traEnricaLexieeOlympicFlairil'unicadiversitàbenvisibileèilfumaioloOttimismo alle stelle alla vigilia del processo in India a carico dei due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Finalmente sembra che si stiano aprendo spiragli nella vicenda che vede i due militari italiani, loro malgrado, protagonisti. Qualcosa è cambiato in India dopo che è stata incaricata di condurre le indagini sul loro caso l’Agenzia nazionale delle investigazioni (Nia) ed è stata istituita ad hoc una Corte speciale a New Delhi per giudicarli. Piano piano si sta facendo sempre più strada di nuovo  l’ipotesi del coinvolgimento di  una seconda nave nell’incidente accaduto in mare il 15 febbraio del 2012 e che costò la vita a due pescatori indiani mentre si trovavano a bordo del peschereccio St. Anthony. Oltre alla Enrica Lexie, la nave  italiana su cui prestavano servizio di scorta armata i due sottufficiali di marina, Latorre e Girone. Rispunta il nome dell’ ‘Olympic Flair’ mercantile battente bandiera greca anch’esso presente nell’area quando avvenne l’incidente.  Un ipotesi questa già evidenziata da queste pagine web il 20 febbraio del 2012 e che finora non aveva trovato però,  credito.  http://www.liberoreporter.it/index.php/2012/02/in-evidenza/pescatori-indiani-uccisi-al-largo-india-una-seconda-nave-che-somiglia-alla-enrica-lexie.html I due marò tutt’oggi sono trattenuti in India, ospitati nell’ambasciata italiana di New Delhi, con l’accusa di omicidio in attesa di un processo assistiti da un team di legali indiani e italiani. Ancora oggi la morte dei due pescatori indiani resta un mistero.
Enrica Lexie a sx Olimpic Flair a dxNon è ancora chiaro infatti,  come possano essere stati scambiati per pirati somali ed essere stati anche uccisi da  Latorre e Girone specialisti della Marina Militare e come tali altamente qualificati e addestrati. I due pescatori indiani  vennero uccisi al largo delle coste meridionali dell’India perché scambiati per pirati somali.  I due fanti di Marina facevano parte di un Nucleo di Protezione Militare, NMP, composto da sei  fanti del Reggimento San Marco che al momento dell’incidente si trovavano a bordo della Enrica Lexie, petroliera italiana comandata dal capitano Umberto Vitelli, inspiegabilmente rimosso dal comando dopo il rilascio della nave nel maggio del 2012,  e di proprietà della società di navigazione dei F.lli D’Amato di Napoli. Questi nuclei armati sono stati istituiti dall’Italia con la legge 130 del 2011 per proteggere le navi commerciali italiane dai pirati. Anche l’‘Olympic Flair’, di proprietà della società armatrice greca ‘Olympic Shipping & Management S.A. di Atene, quel giorno respinse un presunto attacco pirata al largo delle coste indiane però, verso le 21,15 ora locale.
A bordo della Olympic Flair vi era dunque un team di sicurezza privato armato? Un fatto, questo, mai confermato ufficialmente in quanto i greci non potevano, almeno ufficialmente, avere delle armi a bordo.  Il governo greco ha approvato solo il 14 febbraio del 2012 il decreto che autorizzava gli armatori greci, proprietari di navi battenti bandiera greca, ad assumere guardie armate private sulle loro navi che navigano in zone di mare a rischio pirateria. Però, al vaglio del Parlamento greco, il decreto giunse solo il 22 febbraio successivo per poi, essere successivamente approvato.  Tutto questo porta a credere che se armi vi fossero, si trovavano a bordo della Olympic Flair abusivamente e chi le ha usate ha commesso un reato in quanto non esisteva allora ancora una legge in Grecia che ne autorizzasse l’imbarco e tantomeno l’uso. http://www.liberoreporter.it/index.php/2012/03/in-evidenza/pirateria-marittima-guardie-armate-private-a-bordo-nave-greca-olympic-flair.html
Il fatto poi, che la nave per sagoma e colori, rosso e nero, assomiglia in maniera impressionante all’Enrica Lexie fa ancor di più pensare all’equivoco.  Potrebbe essere possibile che, nei convulsi momenti che hanno  seguito la sparatoria avvenuta in mare quel maledetto 15 febbraio i pescatori indiani superstiti possano aver compiuto l’errore di aver scambiato una nave per un’altra specie se l’adrenalina era al massimo. Essi hanno riferito alle autorità indiane di essere stati oggetti di colpi sparati da una nave commerciale al  largo della costa indiana senza però, saper dare altre informazioni, nemmeno il  nome della nave. Essi al momento dei fatti erano a dormire sotto coperta e una volta saliti in coperta hanno trovato i compagni morti e visto una nave rossa e nera che si allontanava. Alimenta ancora di più i dubbi la testimonianza rilasciata allora anche dall’armatore del peschereccio St. Anthony, Freddy Bosco che  raccontò di non essere riuscito a leggere il nome della nave da cui sparavano, ma di aver visto solo che era rossa e nera e di averne saputo poi, il nome che gli venne detto una volta rientrato sulla terraferma. Fin dall’inizio sono sempre stati tanti i dubbi, da parte italianmarò2a, sul loro reale coinvolgimento nell’episodio accaduto in mare e che ha condotto alla morte di due lavoratori del mare imbarcati sul peschereccio indiano.
In loro discolpa i due marò hanno riferito di non aver aperto il fuoco indirizzandolo direttamente sull’imbarcazione, ma di aver seguito il protocollo internazionale previsto in caso di avvistamento di nave sospetta in avvicinamento. Per giunta i due hanno testimoniato che la barca che ha avuto il contatto con loro non era il peschereccio St. Anthony su cui erano imbarcati i due pescatori indiani morti, ma un’altra.
Si potrebbe quindi trattare di due episodi distinti e quindi forse, il vero responsabile potrebbe essere qualcun altro. Quel giorno in quel tratto di mare, al largo delle coste meridionali indiane,  vi erano diverse altre navi. Capire quali navi erano è stato reso possibile attraverso la consultazione di fonti internazionali quali sono l”International Maritime Bureau, IMB, della Camera di commercio internazionale, Icc, che segue gli episodi legati al fenomeno della pirateria marittima nel mondo.  http://www.icc-ccs.org/piracy-reporting-centre/imb-live-piracy-map/details/71/69  Queste navi erano la petroliera ‘Kamome Victoria’, la nave cisterna italiana ‘Giovanni DP’ e il cargo ‘Ocean Breeze’.  Oltre a queste navi vi era poi, anche la greca Olympic Flair che come la Enrica Lexie ha dichiarato che il 15 febbraio del 2012 ha respinto un attacco pirata non lontano dalla costa indiana, circa 2 miglia marine, alle 21.15 locali. Il punto dove la nave greca ha riferito del contatto con i presunti pirati, due skip,  corrisponde a quello indicato dai superstiti del peschereccio indiano St. Anthony in cui sarebbero stati fatti oggetto da colpi di armi da fuoco sparati da una nave rossa e nera. Quanto dichiarato dal comandante della nave greca fa risaltare un altro fattore. Una discordanza temporale. Gli italiani hanno dichiarato di aver subito il tentato abbordaggio poi respinto alle 16,30 locali, i greci alle 21.15 locali. Gli indiani hanno dato notizia dell’incidente alle ore 22 locali dopo il rientro del peschereccio in porto alle 21,30. Se fosse lo stesso episodio non si spiega il perchè gli indiani hanno atteso 6 ore prima di denunciarlo a meno che non sia lo stesso episodio in quanto avvenuto in tempi diversi.  Infatti, quello italiano è avvenuto a 32 miglia marine e alle 16,30 locali. Per cui in base al fatto che la barca da pesca indiana raggiunge i 16 nodi di velocità questi dovevano essere rientrati in porto per le 18,30 e non alle 21,30 ora in cui sono  invece, giunti. Però se invece, si trovavano a 2 miglia e l’episodio si è verificato alle 21.15 i tempi corrispondono.  I due pescatori morti erano originari dello stato federale indiano del Kerala. Appena la notizia della loro uccisione divenne di dominio pubblico in tutto lo stato si tennero manifestazioni, apparentemente spontanee, di protesta anti-italiana. L’opinione pubblica e la stampa indiana fecero sentire tutto il  loro peso sui governanti locali. La vicenda venne fortemente condizionata da tutto questo e probabilmente anche sfruttata per fini propagandistici da parte di alcuni leader politici locali. Una chiara strumentalizzazione che alla fine ha finito per oscurare l’interesse comune del raggiungimento della verità e del superamento di ogni dubbio. Purtroppo a pesare su tutto non era in gioco solo la credibilità dei due Paesi, ma anche gli interessi commerciali dell’Italia nel Paese asiatico. Nel corso di questi lunghissimi 16 mesi la vicenda dei due marò ha dato vita ad una forte diatriba tra Italia e India condita da accuse reciproche e colpi di scena eclatanti. Una vicenda che trova tutti unanimi nel definirla assurda e forse gestita male, soprattutto dalla parte indiana, e che le tante incertezza, soprattutto da parte italiana, hanno fatto crescere fino all’inverosimile.  Trascurato tutto, ignorato tanto oggi però, sembra che tutti stiano facendo un passo indietro e cosi facendo stanno riemergendo alcune verità che prima erano palesi ma erano state ignorate per praticità e forse utilità. La svolta potrebbe venire proprio dalle nuove indagini condotte in maniera ‘scientifica’ dal Nia e dal superamento di quell’accanimento, quasi morboso, da parte indiana di voler ad ogni costo dimostrare la colpevolezza dei due marò.  Una sorta di ‘caccia alle streghe’ come ai tempi dell’inquisizione quando si dava la caccia alle streghe e anche senza prove, ma con solo il sospetto, si giudicava e si condannavano le persone al rogo.

Ferdinando Pelliccia