Acqua salata. Paura in mare

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camogliNel secolo scorso, quando i Cantieri Navali di Sestri Ponente, fondati nel 1815 da Agostino Briasco, maestro d’ascia, che poi diventarono Cantieri Cadenaccio, poi Cantiere Navale Odero, poi Cantieri G.Ansaldo e infine Italcantieri, erano al culmine della loro potenza e primeggiavano in tutto il mondo per la perfezione e lo stile delle navi prodotte; era prassi comune per la Direzione fotografare le nuove navi in navigazione, per allegare le foto scattate al Protocollo di consegna che veniva firmato per accettazione dalla società armatrice che aveva ordinato la nave.

I Cantieri operavano con un apposito Ufficio Fotografico, che era stato fondato da mio padre, in cui lavorano alcuni fotografi professionisti di grande valore che usavano macchine all’avanguardia.

Le fotografie venivano scattate durante l’ultima giornata di prove, quella a tutta forza, in mare, lungo la base misurata che andava da Camogli a Portofino. La nave perfezionava i suoi passaggi a circa un miglio di distanza dalla costa frastagliata del Promontorio. I fotografi, s’imbarcavano sui battelli “Golfo del Paradiso” che facevano il servizio, anche postale, tra Camogli e S.Fruttuoso con sosta intermedia a Punta Chiappa.

Il battello generalmente si portava sulla rotta della nave e aspettava, spegnendo il motore, che questa facesse il primo passaggio, poi, mentre nave si avvicinava, si riaccendeva il motore e si allontanava, scattando foto di prua, al mascone, di fianco e di poppa, mentre si allontanava.

Era bellissimo vedere questi colossi che si avvicinavano, navigando a tutta forza, secondo i tipi di nave, tra i 18 e i 30 nodi. I baffi dell’onda sulla prua denotavano la potenza della nave, era uno spettacolo affascinante.

Ogni tanto mio padre mi permetteva di unirmi ai fotografi; per me era anche divertente perché il battelliere, che mi conosceva, mi permetteva di pilotare il battello.

Un giorno uscii in mare con due fotografi per riprendere non ricordo che nave fosse, ci fermammo sulla rotta prevista e spegnemmo il motore; il battelliere fece colazione e i due fotografi affondarono due bolentini per pescare, non si sa mai, quella era la rotta dei tonni, io li guardavo pescare.

La nave arrivò dopo circa un’ora d’attesa, le lenze furono ricuperate, e si attese che la nave arrivasse a distanza utile di scatto fotografico prima di rimettere in moto il motore.

Venne il momento: la nave si presentava bellissima, i colori erano caldi perché il sole era basso, il grande baffo sulla prua mostrava una bella velocità, i fotografi impugnarono le macchine fotografiche e si misero in posizione, il battelliere entrò in timoneria e mise la mano sulla chiave d’accensione, io ero al suo fianco: uno, due tre, quattro, cinque giri di chiave e il motore non partiva, il pilota mi disse di mettermi alla ruota del timone e si precipitò giù nella sala motore e si mise a cercare di mettere in moto manualmente. Nulla, il motore si rifiutava di parte.

I fotografi, compresero la situazione di pericolo e si erano fatti pallidi in viso, pronti a buttarsi in mare, giù dal motore il pilota si mise a bestemmiare a tutta forza, il motore non partiva.

Sull’ala di plancia, il Comandante ci stava guardando con i binocoli, identificavo la sagoma di mio padre accanto a lui, eravamo in grande pericolo, la prua della nave era diretta sul nostro fianco. Il Comandante ordinò un fischio di sirena per avvertirci del pericolo, i fotografi cominciarono a invocare la Madonna della Guardia e il pilota sentivo che dava calci al motore. Seppi più tardi che il Comandante si era insospettito perché guardando con i binocoli, non vedeva la schiuma dell’elica in moto.

Fu il fischio di sirena o forse un intervento superiore, a darmi l’idea: mi attaccai al clacson della barca e trasmisi un continuato S.O.S.O.S.O.S.; immediatamente la nave rispose con un fischio di “ricevuto” e accostò subito a sinistra per evitarci. Fummo investiti da alcune onde piuttosto alte, prodotte dalla grande massa della nave, a colpi di timone riuscii a non farla rovesciare.

In quel momento, finalmente il motore si mise in moto, misi la prora verso le ultime onde che arrivano e poi virai.

Dopo un largo giro, la nave ci passò abbastanza vicino ad andatura ridotta e il Comandante con il megafono ci chiese se eravamo a posto, rispondemmo affermativamente a gesti.

Il battelliere mi ringraziò caldamente e riprendemmo il lavoro interrotto: la nave virò e si avvicinò di nuovo a tutta forza, questa volta il nostro motore rimase acceso.

Quella sera, andai con l’autista del Cantiere ad aspettare mio padre e il Comandante, sbarcarono insieme e subito mi chiesero cos’era successo, lo spiegai e l’Ammiraglio Beretta, che era Comandante d’Armamento, mio Maestro di Navigazione, mi mise una mano sulla spalla e disse a mio padre: “Emanuelli, tuo figlio ha i coglioni…”

Fu una delle poche volte nella mia gioventù che vidi lo sguardo di mio padre pieno di felicità. Avevo circa 17 anni.

Sandro Emanuelli