nastro_gialloCon molta probabilità ci si avvia verso una conclusione della vicenda che riguarda Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. I due marò sono trattenuti in India, fino a due giorni fa nello stato federale del Kerala, con l’accusa di omicidio. I due sottufficiali di marina sono accusati di aver ucciso per errore due pescatori locali. I due lavoratori del mare indiani vennero uccisi perché scambiati per pirati il 15 febbraio del 2012 al largo delle coste meridionali indiane mentre i due militari di marina espletavano compiti di scorta armata alla petroliera italiana ‘Enrica Lexie’ della società armatrice F.lli D’Amato di Napoli. Il compito era  difenderla dagli assalti pirati in virtù della legge 130 del 2011. Si tratta di una norma italiana fortemente voluta dall’allora ministro della Difesa, Ignazio La Russa e dagli Armatori italiani. Una legge fatta male, come ha ribadito anche il numero due della Farnesina Staffan de Mistura, che alla fine ha permesso alla Marina Militare, firmando una convenzione con gli Armatori, di ‘affittare’ i marò italiani per 500 euro al giorno cadauno, in tutto 3mila euro al giorno a team. Alla fine i fatti indiani hanno dimostrato che la scelta che andava fatta, come è stato per altri Paesi tipo Spagna e Gran Bretagna, era di non imbarcare militari attivi sulle navi commerciali di bandiera per difenderle dai pirati, ma Security Contractor. Imbarcare quindi delle guardie armate private. In questo modo ci si sarebbe trovati di fronte a dei privati che lavorano per altri privati senza coinvolgere il governo dello stato di appartenenza come invece, è poi, accaduto. Purtroppo in Italia non esiste alcuna norma che permetta l’imbarco di civili armati a bordo delle navi commerciali ed allora senza nemmeno chiarire bene i ruoli di comando a bordo della nave si è varato una legge frutto forse, di avventatezza e pretenziosità. Dopo due settimane trascorse con le famiglie in Italia, godendo di una breve ‘licenza natalizia’ concessa loro eccezionalmente dai giudici indiani, i due marò sono rientrati, come promesso, nel Kerala. Un gesto che di fatto ha smentito tutti quelli che in India insinuavano che difficilmente avrebbero mantenuto la loro promessa di rientrare alla scadenza prestabilita. La notizia del rientro in India ha avuto effetti importanti. Anzitutto tutti i media indiani hanno dato ampio risalto alla notizia e poi, il fatto ha fortemente impressionato, in maniera positiva, l’opinione pubblica del Paese asiatico, specie quella del Kerala che fin dai primi momenti aveva chiesto a voce alta una condanna esemplare per i, presunti,  responsabili della morte dei due pescatori.  Il clima si è finalmente disteso dopo un lungo periodo ricco di tensioni e battaglie legali, con accuse reciproche tra le diplomazie dei due Paesi. Un vero è proprio clima nuovo che ha spinto anche il ministro degli Esteri, Giulio Terzi ad affermare che il loro ritorno in India, dopo la licenza di Natale, ha cambiato la percezione degli indiani nei confronti dei due marò anche nel Kerala. Di fatto è stata una prova importante che ha dimostrato a tutti, persino ai più scettici, l’affidabilità degli italiani ed ha rafforzato la fiducia degli indiani nei confronti dei due marò. Dall’altro lato, anche in Italia, sembra che l’opinione pubblica e non solo, abbia cambiato idea in merito ed ora maro_Italiamostra di avere un pò più di fiducia nel sistema giudiziario indiano.  L’intera vicenda è stata purtroppo, come apparso chiaro fin dall’inizio, condizionata da ‘logiche politiche’ che hanno di fatto impedito al governo locale del Kerala di essere bendisposto nei confronti dei due marò e del governo italiano. Anzi, il voler ad ogni costo dimostrare all’opinione pubblica locale, che chiedeva giustizia, che non si sarebbero fatte eccezioni aveva fatto nascere discordia tra governo centrale e governo del Kerala nell’attribuzione della competenza della questione. La forte autonomia di cui godono gli stati federali indiani impediva a New Delhi di entrare nel merito o addirittura richiamare a se la questione. Le principali manifestazioni contro sono state ‘orchestrate’ dal Partito comunista indiano, ora all’opposizione nel Kerala, ma fino al 2011 al potere nello stato indiano. Dopo la sconfitta alle ultime elezioni da parte del National Congress, il partito che è anche al potere nel Paese asiatico, i comunisti indiani sono pienamente entrati nei panni di oppositori ed hanno dato filo da torcere all’attuale governatore del Kerala, Oommen Chandy. Il capo de governo del Kerala,che guida una grossa coalizione, si è dovuto guardare bene dal compiere passi falsi, specie per il fatto che l’episodio è avvenuto in piena campagna elettorale. Nel mese di marzo del 2012 infatti, nel Kerala si è rivotato per coprire un seggio rimasto vacante per la morte di un deputato della maggioranza. I comunisti con 45 parlamentari ambivano a conquistare quel seggio. Per Chandy perderlo voleva dire rischiare di andare sotto nel governo dello stato e doversi dimettere. Il fatto che i due indiani uccisi facessero parte della folta comunità di pescatori che popolano il Kerala, oltre 3 mln, e che su questo giocassero le loro carte i comunisti indiani, ha spinto il governatore ad adottare, fin dall’inizio, un atteggiamento apparentemente intransigente nei confronti dei due marò ‘senza se e senza ma’. I pieni poteri di cui gode gli hanno permesso, senza prove certe ne testimoni, di arrestare i due marò per omicidio e detenerli e poi trattenerli contro la loro volontà e del barchino pirata in azione Fonte EU NAVFORloro governo fino a pochi giorni fa. Tutto questo ha dato vita a numerose polemiche e animosità tra i due Pesi, Italia e India, oltre che a togliere la possibilità di avere un giudizio sereno e non condizionato. In India il procedimento giudiziario per omicidio a carico dei due militari italiani era sospeso in attesa del pronunciamento della Corte suprema indiana di New Delhi. Un pronunciamento su a chi competesse la giurisdizione del caso rivendicata sia dall’India sia dall’Italia. Nelle ultime settimane tanti i segnali che si percepivano di un possibile passo in avanti da parte degli indiani. Ad inizio dell’anno lo stesso capo della diplomazia indiana, Salman Khurshid aveva dichiarato di sperare in rapido pronunciamento della Corte Suprema e definendo l’episodio accaduto al largo delle coste meridionali dell’India una circostanza sventurata. Il verdetto del massimo organo giudiziario indiano non è però, giunto come si sperava prima della pausa natalizia, ma solo il 18 gennaio scorso. La Corte suprema indiana ha stabilito che il Kerala non ha giurisdizione sul caso in quanto l’episodio in questione è avvenuto in acque internazionali. I giudici di quella che corrisponde alla Corte Costituzionale italiana hanno pertanto, stabilito che il giudizio sui due marò sia trasferito ad un tribunale speciale da costituirsi a New Delhi. Un tribunale la cui creazione avverrà in collaborazione tra il governo centrale indiano e la stessa Corte suprema. Una decisione che di fatto ha comportato anche il trasferimento, in giornata, dei due fucilieri del Reggimento San Marco da Kochi nel Kerala alla capitale indiana proprio perchè la questione diventava di pertinenza delle autorità centrali indiane. Questo attesissimo pronunciamento di fatto ha ‘strappato’ il processo al governo del Kerala. Diversamente non Enrica_Lexiepoteva essere. Questo, in quanto l’episodio non è accaduto in acque territoriali come fin dall’inizio sosteneva l’Italia. Però, in India, quanto accaduto è considerato un reato di natura federale e per questo motivo di competenza del governo centrale nel giudizio. La decisione del massimo organo giudiziario indiano sembra in qualche modo contrastare la Convenzione delle Nazioni Unite  sul diritto del mare che stabilisce invece, che per ogni incidente che avviene in alto mare la competenza è dello Stato di bandiera della nave. La Corte Suprema ha però, implicitamente chiarito in merito precisando che i due militari, al momento del fatto, non godevano di immunità funzionale, come sostenuto dall’Italia, nello svolgere la loro funzione di team di sicurezza armato a bordo della Enrica Lexie per conto dello stato italiano. Mettendo in questo modo chiaramente in dubbio la loro attività anti-pirateria e la legge 130 del 2011 che ha istituito i Nuclei Militari di Protezione, NMP, sulle navi italiani commerciali nelle aree a rischio pirateria marittima. Un riconoscimento che di fatto avrebbe invece, comportato automaticamente l’applicazione della giurisdizione italiana sulla vicenda. Ancora una volta emerge tutta la ‘lacunicità’ di una legge sbagliata perché fatta male in quanto ha nei fatti soprattutto subordinato dei militari attivi a dei civili.  “Il giudizio sui reati è di competenza degli Stati e quindi è il Kerala che deve giudicare”, aveva affermato pochi giorni prima sempre il ministro Salman Khurshid. Parole che evidentemente non hanno incontrato la simpatia dei giudici indiani la cui sentenza è andata da tutt’altra parte. Un pronunciamento che però, ha finalmente posto la parola fine ad una snervante attesa che durava dallo scorso mese di agosto e che di rinvio in rinvio è finalmente arrivato. Un lungo tergiversare da parte indiana che forse ora appare chiaro il perché. Una tale decisione se fosse stata annunciata un paio di mesi prima avrebbe di certo scatenato la rabbia e il dissenso di chi nel Kerala riteneva invece, che i due militari italiani andavano giudicati dal tribunale di Kollam, il distretto da cui provenivano i due pescatori indiani uccisi in mare. Oggi , invece, con un clima più disteso e con un opinione pubblica, ma soprattutto con i media indiani, ‘quietati’ questa decisione è stata accolta con il dovuto rispetto.  Tanto è vero che la stessa vedova di uno dei due pescatori morti nel commentare il pronunciamento della corte ha spiegato che non importa dove si svolga processo importante è ottenere giustizia. Parole che nei fatti dimostrano il nuovo clima che si respira. La Corte suprema ha anche precisato che i due marò non avranno più alcuna restrizione di movimento e saranno quindi liberi di spostarsi. Per ora saranno limitati alla sola New Delhi però, se lo decidessero, potranno anche muoversi nell’ambito dei confini dell’India. In questo caso però, dovranno chiedere una autorizzazione alla Corte suprema. Rimane ancora l’obbligo della firma. I giudici hanno stabilito che i due marò continueranno ad nmp_fonte_marina _militareessere sottoposti a controlli periodici da parte della polizia indiana della capitale. Massimiliano e Salvatore dovranno però, presentarsi solo una volta la settimana e presso il commissariato di polizia del quartiere di Chanakyapuri a New Delhi. Nella capitale indiana i due sottoufficiali di marina saranno sotto la tutela dell’ambasciata d’Italia in India. Disposto anche il trasferimento nella capitale indiana dei loro passaporti tenuti in custodia a Kollam. I due militari italiani li hanno dovuti consegnare alle autorità del Kerala dopo il loro arresto ed ora sono in possesso di un foglio di soggiorno provvisorio rilasciato dall’Ufficio di Registrazione degli Stranieri, Frro. Il permesso viene periodicamente rinnovato ed è valido fino al 16 maggio prossimo. Entro quella data forse, si dovrebbe giungere ad una probabile conclusione della vicenda giunta ormai al suo undicesimo mese. Un atto di clemenza rimane ancora la via più possibile per salvare ‘capra e cavolo’.  Ovviamente in Italia, da parte di chi lavora fin dall’inizio per riportare Massimiliano e Salvatore a casa, un obiettivo che per il governo italiano resta prioritario, questo pronunciamento è stato visto come un importante passo avanti nella vicenda e un parziale riconoscimento della tesi portata avanti finora dalla diplomazia italiana. Ora non resta che attendere i prossimi passi.

Ferdinando Pelliccia