25-apr-liber-fonte-internetCos’è il 25 aprile? E’ la corona d’alloro deposta all’Altare della Patria, è la manifestazione dell’Anpi, è il racconto del nonno, sono gli speciali in tv, è qualcuno che ripassa la storia su Wikipedia, sono gli ennesimi dibattiti della (estrema) sinistra e della (estrema) destra, sono le dichiarazioni copia-e-incolla degli altri schieramenti politici. Quest’anno, sono anche le consultazioni politiche di Enrico Letta.

Pochi si sono lamentati che, dopo due mesi di balletti istituzionali, si sia deciso di farle proprio in un giorno di festa nazionale, oscurandone inevitabilmente il ricordo e la celebrazione. Forse perché la “Liberazione”, al contrario di altre ricorrenze, mette tutti in disaccordo. Chi è molto di sinistra vorrebbe festeggiare i partigiani; chi è molto di destra vorrebbe compiangere “i ragazzi di Salò”, chi si tiene a distanza da entrambi vorrebbe farsi una bella gita fuori porta. Nessuno è accontentato: i primi e i secondi si irritano a vicenda, i terzi sono bloccati dalla crisi e dal traffico. Il 25 aprile è un giorno di insoddisfazione nazionale.
E, in un certo senso, così deve essere. Il 25 aprile è lo specchio fedele della Storia: un ricordo non in bianco e nero, ma in scala di grigio, dove non tutti i partigiani sono santi e non tutti i repubblichini sono peccatori, o viceversa. Così come non tutti quelli che si tenevano a distanza erano passivi e disinteressati: forse, nel loro piccolo, erano già impegnati a ricostruire l’Italia. Non con fucili e bombe, ma lavorando sodo per mettere da parte quei risparmi che, ancora oggi, sono la salvezza di due generazioni devastate dalla mala amministrazione e dai giochi della finanza. Forse questa festa dovrebbe essere dedicata a loro.
Oggi, infine, è anche il giorno in cui un nostro professore di filosofia ci ammoniva: “Non chiamatela ‘Liberazione’”. Non che fosse un nostalgico del regime, anzi. Il suo obiettivo – con tutti i pregi e i limiti della sua mentalità sessantottina – era indicarci l’unico vincitore certo del 25 aprile, cioè nessuno dei tre schieramenti di cui abbiamo parlato sopra. Cito, con l’approssimazione della memoria, un passaggio di un recente spettacolo teatrale di Paolo Villaggio: non una satira, come di consueto per lui, ma un ricordo d’infanzia.

Ci sfilavano davanti, una processione infinita, tutti in uniforme sopra i carri armati lucidi. Regalavano pacchetti di sigarette agli adulti, a noi bambini davano la cioccolata. Noi li guardavamo a bocca aperta, dentro i nostri vestiti di stracci e le nostre scarpe di cartone. Erano anni che non mangiavamo la cioccolata.
“Ricordo che un vecchio vicino di casa si avvicinò a mio padre, guardò tutti quei soldati e quei carri armati, e disse: ‘Ma al Benito, chi gliel’ha fatto fare di mettersi contro questi qua?’”

(AGENPARL)