Matteo o Renzi: questo è il dilemma

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Matteo Renzi, sindaco di Firenze - fonte: © Roberto Vicario
Matteo Renzi, sindaco di Firenze – fonte: © Roberto Vicario

Dire che nel Pd non esista un caso Renzi è come dire che le polpette dell’Ikea sono tutte buone e che la bistecca alla fiorentina equivale ai tortellini piacentini. Ma nel Pd i menù si sprecano e i piatti, più o meno, volano.

Il segretario è Bersani ma le polemiche e i commenti sulle mosse di Renzi sono incessanti; come fosse lui il numero uno, lo chef della nuova politica. Il Renzi – rumor: dove va, dove non va, cosa dice o non dice è diventato centrale. Renzi sembra il catalizzatore, e questo anche mentre Bersani cerca di fare il governo. C’è la Direzione del Pd? Renzi non va per “precedenti impegni da sindaco”. Quando è presente, invece, non sale sul palco a parlare, ma assiste.

Ora, pur non avendo mai nascosto le mie simpatie sul sindaco rottamatore fiorentino, comincio a non capirlo. Non leggo più la sua “etichetta”, i suoi connotati, i suoi progetti. Vuol fare il cavallo di razza o l’eterno puledro? Prima appoggiava Bersani per lealtà (bisognava vincere le elezioni) adesso appoggia il segretario perché formare il governo è la priorità. Domani magari lo appoggerà perché il governo non riuscirà a formarlo, e quindi occorrerà asciugargli le lacrime?

La smisurata lealtà di Renzi, che emerge ancora dopo l’ennesima (e immaginabile) telefonata chiarificatrice, “Pronto, Pierluigi? Sono Matteo…abbi pazienza, sono dalla tua parte, lo sai…”, somiglia proprio a quei prodotti un po’ inquinati ma che, per carità, li togliamo subito dal mercato, siamo leali verso i consumatori – elettori e verso i segretari. Poi, la prossima volta, vedremo cosa mettere in tavola. “Non è il mio turno” dice il sindaco di Firenze: lui risolve la “dieta verso il vertice” così.

In attesa del turno di Renzi, il Pd si avvita su stesso con un Bersani sempre più triste. Perché ha vinto le elezioni perdendole – o viceversa, e perché prima aveva vinto le primarie (perdendole) poiché il protagonista era stato, comunque, Matteo Renzi.

Mettersi nelle mani di Bersani, che vince sempre perdendo, è come aspettare che la tramontana spazzi via il fogliame nel parco di una splendida villa augurandosi che le piante si secchino una volta per tutte. Quel vento bonificante doveva portarlo Renzi. Resta, inequivocabile, un fatto: mentre il Pd si dimena tra l’essere o non essere (ma non c’entra Amleto; Shakespeare poteva dedicargli al massimo “Molto rumore per nulla”), i grillini cantano in villa, senza mandare bacioni a Firenze.

Danilo Stefani