napoliI rifiuti fumanti ai margini delle strade della Campania non sono una novità. Già nel 2008, quando esplose l’emergenza di Napoli, era frequente imbattersi un po’ ovunque in grosse piramidi di spazzatura incendiata: in città come nel vasto circondario della provincia, specie campagne e periferie, tra disordini, insurrezioni di quartiere – spontanee o manovrate dalla camorra – con folle scalmanate che violentemente rifiutavano discariche, inceneritori e termovalizzatori, insomma qualunque struttura potesse smaltire quelle fetide tonnellate di un’ immondizia spesso sballottata da un quartiere all’altro, da una cittadina all’altra, perché nessuno voleva riconoscerla come propria. Non nel mio cortile, non nel mio villaggio, meglio da qualche altra parte.

 

terra dei fuochiAllora si trattava per lo più di rifiuti urbani e domestici. Ora il problema è diverso, o meglio solo oggi si arriva a sospettare che da quasi vent’anni la camorra abbia sistematicamente sepolto nel terreno micidiali scarti industriali, come piombo, polveri d’amianto, sostanze chimiche e materiali acidi, farmaci scaduti, rifiuti sanitari, e addirittura scorie nucleari. La terra nel tempo assorbe tutto, e il veleno può raggiungere le falde acquifere. Mentre i roghi, con quei fumi densi e neri, diffondono nell’aria miasmi e fetori irrespirabili. Il gas più temuto è la diossina, che provoca leucemia, tumori al seno e alla tiroide. Da tempo la popolazione lamenta un violento aumento di queste patologie. C’è gran mobilitazione, fioriscono siti Internet di protesta, nascono comitati, gruppi spontanei e manifestazioni guidate da un valoroso prete, don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano (Napoli). L’Istituto Superiore di Sanità, con sede a Roma, si mantiene prudentissimo: interpelliamo la dottoressa Loredana Musmeci, responsabile dell’ambiente e della prevenzione, che promette in tempi brevi una completa relazione ufficiale. Mentre Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia, già avverte che la malavita campana potrebbe presto spostare in Toscana questo tipo di scarichi.

“Penso a Napoli com’era, penso a Napoli com’è”, dice un’antica e triste canzone napoletana, Munasterio ‘e Santa Chiara. Effettivamente, percorrendo in auto il triangolo Acerra – Nola – Marigliano, non è proprio un bel panorama. In aperta campagna o nelle periferie, tra misere case abusive e lungo i bordi delle strade, è difficile distinguere la comune immondizia urbana dai più pericolosi rifiuti industriali, tra detriti, rottami e carcasse di ferro, liquami densi e scuri, bidoni, cumuli di plastica, copertoni, perfino scarti d’abbigliamento. Dicono: responsabilità politiche, di vertice. Stato assente, amministrazioni locali distratte o apertamente compromesse con la malavita. Certo. Non c’è dubbio, basta guardarsi intorno. Basta chiedere al telefono di qualche assessore all’ambiente, che subito ti riappendono. Ma le popolazioni? Se il fenomeno, come si dice, era così organizzato e sistematico, come può la gente del luogo aver ignorato per anni uno scempio tanto vistoso? E bastano le dichiarazioni tardive del “pentito” camorrista Carmine Schiavone, tutte peraltro da verificare, per passare in poco tempo dall’apatia – o connivenza – alla rivolta collettiva?

“Questo è un ufficio turistico. Per questo tipo di informazioni conviene rivolgersi al Comune, non sono di nostra competenza. Noi diamo solo informazioni turistiche.” Siamo all’Azienda Autonoma di Soggiorno di Napoli.

E turisticamente il problema ha influito?  “Napoli attualmente ha una grande affluenza, con presenze costanti.”

E l’immagine?  “Non siamo autorizzati a discutere di questo.” L’impiegata, finché può, mantiene un tono rigidamente formale. Poi non ce la fa più, e sbotta: “La vergogna è italiana, non solo della Campania. Per anni il silenzio ha coperto tutto. Mai una bonifica. Io abito in un paese della provincia e ogni giorno muore qualcuno.”

All’ARPA di Caserta ammettono che la situazione è grave: “L’incendio dei rifiuti da tempo è sotto gli occhi di tutti, tutti vedono i fumi salire dalle campagne, non c’è bisogno di un ente strumentale come il nostro per constatarlo. La repressione compete piuttosto alle forze dell’ordine, è necessario un controllo più stretto. A noi spetta definire la tipologia dei rifiuti, che in gran parte provengono dal Nord. C’è un’inciviltà diffusa, ma sanche una nuova consapevolezza. Da quando è insediato il commissario governativo, il prefetto Donato Cafagna, i roghi stanno comunque diminuendo.” Alla Polizia Municipale di Aversa confermano: “Si, ci adoperiamo per spegnerli. Ma dovete parlare col comandante.” Che non risponde.

pomodori sanmarzanoLa Campania è tra le regioni più produttive nel settore agricolo – frutta, ortaggi, zootecnia – anche perché la struttura vulcanica del suolo ne accresce la fertilità: paradossalmente, quello che era un primato rischia ora di farsi un dramma per la regione, per l’Italia e per i mercati internazionali. Nel 2008 Corea del Sud e Giappone bloccarono temporaneamente l’importazione di mozzarella di bufala da quelle terre. Gli stessi marchi DOC e DOP, riconosciuti dall’Europa, che dovrebbero garantire origine e qualità, rischiano così di diventare un boomerang, nel momento in cui si certifica ufficialmente che quel dato prodotto viene proprio da lì. A quel punto diventa facile generalizzare, a danno degli stessi coltivatori e di tutta l’economia locale. Non facilita il cronico campanilismo Nord-Sud, mentre già i pomodori del Nord (Lombardia, Emilia) recano vistose indicazioni di provenienza. Ma come circoscrivere e distinguere in Campania le aree inquinate da quelle sane? Lunga la lista dei comuni interessati: Caserta, Nola, Acerra, Castelvolturno. E tanti, tanti altri. La presidenza della Regione, come vedremo, dichiara di aver già individuato e chiuso i siti a rischio.

Speriamo. Ma intanto ascoltiamo alcuni pizzaioli di Caserta e provincia: perché proprio la pizza – pomodoro e mozzarella – è un po’ il simbolo di tutto il problema. “Le aziende che ci forniscono il pomodoro San Marzano sono certificate dall’Ismecert, Istituto Mediterraneo di Certificazione Agroalimentare, riconoscito dall’Unione Europea.” E’ il titolare della trattoria Capa Tosta che parla. Darebbe questa pizza ai suoi figli? “Tranquillamente.” In un altro locale si direbbero un po’ meno sicuri: “Abbiamo i nomi dei caseifici, dei marchi, ma non ci danno i tabulati con le analisi.” Chiedo: c’è un calo di clientela? “Eh sì, purtroppo.” Per i pomodori vi sentite sicuri? “Sicuri? No, nemmeno dell’acqua dei pozzi che beviamo. Qui, a San Nicola La Strada, il Comune non tiene informata la cittadinanza.”

Molto sicuri, invece, i responsabili delle aziende che commercializzano il pomodoro San Marzano. Sentiamo il titolare della OIP di Brescia: “Ci sono controlli seri e analisi regolari. Personalmente mi fido e difendo la qualità dei prodotti italiani.” Aggiunge Maria Gabriella Russo, titolare di un’azienda di Caivano: “I nostri pomodori provengono da una zona che nemmeno è sfiorata dal problema: il Tavoliere delle Puglie.”

MOZZARELLA BUFALAA sua volta, il Consorzio per la Mozzarella di Bufala difende il prodotto a spada tratta, non senza una logica forte e credibile: “Questa immagine di bovini che vanno liberamente a pascolare di qua e di là è un po’ troppo bucolica. In realtà gli animali non brucano i campi, ma vengono nutriti negli allevamenti con mangimi controllatrissimi.” Davvero? “Ogni giorno subiamo verifiche di ogni tipo su tutta la filiera, fino al latte e al prodotto finale. Il problema reale riguarda solo il 2% della superficie agricola effettivamente coltivata. Gli eventi denunciati dal pentito risalgono a 16 anni fa. Oggi i roghi sono circoscritti, e comunque non riguardano il Casertano. Gli accertamenti sono completi e severissimi, e vengono attuati per legge dalla’ARPA, dall’ASL e dall’Istituto Zooprofilattico di Portici. Noi per primi pretendiamo una mappa completa delle zone critiche : dovessimo individuare un nostro caseificio in quelle aree verrebbe chiuso immediatamente.”

Parole forti e nettissime. Ma il disagio popolare non si placa. Don Patriciello definisce la situazione “un’orribile sciagura”. Racconta poi di essersi recato a Bruxelles, di essere stato anche sentito dalla Commissione Ambiente del Senato, e rivela che nella sua parrocchia di Caivano sono accorsi i ministri Orlando e di Gerolamo: con le istituzioni, conclude, si deve dialogare.  In effetti, non è proprio vero che le istituzioni tacciano. Anche se in ritardo, la Camera dei deputati ha approvato una mozione presentata un po’ da tutti i gruppi, che impegna tra l’altro il Governo ad attuare bonifiche nei territori inquinati della Campania e regolari controlli sulla salute della cittadinanza, evitando che il risanamento sia affidato ad aziende legate alla malavita. Le consultazioni con le comunità interessate dovranno essere permanenti, e i risultati pubblici.

Ma è sul posto che si decide la partita. In un caso come questo, la sede per eccellenza non può che essere l’ente Regione. Il presidente Stefano Caldoro, eletto nel 2010, sembra molto determinato. Dispone di un ottimo ufficio stampa, ma non ama troppe dichiarazioni. Per noi la presidenza fa un’eccezione: “Abbiamo i prodotti alimentari più controllati in assoluto. Dall’Istituto Superiore della Sanità, da tutti gli enti e organismi nazionali e locali, anche per quanto riguarda la qualità dei terreni.” Ma l’area critica è vasta, obiettiamo: come individuare le zone inquinate? Risposta: “La Terra dei Fuochi è un fenomeno che riguarda porzioni minime di territorio, le aree critiche sono già identificate. Per la verità, i controlli erano in atto anche prima delle dichiarazioni del pentito. Tutte cose già note.” Già nel 2008, osserviamo, era esplosa la crisi dei rifiuti urbani… “Distinguiamo i rifiuti di origine domestica dal problema più serio della Terra dei Fuochi, dove per vent’anni nel terreno si è sepolto di tutto.” Avete individuato i luoghi? “Sì, sono circoscritti, sappiamo dove sono e sappiamo cosa fare. Sul nostro sito internet stiamo mettendo tutto on line: prodotti, analisi, tutto pubblicato. Abbiamo spento e chiuso la discarica di Giugliano, dopo vent’anni. Stiamo facendo tutto quello che c’è da fare con un’azione martellante, e per questo abbiamo chiesto allo Stato una legge speciale.” Socialmente però c’è ancora molta tensione, tra degrado, inciviltà, confuse sommosse… Risposta: “La popolazione fa bene a essere preoccupata, il problema è enorme, ma finalmente c’è una nuova consapevolezza.”

Uscendo dalla città, in periferia e provincia, ricominciano i fumi. In aperta campagna si levano dai campi i soliti falò, colonne alte, dense e sottili che velano il bel “sole mio”. Ai bordi dell’asfalto, ancora detriti sporchi, tra incuria, complicità o passivo fatalismo.L’Europa è un altro pianeta. Ma forse è vero che qualcosa si muove. Abbiamo sentito anche voci audaci e incoraggianti. Forse, per capire davvero queste terre, bisognerebbe viverci. Certo, ripensando al filmato di quel pentito Schiavone, le cose più terribili non erano quelle che diceva: i cinquanta omicidi, la morte di tanti bambini… No, l’aspetto più atroce era vedere un uomo normale, anche energico e intelligente, di aspetto perfino dignitoso, che molto normalmente parlava del suo lavoro, come qualunque operaio o tecnico che fa quel che deve fare. Niente di più, niente di meno. Chissà se un cambiamento potrà mai esserci: semmai avverrà, è certo che dovrà partire da qui e non da Roma. Dalle coscienze, prima che dalle leggi.

 

Gian Luca Caffarena