loro cari e la certezza di poterli riabbracciare sani e salvi. Dopo che lo scorso anno a centinaia, parenti e amici di marittimi ostaggi, sono anche scesi a protestare per le vie della capitale indiana New Delhi, le autorità indiane hanno cercato di correre ai ripari per evitare dannose situazioni interne. Alla fine l’India, dopo essere stato per mesi il Paese capofila nel contrasto alla pirateria marittima, ha dovuto, per forza maggiore, allentare la pressione militare sui pirati somali. Di contrappasso però, dallo scorso mese di settembre il governo di New Delhi ha consentito alle navi commerciali di bandiera di poter  imbarcare guardie armate a bordo. ‘Security Contractor’ che hanno il compito di difenderle dagli attacchi pirati. Una difesa armata delle navi commerciali indiane fortemente voluta dagli Armatori indiani forti dei dati positivi. Nel frattempo, i predoni del mare hanno continuano a fare pressione sul governo indiano affinchè rilasci tutti i pirati somali detenuti nelle prigioni in India minacciando di rivalersi sui marittimi indiani ostaggi. Si tratta di almeno un centinaio di predoni del mare catturati negli ultimi due anni dalle navi da guerra indiane che operano nell’ambito del contrasto alla pirateria marittima al largo della Somalia. La gran parte di essi sono originari del Puntland, la regione semiautonoma indipendente somala e solo una minima parte provengono dalla Somalia. Questa grave forma di ritorsione verso l’India è di fatto, anche un inquietante passaggio della pirateria marittima. Attualmente sono prigionieri in Somalia marittimi indiani che erano membri degli equipaggi di diverse navi catturate e dirottate dai pirati somali. Alcune sono state sequestrata anche oltre due anni fa. Il computo contempla i 6 indiani parte dei 24 marittimi di equipaggio della ‘MV ICEBERG 1’ catturata il 29 marzo del 2010. I 2  indiani parte dei 23 marittimi dell’equipaggio della ‘MV ALBEDO’ catturata il 25 novembre del 2010. I 17 indiani parte dei 22 marittimi dell’equipaggio della ‘MV GRAZIA REALE’ catturata il 2 marzo scorso. Nei mesi scorsi i pirati somali hanno rilasciato un marittimo cingalese e 11 egiziani, trattenendo però, 4 marinai pachistani e 6 indiani membri dell’equipaggio della MV SUEZ. Mentre il 15 aprile del 2011 hanno rilasciato la MT ASFALTO VENTURE dopo l’ovvio pagamento di un riscatto di 3,5 mln di dollari. Insieme alla nave rilasciato anche il suo equipaggio composto da 15 marittimi. Tutti tranne i 7 marittimi indiani che ora si trovano prigionieri a terra in un remoto villaggio forse nella regione di Mudug a circa 20 chilometri da Harardheere. In questi giorni proprio in merito ai marittimi indiani di questa nave la gang del mare che li trattiene si è rifatta viva chiedendo per il loro rilascio la liberazione di alcuni loro compagni rinchiusi nelle carceri indiane. La notizia è stata riportata nella sua edizione on line del 20 novembre scorso dal ‘The Hindu Business Line’. Due dei sette marittimi sono originari dello stato federale indiano del Kerala. In virtù di questo, in merito alla vicenda si è espresso il primo ministro di questo stato meridionale indiano, Oommen Chandy che ha suggerito al governo centrale di assecondare le richieste dei pirati somali. Il governo indiano però, come tanti altri, almeno ufficialmente, non tratta con i pirati somali ne tantomeno paga i riscatti. Secondo l’edizione odierna on line del ‘The Hindu Business Line’ sembra però, che molti membri del governo siano favorevoli allo scambio giustificandolo come un gesto umanitario verso i marittimi ormai prigionieri in Somalia da due anni. Un fatto questo che in India fa assumere il rientro a casa dei marittimi indiani, ancora in mano ai pirati somali, un valore particolare. Per cui il fatto di cedere alle pressioni della gang del mare che li tieni sequestrati non è considerato un gesto di debolezza da parte del governo indiano, ma è visto come un gesto appunto umanitario. Dalla parte delle autorità anche l’opinione pubblica indiana che vede di buon grado il cedere alle pressioni dei banditi del mare che trattengono i loro concittadini. Il timore, condiviso, è che però, il fatto potrebbe costituire un pericoloso precedente che se preso ad esempio da altre gang del mare, specie in un periodo di ‘magra’ per i predoni del mare come quello in corso, potrebbe creare non poche problematiche. Per cui la parola d’ordine che primeggia è ‘cautela’. Secondo recenti stime attualmente nelle mani delle gang del mare somale vi sono almeno 180 marittimi di diversa nazionalità. Tutti trattenuti a bordo delle loro navi catturate in attesa che qualcuno paghi un riscatto per il loro rilascio. Ad essi vanno aggiunti altri 29 marittimi che sono senza nave e sono tenuti prigionieri a terra. Sono invece, almeno 5 le navi mercantili e diverse altre le barche da pesca catturate, dirottate e trattenute lungo la costa somala dove hanno i loro covi i pirati. La diffusione su vasta scala della difesa armata delle navi mercantili, imbarcando team di sicurezza armati a bordo, sta diventando fonte di grosse preoccupazioni per i pirati somali. Alla fine l’attività piratesca si è drasticamente ridotta e nei primi dieci mesi del 2012 sono stati compiuti solo 34 attacchi di cui solo 5 andati a buon fine grazie alla presenza di team di sicurezza a bordo. Tutto questo ha però, comportato il dover pagare, per gli atti di pirateria marittima, sempre più spesso un prezzo in sangue. Si tratta di quello versato dalle decine di vittime sia dalla parte pirata sia dalla parte dei marittimi ostaggi delle navi assaltate. Senza contare il sangue versato da inermi pescatori che sono stati uccisi in mare per errore dalle guardie armate o dai militari delle marine straniere perché scambiati per pirati. In tanti usciti in mare per pescare non hanno mai più fatto ritorno a casa. La pirateria al largo della Somalia trae origine dallo scontento dei pescatori somali dovuto alla pesca illegale compiuta dalle navi da pesca provenienti da Paesi come Francia, Spagna, India, Italia, Giappone, Cina e tanti altri. Navi che illegalmente andavano a pescare nelle acque costiere somale ricche di tonno, pesce spada, aragoste e gamberi. Privando di fatto, i pescatori somali del pesce che dava loro sostentamento.  Quando poi, nel 2005 ci fu lo tsunami lungo la costa orientale dell’Africa emerse un altro grande scandalo. Tonnellate di rifiuti radioattivi e sostanze chimiche tossiche vennero sparpagliate dall’ondata di piena sulle spiagge. Rifiuti rimossi dal fondo del mare al largo della Somalia dove erano stati gettati da navi provenienti dai Paesi industrializzati. A causa di questo decine di migliaia di somali si sono ammalati di malattie cancerogene causate dal piombo e metalli pesanti come il cadmio e il mercurio. Malattie tipiche dei Paesi industrializzati in un Paese dove invece, di industrie non vi è nemmeno l’ombra. Una prova questa che la Somalia è stata utilizzata per decenni, e forse ancora oggi, come un’immensa ‘dispensa’ dove andare a razziare  e come discarica per i rifiuti tossici, industriali e ospedalieri dell’Occidente e non solo. Nel 2006 i pescatori somali, di fronte al colpevole immobilismo dell’ONU, a cui si appellarono per chiedere che venisse posto fine a quanto avveniva, decisero di reagire e iniziarono a usare le maniere forti per scacciare i pescherecci stranieri che andavano a depredare il loro mare. A quel punto le compagnie di pesca straniere reclutarono miliziani armati per intimidire i pescatori locali che dovettero a loro volta armarsi e combattere per difendere il loro diritto alla sopravvivenza. Il dado era tratto e da quel momento nessuno è potuto più tornare indietro e il resto è storia. Oggi i pirati somali, che sono ben lontani dai primi pescatori somali che imbracciarono un’arma per rivendicare i loro diritti, minacciano un’importante rotta commerciale quella tra Oriente e Occidente che passa attraverso l’Oceano Indiano e il Golfo di Aden e attraverso cui passa il 40% del commercio marittimo mondiale ed è seguita da almeno 40mila navi l’anno. Questo alla fine ha finito per fornire una scusa a molti Paesi, in gran parte gli stessi da cui provenivano le navi da pesca che pescavano di frodo nelle acque somale, di rinforzare la loro presenza soprattutto militare in quella parte del mondo e ancor peggio su mandato ONU.

Ferdinando Pelliccia