BANDIERA_PIRATA

In Somalia decine di lavoratori del mare sono trattenuti in ostaggio dai pirati somali. Quando i loro familiari possono sperare di rivederli e riabbracciarli sani e salvi? Una domanda difficile, che molte, tante ragioni, impediscono di dare una risposta sincera. Nelle loro mani le gang del mare dovrebbero trattenere 50 marittimi di diversa nazionalità. In verità ne trattengono molti di più, almeno un centinaio. Si tratta dei membri dell’equipaggio di diverse navi catturate nel corso del tempo e tenuti in prigionia, alcuni anche da anni. Essi sono in attesa che qualcuno, Armatore o governo del Paese di origine, paghi un riscatto per far riacquistare loro la libertà. Questi uomini sono, per i predoni del mare somali, oltre che una fonte di guadagno, anche una garanzia di incolumità. I marittimi-ostaggi vengono infatti, utilizzati anche come scudi umani contro ogni eventualità come un blitz militare per cercare di liberarli. Oggi anche se al largo della costa del Corno D’Africa e nell’Oceano vi sono certamente ancora skiff pirati potenzialmente pericolosi e i pirati somali conservano ancora la capacità di condurre atti di pirateria contro le navi commerciali il fenomeno non è più ai livelli del triennio 2009-2011, periodo in cui ha raggiunto l’apice. Tutto questo, però, non consente ai comandanti di navi, che transitano per l’area di rischio di non preoccuparsi. Il livello di rischio è considerato ancora alto. Un numero imprecisato di barche da pesca, per lo più iraniane ed yemenite, e piccole imbarcazioni costantemente continuano a cadere nelle mani delle gang del mare somale. Molti di questi sequestri non vengono nemmeno denunciati e questo rende ancora di più impossibile fare un conteggio preciso del numero degli ostaggi nelle mani dei banditi del mare somali. Quindi di certo in prigionia in Somalia vi sono anche questi lavoratori del mare. Tra essi anche dei minori, mozzi a bordo di queste imbarcazioni. In passato è capitato che anche delle donne trovatisi al momento del sequestro su una nave catturata sono state trattenute come ostaggi dai pirati somali. Almeno in un caso una di essere era in attesa di un bambino. Per molti dei marittimi-ostaggi, almeno 40, la prigionia dura anche da anni. Sono i 4 lavoratori del mare membri dell’equipaggio del peschermarittimi-ostaggi-dei-pirati-somalieccio FV PRANTALAY catturato nell’aprile del 2010. Gli 11 marittimi equipaggio della MV ALBEDO catturata nel novembre del 2010 e recentemente affondata dal mare grosso mentre era tenuta, dai pirati somali, alla fonda al largo di Haradhere. I 7 della MV ASFALTO VENTURE catturata nell’aprile del 2011. Diversi di questi marittimi sono di nazionalità indiana. Quasi tutti sono stati trattenuti dalla gang del mare che li aveva catturati insieme alla loro nave anche dopo il pagamento del riscatto e il rilascio dei loro compagni di diversa nazionalità. Questo, per ‘punire’ l’India per il suo forte impegno nel contrasto alla pirateria marittima e per il fatto che nelle sue carceri sono detenuti centinaia di pirati. Purtroppo il prolungarsi della prigionia ha originato per tutti i marittimi prigionieri in Somalia una permanente e difficile situazione umanitaria e sanitaria. Più di tutti sono a rischio gli ostaggi tenuti sulla terraferma. Quest’ultimi sono tenuti nascosti in luoghi ignoti e di difficile accesso. Tutti i marittimi-ostaggi sono sottoposti ad angherie di ogni genere. Gli ex ostaggi hanno raccontato di aver subito continue minacce di morte, finte esecuzioni, torture fisiche e psicologiche e sono stati costretti a soffrire il freddo, la fame e la sete. In alcuni casi si è registrato anche la morte di ostaggi per gli stenti e malattie, ma anche per morte violenta.  Di recente sono stati sbarcati e spostati a terra anche i 28 marittimi membri dell’equipaggio della nave NAHAM 3 battente bandiera dell’OMAN e catturata nel marzo del 2012.  L’imbarcazione, arenatasi di recente, era di fatto l’unica grossa nave ancora in mano ai predoni del mare somali. A questo punto quasi tutti i lavoratori del mare trattenuti ancora in ostaggio dai pirati somali si trovano ora tutti a terra. Per quanto detto  è facile immaginare la loro situazione. La prigionia per tutti loro è un vero inferno. Anche dopo il rilascio per gli ex ostaggi continuano le sofferenze perché essa lascia un segno indelebile nell’anima, nella mente e nel corpo di ognuno di loro. La maggior parte di loro ha scelto di non tornare più per mare. La drammaticità del sequestro viene vissuta intensamente dai marittimi che sono stati catturati ma, anche dai loro familiari che a casa sperano e pregano per il loro ritorno vivendo nell’ansia e nel terrore di perdere i loro cari per sempre. In diverse occasioni i familiari, ormai alla disperazione, hanno inscenato manifestazioni per le strade delle loro città di origine come in India e in Pakistan. Questo, per scuotere l’opinione pubblica, ma soprattutto i loro governi insensibili, secondo loro, al dramma che stanno vivendo loro e i propri familiari. Per quasi tutti gli ex ostaggi è stato impossibile riprebambini-mostrano-la-foto-del-padre-ostaggio-dei-pirati-somali-320x204ndere a vivere come prima. In molti casi, una volta tornati liberi, essi sono stati lasciati soli e dimenticati. La disgrazia di cadere nelle mani dei pirati somali è toccata anche a marittimi italiani. Tutto questo deve indurre a riflettere e a spingere, chi ne ha potere, ad attuare al più presto quello che più si ritiene utile per salvare i lavoratori del mare che sono caduti nelle mani dei pirati somali. Un appello che potrebbe essere raccolto dal Gruppo di contatto sulla pirateria al largo della Somalia, Cgpcs, la cui presidenza di turno, dall’inizio dell’anno, è passata all’Unione europea. Il gruppo è stato creato il 14 gennaio del 2009 ai sensi della risoluzione 1851 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con lo scopo di coordinare gli sforzi politici, militari, e non governativi per contrastare la pirateria al largo delle coste della Somalia, assicurarsi che i pirati siano assicurati alla giustizia, e sostenere gli stati regionali a sviluppare le capacità sostenibili di sicurezza marittima. L’Ue ha promesso di ridurre a zero il numero di marittimi-ostaggi nelle mani dei pirati somali. Se ogni promessa è debito si spera che presto venga mantenuta. Il prolungarsi dei tempi della prigionia sono purtroppo legati soprattutto al  problema del pagamento dei riscatti. Pagare vuol dire incentivare questo tipo di attività criminale. Ufficialmente nessuno dovrebbe trattare con i predoni del mare e tantomeno pagare a loro i riscatti. Ed è questa la linea che seguono, almeno ufficialmente, quasi tutti i Governi dei Paesi di origine dei marittimi e delle navi catturate. Sono invece, ufficialmente le società armatrici delle navi catturate a stabilire dei contatti con le gang del mare somale e servendosi di intermediari le conducono, in modo riservato, a buon fine ossia giungono al pagamento di un riscatto per il rilascio dell’equipaggio e della loro nave. In verità quasi sempre un forte contributo o tutta la somma viene pagata dal governo del Paese di origine dei marittimi. Finora solo la Spagna ha ammesso ufficialmente di aver pagato un riscatto, 4 mln di dollari per il sequestro del Peschereccio Alakrana nel 2009. Altri Paesi invece, sebbene se ne abbia conoscenza hanno sempre negato, come il caso dell’Italia 4 mln di dollari per il sequestro del rimorchiatore Buccaneer nel 2009 e 500mila dollari per il sequestro del velista italo-sudafricano Bruno Pelizzari nel 2012. Il denaro di tutti i riscatti pagati è andato, nel corso degli anni, a riempiere le casse dei pirati somali fruttandogli ufficialmente 400 mln di dollari. La cifra esatta però, non si conosce soprattutto per il fatto che molti, appunto, non dichiarano di aver pagato un riscatto o dichiarano di meno. Comunque anche se per difetto, questo consuntivo della somma totale pagata negli anni d’oro del fenomeno, 2008-2012, denota quanto il fenomeno della pirateria marittima al largo della Somalia abbia pesato sull’economia globale. E’ stato stimato che la pirateria somala sia costata globalmente tra i 7 e i 12 miliardi di dollari l’anno.

Ferdinando Pelliccia