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agenda rossa o parasole?

«C’è il tentativo di intralciare e di condizionare il processo». Martedì 21 maggio 2013: Tribunale di Caltanissetta, sta terminando l’udienza del Borsellino quater, che ha visto tra l’altro la deposizione del giudice Giuseppe Ayala, quando l’avvocato di Salvatore Borsellino, Fabio Repici, interviene chiedendo al presidente della Corte d’Assise, Antonio Balsamo,di acquisire l’articolo di Francesco Viviano dal titolo “Ecco l’agenda rossa di Borsellino dopo la strage”, pubblicato su Repubblica il 18 maggio 2013.

Repici ha poi proseguito chiedendo di ascoltare, oltre al giornalista di Repubblica, anche Gianmarco Chiocci del Giornale e il nostro collaboratore Enrico Tagliaferro (noto anche come il Segugio dal titolo del suo blog), che segue ormai da anni la controversa vicenda della presunta trattativa Stato-mafia. Infatti  sul quotidiano milanese, lunedì 20 maggio, era apparso un articolo firmato da Chiocci e Tagliaferro che tornava sulla questione dell’agenda rossa “ritrovata”.

«C’è il tentativo di condizionare gli operatori del processo dall’esterno» – ha ribadito il legale del fratello di Paolo Borsellino, mostrando peraltro scarsa considerazione nell’integrità dei giudici nisseni che, a sentire lui, potrebbero modificare il loro libero convincimento solo sulla base di qualche articolo di stampa.

Ma prima di fare alcune considerazioni su questo diktat scagliato contro la libera informazione, vediamo di riepilogare la vicenda e cerchiamo di capire il perché di questa estemporanea richiesta da parte di Repici, ovvero da parte di Salvatore Borsellino.

L’articolo di Repubblica in questione verteva fondamentalmente su un fotogramma tratto da un filmato dei Vigili del Fuoco, girato nei minuti immediatamente successivi l’eccidio di via D’Amelio del 19 luglio 1992, dove morirono il giudice Paolo Borsellino e 5 uomini della sua scorta. L’immagine, inedita, evidenzia un oggetto a terra, accanto ad una delle auto blindate del magistrato, ancora fumanti dopo l’esplosione. Quell’oggetto assomiglia, come ha immediatamente evidenziato anche Lorenzo Baldo di Antimafia 2000, ad “una sorta di quaderno dal colore rosso”, o forse ad un’agenda.

Secondo Viviano potrebbe trattarsi proprio della famosa agenda mai ritrovata, dalla quale Borsellino non si separava per nessuna ragione, come hanno più volte dichiarato i suoi familiari, e dove egli annotava appunti di lavoro e riflessioni. Su quell’agenda in questi venti e passa anni molto si è discusso, molto si è fantasticato. In un altro filmato di quella strage si osservava un carabiniere, identificato in Giovanni Arcangioli, che teneva in mano la borsa del giudice e dentro la quale successivamente non fu rinvenuta la preziosa agenda. Arcangioli, accusato di averla sottratta, ha subito un procedimento per favoreggiamento nei confronti di Cosa nostra, dal quale è stato assolto, fatto che comunque non gli ha evitato “8 anni di incubo”.

L’agenda rossa scomparsa è diventata così un simbolo dell’antimafia ed è persino nato un movimento che ne ha adottato il nome.

Ma se l’ipotesi avanzata da Viviano fosse giusta, ovvero se l’oggetto rosso ritratto nel fotogramma fosse effettivamente l’agenda di Paolo Borsellino, chi anela da così tanti anni il suo ritrovamento dovrebbe gridare al miracolo. Infatti, a questo punto, non si potrebbe escludere che essa si trovi insieme a tutti gli altri reperti recuperati in via D’Amelio quel tragico pomeriggio e quindi in uno dei 56 sacchi neri dell’immondizia che furono portati alla Squadra mobile di Palermo e da lì subito alla Scientifica a Roma «nella sola ed esclusiva» disponibilità dei supertecnici americani dell’Fbi, su disposizione dell’ex giudice Giovanni Tinebra, con l’avvallo dell’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli.

Una traccia dunque non irrilevante per recuperare la tanto agognata agenda, ma l’articolo di Repubblica anziché riempire di gioia quanti in questi anni ne hanno giustamente denunciato la sparizione, ha suscitato un vespaio di polemiche, fino alle minacciose e perentorie richieste del legale di Salvatore Borsellino che abbiamo riportato in testa a questo articolo.

Incredibilmente, almeno in apparenza, abbiamo assistito ad una vera e propria levata di scudi, a smentite seccate e a dichiarazioni trancianti che escludono categoricamente che quella “macchia rossa” possa essere l’agenda rossa di Borsellino. In attesa del deposito delle perizie, alcune anticipazioni dei tecnici della scientifica, hanno evidenziato trattarsi a loro giudizio di un parasole, o parti di esso (utilizzato per coprire pietosamente i resti dell’unico agente donna della scorta di Borsellino, Emanuela Loi), e simile ad un quaderno solo per la forma.

Viene comunque da chiedersi, perché mai questa vibrante reazione?

Molto semplice. Se infatti fosse vero che l’agenda rossa non è stata sottratta dai carabinieri, come si continua a ritenere tra i teorici della trattativa malgrado Arcangioli sia stato scagionato, viene meno un elemento a sostegno dell’ipotesi che vede proprio nell’Arma i garanti del patto scellerato Stato-mafia.

Se in quell’agenda poi Paolo Borsellino annotava le sue più gelose supposizioni, in quell’agenda si dovrebbe nascondere il segreto della trattativa, la prova di quell’accordo tra apparati dello Stato e vertici di Cosa nostra al quale egli si oppose strenuamente e proprio per questo, sempre secondo i sostenitori della trattativa, fu ucciso due mesi dopo Giovanni Falcone. Sulla sottrazione di quella preziosa agenda si è dunque giocata e si sta giocando una partita molto grande e molto pericolosa. La prova che non furono i carabinieri a sottrarla e magari il suo ritrovamento, così semplicemente, tra i reperti della strage, farebbe saltare il tavolo, qualora al suo interno non vi fosse traccia di “trattativa” ma magari qualche considerazione su mafia e appalti, inchiesta sulla quale Borsellino era impegnato e che venne archiviata pochi giorni dopo la sua scomparsa. Ma queste sono solo libere considerazioni da giornalista e abbiamo visto che possono essere oggetto di attacchi e critiche.

A questo punto è necessario fare una chiosa finale e rilevare come ormai in ogni sede informativa, televisione o carta stampata, sia passato un messaggio chiaro e inequivocabile: la trattativa è esistita. Nessuno sembra dubitarne e questa “verità ufficiale”, nonostante il processo che dovrà stabilirne l’effettiva, eventuale esistenza sia ancora in corso, è ormai una verità acquisita.

Per chi ha dimestichezza con le moderne teorie della comunicazione siamo di fronte ad un vero e proprio “frame”, ad una struttura cioè, che circoscrive tutte le notizie e le informazioni “giuste” e “corrette” e che dunque possono essere divulgate tranquillamente poiché vanno a determinare il comune sentire e a creare l’opinione pubblica. Tutto ciò che non rientra nel “frame” è indicibile. Viviano, Chiocci, Tagliaferro hanno osato scrivere qualcosa che non rientra nel “frame”? Con ciò stanno intralciando il sacrosanto raggiungimento della Verità! Vostro onore siano chiamati in tribunale!

Ovviamente va tutta la nostra solidarietà ai colleghi. Siamo anche convinti che se Enrico Tagliaferro fosse veramente chiamato a deporre a Caltanissetta, avrebbe modo, finalmente in una sede istituzionale, di far conoscere i contenuti delle sue personali ricerche, che spesso hanno fornito un contributo attivo, come ad esempio è avvenuto nell’ambito del processo di primo grado contro Mori-Obinu, con l’acquisizione agli atti del suo libro autoprodotto “Prego, dottore”, dove egli analizza e dimostra scientificamente la non autenticità di alcuni documenti prodotti in giudizio dal teste Massimo Ciancimino.

 Gabriele Paradisi