Pochi giorni fa con una nota il presidente somalo, Hassan Sheikh Mohamud ha annunciato che il gruppo islamico degli al Shabaab è stato ormai sconfitto militarmente dopo la conquista da parte delle forze governative somale e dell’Amisom della città somala di Jowhar. Un annuncio che non rispecchia pienamente la realtà somala. I miliziani filo al Qaeda degli al Shabaab sono di certo indeboliti, ma sono ancora lontani dall’essere completamente sconfitti per cui è più coretto dire che hanno subito un sensibile ridimensionamento. Un ridimensionamento sul terreno dovuto soprattutto all’azione militare svolta dalle forze armate keniote, meglio equipaggiate e motivate di quelle somale che alla fine si sono limitate solo a supportarle. Il lavoro ‘pesante’ lo hanno fatto invece, i soldati del contingente Ua dell’AMISOM e la milizia Ras-Kamboni guidati da Ahmed Madobe alleata del governo somalo. La discesa dei miliziani islamici degli al Shabaab in Somalia è iniziata dall’agosto del 2011. In quel periodo essi si sono ritirati dalla capitale Mogadiscio. Una ritirata definita da loro strategica per adottare una nuova strategia. In effetti era il tentativo di cercare di ribaltare la situazione che ormai era evidente volgeva a loro sfavore. Da allora hanno iniziato a compiere azioni terroristiche a 360 gradi. La capitale somala si è trasformata nel teatro di assassinii ed attentati suicidi, mostrando in tutta la sua negatività l’incapacità e la precarietà del governo somalo. Gli stessi membri del governo e del Parlamento sono entrati nel mirino dei terroristi come il ministro degli Interni somalo, Abdikarin Guled Hussein, che ad inizio di dicembre è scampato alla morte nel corso di un agguato compiuto da miliziani del gruppo islamico. Questa azioni sono, secondo il parere di molti, gli ultimi colpi di coda di questi integralisti islamici somali affiliati ad al Qaeda che sono ormai in rotta. Il gruppo terroristico, nato dalla parte più integralista delle Corti Islamiche, UCI, nel 2007 è riuscito ad avere la meglio sulle fragili forze militari governative e a conquistare gran parte del territorio somalo instaurandovi un proprio governo e costituendone nelle città somale passate sotto il loro controllo validi e forti roccaforti. Una vittoria favorita dalla debolezza del governo di transizione somalo di Mogadiscio, Tfg, corrotto e paralizzato da lotte intestine. Terreno fertile nella loro ascesa i terroristi di al Shabab l’hanno trovato anche grazie al malcontento che serpeggiava tra la popolazione somala costretta ad una profonda indigenza nonostante i numerosi aiuti economici internazionali, specie di ONU ed USA, che però, non sono mai arrivati a destinazione. Il 70% degli aiuti economici stranieri devoluti al governo di Mogadiscio è infatti, scomparso nel nulla. Poi, come per miracolo le cose si sono lentamente messe apposto. L’interesse comune è prevalso su quello individuale o dei clan. Mentre le popolazioni civili hanno tolto l’appoggio ai terroristi stanche della guerra. Un dato di fatto questo che ha portato la comunità internazionale a confidare nel nuovo parlamento e governo somalo che insieme al riconfermato presidente Sheikh Mohamud dalal scorsa estate stanno governando il Paese africano fino alle elezioni del 2016 che dovrebbe dare alla Somalia un Parlamento e un governo nazionale eletto democraticamente dal popolo, i primi dal 1991. Fino ad un anno fa i ribelli filo al Qaeda erano arrivati a puntare il coltello alla gola del Tfg. Sembrava che si fosse giunti alla spallata finale e anche l’ultima roccaforte democratica del Paese sarebbe crollata. Unico loro ostacolo alla vittoria finale erano pochi e svogliati soldati governativi e i peacekeeping della forza di pace Amisom dell’Ua, sostenuti economicamente e logisticamente dagli USA e dall’Ue. Proprio quest’ultimi erano la loro spina nel fianco ed erano l’unico motivo per cui il Tfg non aveva ancora capitolato. Poi è cambiato tutto quando il Kenya ha deciso di intervenire militarmente nel Paese ed è stato l’inizio della fine per gli al shabaab. Lungo le coste del nord della Kenya nell’ultimo anno si sono verificate numerose azioni di gang somale, legate indirettamente agli al Shabaab, che hanno compiuto attentati e rapimenti soprattutto di cittadini stranieri. Nell’ottobre del 2011 il presidente kenyano Mwai Kibaki ha dato il via libera all’ operazione “Linda Nchi” con la quale il suo esercito ha attraversato il confine
con la Somalia per avanzare contro i mujahedin somali e punirli per le loro scorrerie nei territori di confine Kenyani. Un intervento militare che di certo ha goduto del benestare di USA e Francia. Diversi cittadini di questi due Paesi sono infatti, caduti, in territorio Keniano, vittime dei miliziani al Shabaab, rapiti o uccisi. Rapimenti e uccisioni che hanno fortemente danneggiato il turismo nel Paese del Corno D’Africa e su cui si appoggia l’economia interna. Per cui l’intervento ufficialmente è stato per colpire le basi da cui partivano le scorrerie e creare una zona cuscinetto lungo il confine tra i due Paesi africani, ma oggi, a distanza di tanti mesi, è chiaro il disegno militare e politico dell’operazione. Alla fine le forze governative somale hanno approfittato dell’indebolimento dei mujahedin somali impegnati su più fronti ed hanno avviato una loro offensiva militare appoggiati come sempre dai soldati dell’AMISOM. Un offensiva che ha permesso loro di riuscire in un’impresa impensabile fino a pochi mesi prima, la riconquista dalle principali città somale strappandole ai miliziani di al Shabaab. Una riconquista che risalta ancor di più con la presa, lo scorso mese di settembre, della città portuale di Kismayo, capoluogo della regione autonoma dello Jubaland nel meridione del Paese africano e ritenuta roccaforte inespugnabile dei ribelli islamisti. Una perdita di peso per i miliziani islamici che hanno perso un importante snodo economico e logistico che influirà di certo sulle loro linee di rifornimento. Tutto questo sta spingendo i mujahedin somali a ripiegare nell’entroterra, a sud e al centro della Somalia, dove stanno cercando di riorganizzarsi. Ormai però, intorno a loro si stringe sempre più la morsa delle forze militari kenyane e governative appoggiate dai soldati dell’Amisom. Impossibile trovare un rifugio sicuro anche perchè numerosi droni USA pattugliano costantemente il territorio somalo registrando ogni loro spostamento. Un lavoro di intelligence supportato anche dalla presenza a terra di piccoli gruppi di militari o uomini dell’intelligence di diversi Paesi. Purtroppo i miliziani islamici ‘messi alla porta’ dal meridione del Paese africano stanno lentamente spostandosi sempre più verso il nord. Tutto questo sta creando non pochi problemi ai governanti di quelle regioni. Nella regione semi-autonoma del Puntland, nella Somalia nord-orientale, dove si stima che vi si siano rifugiati, finora, almeno 400 miliziani del gruppo legato ad al Qaeda nascondendosi sui Monti Golis. Questi mujahedin somali allo sbando hanno già ingaggiato diversi conflitti a fuoco con le forze di sicurezza locali con numerosi morti e feriti tra ambo le parti. In proposito nei giorni scorsi l’Ambasciatore italiano in Somalia, Andrea Mazzella in una nota ha espresso la preoccupazione italiana per queste infiltrazioni di terroristi nel territorio del Puntland. Il rappresentante diplomatico italiano ha elogiato la regione semi-autonoma somala per il suo impegno nel combattere il terrorismo nel proprio territorio ed ha anche ricordato che il governo del Puntland l’ha sempre fatto senza l’aiuto di truppe straniere.
Ferdinando Pelliccia