A sette minuti dall’inizio del discorso del Presidente Giorgio Napolitano nel corso della seconda sessione plenaria di Strasburgo, la contestazione degli eurodeputati leghisti per ottenere attenzione mediatica – nonostante il dovere di cronaca e per una propria anacronistica inconsistenza – è miseramente naufragato nell’emiciclo stellato come un guscio di noce nell’oceano.
Nel suo saluto di benvenuto il presidente Schulz aveva già sottolineato l’impegno del nostro Capo dello Stato nel ricucire le divisioni che hanno attraversato la società italiana ed europea deplorando coloro che, violentemente e volgarmente lo criticano con l’unico obiettivo di aumentare la loro visibilità e di gettare il Paese nel caos.
A pochi mesi dalla fine di questa legislatura, caratterizzata dalla crisi economica iniziata negli Stati Uniti ma che ha mietuto più vittime nel Vecchio Continente, e a pochi mesi dalle prossime elezioni che si terranno nei 28 Paesi membri dal 22 al 25 maggio prossimo, Napolitano ha tracciato gli elementi che hanno portato all’aggregazione comunitaria, analizzando i “sentimenti di sfiducia e di rifiuto verso il disegno europeo scatenati dal peggioramento delle condizioni di vita e dello status sociale che ha investito larghi strati della popolazione dell’Unione e dell’Eurozona”. Un euroscetticismo e criticismo alimentato da un incremento disoccupazionale che sta investendo in percentuali mai viste prima la fascia demografica giovanile.
Secondo Napolitano le drastiche misure intraprese nel contenimento del rapporto deficit-PIL per il requilibrio della finanza pubblica in ciascun paese dell’area, per dare un futuro alle nuove generazioni, non sono più praticabili in via esclusiva. Lo ha ribadito anche nel secondo giorno di visita a Strasburgo sottolineando che le politiche di austerità non possono essere applicate a tappe forzate.
Oltre alla bolla economica, sono “le radicali trasformazioni tecnologiche già intervenute e ancora in corso” ad aver contribuito in maniera sostanziale all’attuale contrazione dei posti di lavoro e per uscire da questo tunnel si rende necessario non solo “rompere il circolo vizioso tra politiche restrittive nel campo della finanza pubblica e arretramento delle economie europee” ma anche “procedere a riforme dei sistemi formativi e del mercato del lavoro, investire in conoscenza, ricerca, preparazione della giovane forza lavoro a nuove opportunità e forme di occupazione”.
Rompere quello che per diversi aspetti è diventato, appunto, un circolo vizioso – suggerendo a un autorevole studioso l’immagine di una “Europa intrappolata” – è ormai essenziale, se si guarda soprattutto alla condizione di un’intera generazione oggi alla deriva.
Ad essa anche una ripresa della crescita – se debole e non finalizzata ad obbiettivi specifici per i giovani privi di lavoro – tende ad offrire scarsa e cattiva occupazione.
La percezione di tutti i cittadini dell’Unione è che l’istituzione stessa si muova con la lentezza tipica dell’elefante e questo, nell’era in cui l’evoluzione del mondo avviene in tempo reale e, soprattutto sotto il peso incalzante della pressione fiscale, non puo’ e non è più sostenibile. Questa insofferenza e sofferenza è sicuramente alla base della “visione attenuata di quel che si è costruito in poco più di mezzo secolo” a cui fa riferimento Napolitano, e che deve essere pero’ rafforzata perché solo uniti, i Paesi membri, potranno contrastare la riduzione del loro peso demografico, della loro potenza economica e del loro ruolo negli equilibri mondiali.
La visione di un continente unito, formato da popoli diversi deve dunque essere allargata non solo sulla base di una omogeneità delle politiche economiche e sociali ma anche di nuovi sviluppi istituzionali e politici. E se la molla iniziale, nella costituzione unitaria è stata il superamento dei conflitti bellici generati da nazionalismi economici e politici, quella odierna è proprio il superamento del declino a cui ess, se separati; sono destinati ad andare incontro. Una battaglia che pone un rischio sempre più tangibile e che ha come avversari “possibili ritorni di nazionalismi aggressivi, persistenti egoismi e meschinità nazionali, ristrettezze di vedute, calcoli di convenienza e conservatorismi anacronistici, quotidianamente riscontrabili nelle classi dirigenti nazionali”.
Alle parole di Napolitano hanno replicato il giorno seguente gli eurodeputati italiani non mancando di sottoporre alcune tematiche e criticità del nostro Paese che devono essere necessariamente superate per fare dell’ Italia non solo una nazione più europea ma soprattutto migliore. Tra questi Niccolo’ Rinaldi (ALDE-Italia dei Valori), che ha ricordato le 104 infrazioni aperte nei nostri confronti per mancata o cattiva attuazione delle direttive comunitarie, come siano stati utilizzati solo il 51% dei 28 miliardi di euro di finanziamenti messi a nostra disposizione nel settennato 2007-2013, ed infine che i costi di evasione fiscale e di corruzione più alti sono proprio quelli ascritti alla nostra penisola.
Con una puntuale e dettagliata controreplica a braccio Napolitano ha chiesto ai nostri rappresentanti di continuare ad essere degli europeisti critici e, sul tema dei diritti umani violati nei nostri istituti penitenziari, ha ricordato che se non si daranno risposte alla sentenza della Corte dei Diritti umani (ricordando il suo appello per la modifica dell’ordinamento carcerario, la capienza, il provvedimento di clemenza, indulto ed amnistia e, infine il drammatico numero dei detenuti stranieri) saranno accolti tutti i ricorsi dei detenuti e lo Stato italiano sarà condannato a pagare centinaia e centinaia di milioni di euro.
Lavinia Macchiarini