prove michelangeloFinalmente, finite le operazioni di carenaggio in bacino a Genova, venne il momento di uscire in mare per provare la nave e i suoi impianti.

Eravamo nel mese di Marzo del 1965, finalmente anche il nostro lavoro dell’impianto di condizionamento era pressoché finito: avevamo già provato le singole sezioni e ora, in navigazione, avremmo collaudato l’insieme.

Dal momento che i volumi interni della nave da ventilare erano enormi e questo avrebbe comportato l’uso di ventilatori enormi, azionati da motori in proporzione, occupando troppo spazio, era stato stabilito e progettato che il condizionamento dell’aria avvenisse a sezioni verticali, ognuna alimentata da una propria centrale automatica. Il tutto veniva poi controllato e gestito tramite un enorme pannello sinottico centrale, posto a poppavia della plancia.

Il pannello, con lucine colorate, forniva la temperatura di ogni ambiente, cabine, scale o saloni; forniva inoltre i dati di sicurezza in tutte le centrali di condizionamento.

Avevamo indubbiamente lavorato bene e il sistema era ben fatto: con i capisquadra avevo stabilito dei turni di quattro ore al quadro centrale e una squadra di operai era pronta a intervenire in caso di necessità, ma non c’erano problemi di funzionamento.

Una sola volta dovetti intervenire, proprio durante il mio turno di notte al quadro di comando: vidi una lucina rossa di allarme lampeggiare sempre più rapidamente. Controllai subito, in una stazione al ponte “C”, quindi sotto la linea di galleggiamento, la pressione del serbatoio di un compressore continuava a salire e stava sfiorando il segnale di pericolo di scoppio. Non avevo tempo di chiamare la squadra e spiegare tutto, afferrai un martello e mi precipitai per le scale quasi rotolando, entrai nella centrale e sentii il compressore sforzare, il serbatoio non scaricava aria, evidentemente la valvola di sfiato si era otturata. Avrebbe potuto essere molto pericoloso: uno scoppio vicino alla fiancata della nave avrebbe potuto danneggiare la carena e aprire una falla. per fortuna bastarono due martellate per risolvere il problema. Poi mandai la squadra a sostituire la valvola.

Finito il mio turno, dopo un breve riposo, ero sempre in plancia con L’Amm. Beretta, che era amico di famiglia. Quando studiavo al Nautico, m’insegnava come applicare le cose studiate in pratica, durante le prove delle navi, per cui facevo tesoro di quei momenti per affinare le mie capacità nautiche.

Imparai a carteggiare e calcolare le rotte, a usare i radar più moderni, a stare al timone senza apparire, sul registratore di rotta, come un ubriaco…

In quei giorni sulla “Michelangelo”, il Comandante mi trattava come se facessi parte dell’equipaggio, in qualità di Allievo Ufficiale. Ero nelle grazie dell’equipaggio fornito dal Cantiere Navale in quanto mi conoscevano sino dalla mia prima infanzia.

Finì il primo ciclo di prove, non erano stati raggiunti nella velocità i limiti previsti dal contratto, c’era aria di nervosismo a bordo, erano tutti chiusi come ostriche, per fortuna i nostri impianti funzionavano alla grande.

Nel ciclo finale di prove, finalmente venne raggiunta la velocità stabilita contrattualmente di 29,5 nodi. Era uno spettacolo stare al timone con quella velocità, me la godevo proprio. Un giorno, dopo aver ceduto la ruota al timoniere, mi recai sul “Ponte Belvedere”, il più alto, su cui erano poggiate le ciminiere e che aveva anche la porta d’accesso dentro l’albero per salire in coffa. Mi appoggiai alla ciminiera prodiera e mi fumai una sigaretta, godendomi la velocità, purtroppo, in lontananza, un peschereccio ci stava per tagliare la rotta e il Comandante decise di suonare la sirena per metterlo in allarme. La sirena, direttamente proprio sopra la mia testa, era azionata dal vapore che però, con la velocità, tendeva a raffreddarsi nei tubi, il risultato fu che mi feci una bella doccia d’acqua tiepida, vestito con la tuta bianca!…

Ricordo che furono spettacolari le prove di sbandamento: a tutta forza si virava da una parte e si contrastava la velocità con la pinna stabilizzatrice, la nave s’inclinava sul fianco sempre più, mentre il timoniere aveva gli occhi puntati sull’inclinometro, una specie di pendolo graduato che era sistemato sulla parte frontale della plancia. Se ben ricordo raggiungemmo 29° gradi d’inclinazione, oltre i 35° c’era rischio di rovesciamento. Durante la prima prova dovetti correre a trattenere l’operatore della RAI che con la telecamera si era piazzato sull’ala di plancia, vicino alla colonnina del ripetitore di bussola, con un braccio mi ancorai alla colonnina e con l’altra mano lo afferrai alla cintura dei calzoni, stava per cadere in mare…

Ma questa prova, a prescindere dalla soddisfazione personale del lavoro svolto, del piacere di sentirsi tra le mani, stando al timone, 275 metri di nave, alla gioia di vedere mio padre, era imbarcato anche lui, una volta tanto fiero di me, mi ha regalato alcuni attimi di commozione, adrenalina pura, che mi danno ancora la pelle d’oca quando ci penso.

Andò così: ero al radar e avvistai a prua, sull’orizzonte, una nave che procedeva verso noi velocemente; noi andavamo a 29 nodi ma sembrava che l’altra nave fosse più veloce. Informai subito l’Amm. Beretta che subito sentenziò: “E’ una nave militare”. Andò in sala radio e quando tornò mi ordinò di salire sul Ponte Belvedere con un nostromo e alcuni marinai per salutare con la bandiera la Nave “Andrea Doria” che era l’ammiraglia della flotta militare, la quale si sarebbe affiancata e avrebbe salutato l’ammiraglia della flotta mercantile.

Eravamo sul ponte, ai piedi dell’albero, prima ancora che la nave “Andrea Doria” ci raggiungesse, navigava alla nostra stessa velocità, arrivò sul lato sinistro, virò strettissimo sulla nostra scia, tanto che ebbi l’impressione che si rovesciasse, e infine si affiancò sul lato di dritta. L’equipaggio corse ad allinearsi sulla fiancata e, a un ordine del Comandante, alzarono un braccio gridando: “Michelangelo, Hip Hip Hip Hurrah!!!!”

In risposta, suonò la nostra sirena, il nostromo e un marinaio ammainarono e issarono tre volte la bandiera mentre noi salutammo sull’attenti.

Poi la nave da guerra si allontanò, veloce…

Non nego che scrivendo queste righe mi sono venuti gli occhi lucidi, un episodio così, per chi ama il mare e le sue tradizioni è incancellabile.

Ormai le prove erano finite e ci dirigemmo all’ormeggio nel porto di Genova. Andai ancora un paio di volte a bordo per un controllo generale insieme con l’ufficiale addetto, poco prima della partenza per il viaggio inaugurale.

Qui finiscono i miei ricordi della “Michelangelo”, purtroppo queste due splendide navi, orgoglio della nostra marineria, ebbero vita breve, 10 anni: furono vendute e terminarono la loro carriera di transatlantici.

Non voglio puntare il dito contro nessuno in particolare, ma posso mettere la mano sul fuoco che siamo sempre stati considerati i migliori costruttori navali del mondo; questa declassificazione è stata voluta dai politici che pensavano solo alle loro poltrone e agli industriali che non hanno saputo leggere i giornali. Il voli transatlantici aumentavano a vista d’occhio come pure le navi da crociera, lo si sapeva tutti, fuorché quelli che avevano il potere di cambiare le cose. La “Michelangelo” e la “Raffaello” avrebbero potuto essere progettate in modo diverso,  più flessibile, per essere adibite a diverse funzioni….

Sandro Emanuelli