beachDall’antichità, dai Fenici ai Romani, fino alla nostra era, attraversando il Medio Evo con le imprese delle Repubbliche Marinare seguite dalle scoperte di nuove terre e continenti, la storia insegna che solo quelle Nazioni che hanno posto la marittimità come valore strategico prioritario, sono riuscite a svilupparsi, ampliare la propria economia, e progredire in tutti i campi. E’ noto che la decadenza materiale e culturale delle grandi potenze ed imperi è avvenuta quando è stato sottovalutato, e da taluni abbandonato, il concetto strategico del dominio sul mare a favore della territorialità. La marittimità, per un Paese come l’Italia, bagnata da oltre 8000 km di coste, dovrebbe essere sempre compresa fra le alte priorità della nostra ‘’governance’’proprio per la indiscussa valenza trainante nei settori diversi della società, dall’economia, all’industria, ai rifornimenti vitali –energetici e di sussistenza- che avvengono per oltre il 90% via mare. Lo iodio salmastro fa, e deve far, parte del nostro DNA, che piaccia o meno; spesso si è tentato di sostituirlo con una sterile continentalità, disconoscendo che siamo pur sempre un ‘’un popolo di Santi, di Poeti e…di Navigatori’’. Tuttavia il privilegio naturale di essere immersi in una lapalissiana ‘’marittimità’’ è una condizione appena necessaria; affinché sia anche sufficiente bisogna usare il mare, controllarlo, gestirlo e garantirne la piena libertà con il governo di fenomeni spesso illeciti ed il contrasto di attori criminali: per questo è essenziale disporre di una adeguata Componente Navale statuale, credibile, flessibile, efficace, a garanzia dell’assolvimento di tali compiti esiziali e di esercitare, ove necessario, la deterrenza e la dissuasione quali opzioni strategiche preventive. Non solo; investire su una Flotta che possa curare gli interessi nazionali significa mantenere alta la competitività internazionale della cantieristica, con costruzioni navali innovative sia sul piano tecnologico che dell’impiego, incrementare la ricerca tecnologica di nuovi sistemi, mantenendo un’autonomia produttiva strategica nei diversi settori, e ‘’motorizzando’’ l’economia e lo sviluppo del Paese: un investimento strategico per la Difesa e la Sicurezza di una Nazione, ma nel contempo un ‘’boost’’ per la stessa economia , il benessere ed il lavoro dei suoi cittadini. Non si tratta di avere un’alta visione geostrategica, ma basta un breve excursus nella storia del nostro Paese per rendersene conto.

Negli appena trascorsi 150 anni della nostra Marina Militare, gli esempi di autentica leadership non mancano, anzi! Già il Cavour e il coevo Brin, avevano capito meglio e prima di tutti che investire su una Marina unitaria forte significava, oltre a garantire la sicurezza marittima dell’Italia, puntare su un’industria strategica per lo sviluppo nazionale centrata sulla cantieristica, ma con robuste ramificazioni sulla siderurgia, sull’industria tecnologica, elettronica e con positive ricadute sull’economia in genere . Cioè, per Brin, il possesso di navi non bastava, se non si era in grado di costruirle, fabbricandone ogni minimo componente ed apparecchiatura con l’industria nazionale; fu lui, infatti, a imporre lo sviluppo delle fabbriche di motori navali, la creazione della base di Taranto, la costruzione dei nuovi bacini di La Spezia e la fusione delle Scuole di Marina di Napoli e Genova in una sola Accademia navale a Livorno, poiché anche la formazione univoca degli Ufficiali era una priorità. Con la ‘’Legge Navale’’ del 1873, Brin poté collocare stabilmente la Regia Marina al terzo posto nel mondo dietro la Royal Navy e la Marine Nationale.
Dalla legge navale del 1873 fino ad oggi, la storia della Marina Militare, sembra ancorata a un destino caratterizzato da strani e cabalistici appuntamenti trentennali, che corrispondono ad una estesa ed onorevole vita tecnica di un bastimento, e che puntualmente si sono concretizzati in date assai significative : 1913, 1943, 1973 ed ora 2013. La lungimiranza del Grande Ammiraglio Thaon de Revel, già Ministro della Marina, nel lontano 1913 aveva consentito di sviluppare la Marina con una consistente flotta puntando particolarmente sul naviglio leggero , dando inizio altresì alla costituzione di un’ Aviazione Navale di Marina, quale pilastro fondamentale per integrare le capacità della nuova ‘’arma’’ con la Flotta, nella guerra sul mare.
Oggi ne celebriamo con orgoglio il Centenario, anche se le vicende successive alla provvidenziale nascita, hanno mostrato alcune sconsideratezze, soprattutto nel successivo ‘’Ventennio’’in cui, a fronte di stereotipi ideologici, si è pagato un prezzo elevatissimo proprio per la sottovalutazione strategica della sua funzione aeronavale . Trenta anni dopo, nel 1943, dopo oltre 40 mesi di guerra, nel corso del rovinoso 2° conflitto mondiale, un altro appuntamento ciclico col destino. La Marina -che aveva una fra le più ragguardevoli Flotte del mondo e fra i migliori equipaggi- fu costretta, in quel tragico 8 settembre, ad obbedire al ‘’più amaro degli ordini’’ della resa secondo le clausole armistiziali imposte. L’Ammiraglio Carlo Bergamini, nel momento supremo che ha preceduto il sacrificio suo e dei suoi equipaggi, scomparso con la corazzata Roma il 9 settembre, ebbe a dire ai suoi: ‘’ La Marina italiana in 40 mesi di guerra ha fatto tutto il suo dovere: nessuna delle Forze armate ha obbedito e dato quanto la Regia Marina…è necessario che continui ora a mantenere elevate le sue tradizioni e a servire il Paese. Gli equipaggi sono stati sino a ora esempio di sacrificio e di dovere. Tutti hanno sempre dato, in ogni momento e in ogni luogo, il massimo delle proprie possibilità fino all’estremo sacrificio per il bene della Patria. L’unica risorsa è mantenere intatto lo spirito delle Forze Armate, specie della Marina, che in questi 40 mesi di lotta ha dato 12000 morti e circa 40000 dispersi. Solo così facendo si potranno, un giorno, ricostruire su queste basi rimaste intatte, le novelle fortune dell’Italia’’. Dedizione straordinaria al bene comune e prova vitale di magnifica disciplina, in linea con quegli ideali d’italianità e di senso del dovere e del sacrificio che avevano ispirato la vita di tutti i marinai, a partire dal loro Ammiraglio, Comandante della Flotta. La ricostruzione materiale e morale del nostro Paese fu lenta e travagliata; dovettero trascorrere altri 30 anni dopo i nefasti fatti della Grande Guerra e le ingiuste, ingiustificate e castranti clausole per tentare di ridare una connotazione dignitosa sia sotto il profilo della consistenza della Marina che del trattamento dei suoi equipaggi: ciò avvenne con la Legge Navale De Giorgi – impostata nel 1973 -che consenti di ridare un significato operativo alla Marina con l’avvio di una serie di costruzioni navali mediante un investimento strategico sulla cantieristica, pur in un periodo di assoluta stagnazione industriale , economica e sociale. Una legge navale poneva fine, dunque, ad una situazione critica che aveva toccato il fondo all’inizio degli anni settanta e, con un programma decennale, stabilizzava il livello della flotta a quelle mai raggiunte, 105.000 tonnellate di dislocamento imposte dalle clausole post-armistizio del secondo conflitto mondiale. Il piano di nuove costruzioni consentì di giungere prossimi agli anni ‘90, con una Flotta moderna, bilanciata e in grado di svolgere bene i compiti –peraltro ben definiti nel contesto della Guerra Fredda – affidati alla Marina. Forse quel destino cabalistico avrebbe previsto di rinnovare la flotta a cavallo del millennio, sempre con la cadenza del trentennio; solo chi ha operato per mare, sa quanto fosse necessario preoccuparsi delle condizioni della gente di mare e dei mezzi loro affidati che, soggetti ad una obsolescenza salmastra, non hanno potuto usufruire neppure delle normali manutenzioni, altro che rinnovamento della flotta: va detto che è mancata la volontà ‘’politica’’di battersi per la giusta causa della Marina, lagnandosi qualche volta, ma adagiandosi su percorsi meno impegnativi e su un criticabile, ma assai più comodo, status quo ante. Come avvenne nel passaggio del secolo precedente, dal 1873 si passò al 1913, così con un grano di ritardo di un decennio sulla ciclicità dei 30 anni, oggi a distanza di 40 anni dalla legge navale De Giorgi, si è toccato di nuovo il fondo; di più. Ma anche la situazione economica, sociale, occupazionale e industriale è critica almeno quanto quella di quell’epoca; le minacce e i conseguenti ruoli per contrastarle sono indefiniti e la caratteristica principale oggi è l’incertezza che richiede, quindi, una particolare flessibilità dello strumento militare ed una duttilità del personale per fronteggiare situazioni diverse, spesso imprevedibili, ma che allargano i loro ‘’effetti’’ su campi assai distinti da quello tipicamente militare. La vision dovrebbe fulcrarsi sul concetto strategico di ‘’crescere in Sicurezza’’ per far ripartire il Paese,ora in una drammatica stagnazione economica e sociale; un paradigma non facile da declinare, ma per altri versi naturale, praticabile e sostenibile nel tempo. Per l’Italia le questioni legate alla Stabilità e allo sviluppo risiedono in larga misura sulla marittimità, storicamente sul mare Mediterraneo che, ancora una volta, deve essere visto in modo ‘’allargato’’, decisivo per una nuova civilizzazione e ponte di scambi con l’Oriente.
Quel Mare Nostrum ha un significato geopolitico che travalica i confini regionali; è il simbolo stesso delle sfide che ci attendono nei prossimi anni, con il suo ruolo secolare fra stabilità e conflitti, fra pace e terrorismo. E non è necessario rivolgerci a esperti di geostrategia o geopolitica, di cui l’Italia non abbonda certo, per esplorare e definire le nuove realtà, le minacce e i rischi alla nostra Sicurezza: quelle correlate al blocco sovietico dell’URSS sono sparite da ormai cinque lustri e non sono prefigurabili massicci attacchi aerei o terrestri del temibile ‘’orso sovietico’’. Schieramenti di armate nazionali alla ‘’soglia di Gorizia’’ o rinforzi ai Gruppi di volo di contrasto aria-aria contro presunte ondate di caccia Mig, sarebbero investimenti inutili anche sul piano meramente militare, forieri dei soliti risultati entropici in termini di Sicurezza e Difesa, e del tutto ‘’vuoti’’sotto il profilo della crescita industriale ed economica del Paese. C’è bisogno di un salto culturale anche in ambito Difesa, ben valutando lo scenario complessivo e le reali minacce alla sicurezza e interessi nazionali autentici, più che conformarsi al ‘’precedente’’ che oggi non ha più senso. E’ di tutta evidenza che le minacce sia alla sicurezza dei cittadini, sia alle attività che si svolgono sul mare, sono quelle connesse proprio alla marittimità anche per i riflessi che possono avere sullo sviluppo, sulla stabilità e sulla stessa sopravvivenza del mondo occidentale: dalla pirateria, ai fenomeni legati ai flussi migratori, ai rifornimenti energetici, alla libertà delle linee di comunicazione marittime, al terrorismo e traffico di armi via mare, all’applicazione dei concetti di deterrenza e dissuasione . Dalla gestione della nostra marittimità, dipende la nostra sicurezza, ma anche la nostra crescita; solo una Marina adeguata ai tempi, con una Flotta ‘’credibile’’ può garantire la sicurezza, la libertà dei mari ed i nostri interessi vitali. Di più, oggi, un investimento sulla Flotta può costituire un motore che permette una notevole crescita nel settore tecnologico, industriale, cantieristico – con riverberazioni assai positive nei settori limitrofi dell’indotto- con un’occupazione tangibile di decine di migliaia di maestranze (salvando oltre 10000 operai dalla cassa integrazione),quindi con ricadute industriali, ma soprattutto di ordine sociale di assoluto rilievo. Noi abbiamo il sacrosanto dovere di ‘’far riprendere il nostro Paese’’ e possiamo farlo con un investimento mirato alla marittimità, con bastimenti costruiti da noi e attrezzati col ‘’made in Italy’’, come sosteneva Brin; navi caratterizzate da quella flessibilità intrinseca, capaci di svolgere il compito principale di ‘’combattere’’le minacce attuali, ma anche progettate con capacità ‘’duali’’ e spazi adeguati per far fronte a problematiche estemporanee in caso di recupero e assistenza di grandi flussi di immigranti, di concorso alla Protezione Civile e di assistenza alle popolazioni colpite da calamità, di soccorso e interventi sanitari in emergenza e anche su base di attività prepianificata, di interventi diversificati eco-ambientali anche in caso di inquinamento marino, ecc. Una nuova Legge Navale che eviti l’annichilimento della Flotta, con un investimento pluriennale per uno strumento ‘’duale’’, operativamente capace, e utilissimo socialmente ed economicamente.
La Marina Militare ha le risorse umane giuste e motivate per dare questo eccezionale contributo in un momento così critico per il Paese, per farlo ripartire al meglio, ma le minacce e le sfide che oggi incombono sul Paese non possono essere contrastate con ‘’l’arco e con le piroghe’’, ma con una linea navale nuova, ‘’multipurpose’’, impiegabile con quell’ efficienza ed efficacia che da sempre sono patrimonio e motivo di grandi sacrifici ed orgoglio dei marinai. Sarebbe poco onesto e assai miope pensare che’’ basta il coraggio’’ (Sufficit Animus’’) secondo il motto Dannunziano e la forte motivazione della gente di mare, per risolvere la situazione attuale di profonda crisi nazionale; ci vuole una nuova Legge navale, ci vogliono bastimenti adeguati per affrontare le sfide che si profilano all’orizzonte, ci vuole fiducia verso la Marina che può dare una grossa mano al Paese per riprendersi: la vision marittima c’è, si tratta di darle dignità nella Legge di Stabilità, ora in discussione, sostanziarla come hanno fatto i nostri padri, e confidare nella ripartenza dello sviluppo sul mare e dal mare.

Giuseppe Lertora