mappa_rdcLa Repubblica democratica del Congo, RDC, si mostra come un Paese che sembra aver di nuovo smarrito la via della Pace. Dopo una breve periodo di calma la guerra è di nuovo divampata. Ormai nella provincia del Nord-Kivu, nell’estremo oriente della Repubblica Democratica del Congo RDC, con l’esercito di Kinshasa in difficoltà nel riuscire a difendere la popolazione civile e il contingente di Pace delle Nazioni Unite sempre più impotente si sono sommate tutte le condizioni per una vera e propria catastrofe umanitaria che minaccia una precaria Pace. La gravissima situazione interna dell’RDC, preoccupa non poco la comunità internazionale ONU in testa. Nel Paese africano è in corso un conflitto interno. Uno dei tanti. Come sempre ad essere campo di battaglia è la regione del Kivu nell’est del Paese che è popolata per lo più da gente di etnia Tutsi. Purtroppo quelli che in tanti indicano come scontri etnici di fatto non lo sono. La regione è ricca di risorse naturali ed è considerata una delle più fertile del Paese africano. Risorse il cui controllo alletta tanti. Nel corso degli anni questo territorio è stato campo d’azione di  innumerevoli gruppi armati sponsorizzati da Paesi restati nell’ombra. Miliziani armati fino ai denti che per prenderne il controllo non hanno esitato a uccidere, saccheggiare e distruggere. Alla fine a farne le spese sono state come sempre le popolazioni civili rimaste completamente esposte al rischio di uccisioni, violenze sessuali e stupri. Uomini, donne e bambini nessuno è rimasto immune a queste annose violenze e ancor peggio, per i bambini alla morte in alternativa il rapimento per essere arruolati come bambini soldato nelle fila delle milizie ribelli. Secondo stime  fatte da agenzie non governative oltre un milione di persone hanno subito la distruzione dei campi e delle abitazioni a causa dei violenti combattimenti degli ultimi nove mesi e centinaia di migliaia di persone hanno dovuto abbandonare ogni avere per cercare di sfuggire al dramma della guerra. Secondo le stime fatte dalle Nazioni Unite i profughi in fuga dal Kivu sono stati circa mezzo milione. Questa gente che è stata costretta a lasciare i luoghi interessati dagli scontri ora vagano senza una meta, senza aiuto e alla mercè di chiunque. In questa sfortunata terra a contrapporsi sono ora le forze governative, Fardc, e i miliziani del movimento 23 marzo, M23. Questi ultimi non sono altro che quanto rimane dei miliziani dello sconfitto Congresso nazionale per la difesa del popolo, Cndp, del generale dissidente Laurent Nkunda. Il generale venne arrestato in Ruanda nel gennaio del 2009 ponendo così fine ad una ribellione iniziata nel dicembre del 2006. Nkunda era considerato molto vicino ai ribelli Tutsi del Ruanda e fino all’ultimo ha cercato di creare un auto-proclamata Repubblica nel Kivu settentrionale.  Questo nuovo gruppo armato composto per lo più da ex militari congolesi ammutinatisi ha assunto il nome di M23 da una data. Si tratta del 23 marzo di tre anni fa, quando fu firmato un accordo di pace che di fatto come tanti altri non è mai stato rispettato da nessuno. A capo di questi miliziani vi è Bosco Ntaganda detto ‘The Terminator’ anch’egli un generale fuoriuscito dell’esercito congolese ed ex braccio destro di Nkunda. Sulla sua testa pende, dall’agosto 2006, un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità spiccato dalla Corte Penale Internazionale. Ntaganda dichiara di essere sceso in campo per proteggere le popolazioni di etnia tutsi della regione, a cui anche lui appartiene. Popolazione che sarebbero vittime, a suo dire, delle milizie Hutu rifugiatisi nella RDC al termine del genocidio ruandese del 1994 e che agiscono nella regione a fianco delle forze governative congolesi. In verità la sua è solo un modo per cercare di mascherare i suoi misfatti. In passato si è spesso cercato di nasconderprofughi_del_nord_kivùe altri interessi dietro quello etnico. Secondo l’ONU però, dietro questa nuova ribellione al governo di Kinshasa vi è il coinvolgimento politico del Ruanda. Proprio il Ruanda è stato più volte, nel corso degli anni, accusato di aver sostenuto i vari gruppi armati congolesi contro il governo centrale per poter prendere il controllo della ricca regione del Kivu. Dopo il fallimento del negoziato, portato avanti faticosamente a Kampala in Uganda, un nuovo spiraglio sembra aprirsi nel drammatico panorama del Paese africano. I ribelli congolesi dell’M23, l’8 gennaio scorso hanno dichiarato unilateralmente un cessate il fuoco. Questi negoziati, che ora si avviano al secondo round, sono cominciati la metà del mese di dicembre del 2012 dopo il ritiro dei miliziani dell’M23 dalla città chiave di Goma, capoluogo del Kivu settentrionale, città situata vicina alla frontiera ruandese. La principale richiesta dei ribelli congolesi sono state un cessate il fuoco e riforme politiche immediate. Richieste che il governo di Kinshasa sembrava che inizialmente non volesse accogliere. In passato ogni cessate il fuoco imposto unilateralmente dai ribelli ha riportato la calma nella regione, ma dopo un breve periodo di stabilità tutto è tornato come prima. Successivamente pochi giorni fa è stato invece, annunciato che sono stati individuati dei punti chiave su cui improntare i colloqui di Pace in corso a Kampala. Questi punti riguardano la revisione dei precedenti accordi di pace del 2009, sicurezza, questioni sociali, politiche ed economiche e modalità di attuazione di qualsiasi accordo che sarà firmato. L’ex colonia Belga è un Paese dove la grande maggioranza della popolazione vive nella miseria più assoluta. Mentre le sue ricchezze sono prerogativa di pochi.  La sua principale ricchezza viene dalle miniere di oro, di diamanti e di metalli usati nell’industria tecnologica. Ricchezze che la rendono molto vulnerabile in quanto la ricerca del loro controllo suscita lotte interne che causano sofferenze indescrivibili alle popolazioni locali e danni sempre maggiori al territorio. L’RDC ha vissuto anche una sanguinosa e lunga guerra civile. Nel 2002 con gli accordi di pace di Sun City in Sudafrica sembrava che si fosse raggiunto un compromesso tra le parti. Una pace patrocinata dall’ONU. Purtroppo continue interferenze esterne non hanno ancora permesso al Paese africano di ritrovare l’agognata stabilità. Nella RDC dal 2000 vi sono dispiegati i caschi blu. Si tratta di soldati, poliziotti e osservatori che compongono la più grande forza di Pace che l’ONU abbia mai dispiegato nel mondo. La missione approvata con la risoluzione ONU 1279 del 1999 era inizialmente composta da 15.831 uomini e venne denominata ‘Monuc’. Successivamente nel maggio del visual_monusco_piracy2010 con la risoluzione 1925 venne istituita la ‘Monusco’ forte di circa 20mila uomini. Questi militari provenienti in gran parte da India, Pakistan, Bangladesh, Uruguay, Sudafrica, Nepal e Marocco, il cui mandato scade nel giugno del 2013, sono stati inviati per contribuire alla stabilizzazione del Paese e in specie del nordest dell’RDC. Una stabilizzazione rimasta solo una chimera. Questi peacekeeper, la cui missione costa oltre un mld di dollari l’anno, possono fare ben poco contro la devastante azione dei miliziani in quanto hanno le mani legate dalle regole d’ingaggio che prevede il ricorso alle armi solo per la protezione dei civili. In mancanza di una risoluzione che li autorizzi all’uso delle armi non  solo per difesa osteggiata però, da alcuni Paesi membri l’ONU ha progettato il ricorso a droni nell’azione di sorveglianza specie della parte orientale del Paese dove dovrebbero essere dispiegati ben 3 di questi aerei senza pilota. In questo modo si eviterebbe di disperdere le forze a terra finora impegnate in pattugliamenti su una vasta area che a volte li ha portati a trovarsi lontano dai luoghi dove avvenivano saccheggi di villaggi e uccisioni di civili. Una proposta anche stavolta osteggiata da alcuni Paesi membri in prima fila Ruanda, Russia e Cina.  Nelle prossime settimane però, è atteso il via libera del Segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon che dovrebbe appoggiare la proposta dei droni nel suo rapporto sulla missione in Congo. Ancora una volta in molti si pongono la domanda sull’utilità o meno di queste missioni di pace dell’ONU nel mondo. Missioni che incidono pesantemente sul bilancio dell’Organizzazione mondiale del Palazzo di Vetro e che poi, si ripercuotono su quello dei Paesi membri. Molti altri invece, difendono la missione di pace ONU affermando che la sua inefficienza è dovuta ai limiti di operatività impostigli dalle regole di ingaggio. Nei giorni scorsi la Comunità dei Paesi dell’Africa del sud, Sadc, ha deciso l’invio nella RDC di sue truppe sempre però, nell’ambito della forza internazionale di Pace dell’ONU.

Ferdinando Pelliccia