Massimo Varazzani spera nell’Appello, dopo la pesantissima condanna da parte del Tribunale di Roma

di Mario Correnti

campidoglio

Un nuovo meteorite rischia di abbattersi sul Campidoglio. Venerdì 7 marzo è fissata l’udienza davanti alla Corte d’Appello di Roma sulla vicenda del pagamento delle indennità di esproprio di Tor Bella Monaca. Dopo la pesante e inattesa condanna inflitta dal Tribunale di Roma, il 18 settembre 2013, nei confronti della Gestione Commissariale per il Piano di rientro di Roma Capitale al pagamento di oltre 13 milioni di euro a favore di Carlo Alberto Chichiarelli come titolare di cessione di credito da parte di una delle eredi Vaselli, il commissario Massimo Varazzani, attraverso l’Avvocatura generale dello Stato e su inflessibile indicazione della stessa Avvocatura Capitolina, ha fatto quadrato, respingendo ogni richiesta di pagamento da parte del vincitore della causa e rimettendo tutto nelle mani dei giudici di secondo grado, sperando in un diverso e risolutivo pronunciamento.

massimo-varazzani-t-b-monacaL’atto di citazione presso la Corte d’Appello di Roma, predisposto dall’Avvocatura Generale dello Stato, è stato notificato il 28 ottobre 2013. Secondo il legale di Carlo Alberto Chichiarelli, avvocato Carmelo Comegna, l’appello della Gestione Commissariale è inammissibile perché tardivo. Scrive sul punto Comegna nell’atto di comparsa di costituzione e risposta: «La sentenza, gravata di appello, è stata depositata il 19 settembre 2013 e notificata, nel domicilio eletto dalla Gestione Commissariale e cioè presso l’Avvocatura di Stato, in data 26 settembre 2013 (circostanza pacifica). Viene da sé che il termine ultimo per impugnare scadeva il 26 ottobre 2013. L’appello invece è stato proposto con atto spedito a mezzo raccomandata solo in data 28 ottobre 2013 e cioè oltre il termine di trenta giorni e quindi tardivamente».

Per essere precisi, 48 ore dopo il termine perentorio di 30 giorni prevista dal Codice Civile (articoli 325 e 326) per le impugnazioni davanti la Corte d’Appello. In poche parole, se il giudice di secondo grado dovesse stabilire l’oggettivo superamento del termine perentorio, allora la causa decadrebbe automaticamente, con l’immediato passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, quella appunto che condanna la Gestione Commissariale (e quindi indirettamente il Comune di Roma che dovrà predisporre l’atto formale di liquidazione dell’importo come debito fuori bilancio) al pagamento degli oltre 13 milioni di euro in favore di Chichiarelli. Una mazzata spaventosa su un’amministrazione comunale tecnicamente fallita, sull’orlo della bancarotta.

marino-ignazioPer altro verso, quest’ultimo capitolo dello scandalo delle indennità di esproprio di Tor Bella Monaca, per una singolare coincidenza di circostanze, si è malamente sovrapposto a un altro bubbone che sta tormentando il già tormentato sindaco Ignazio Marino, e cioè l’incubo dei debiti fuori bilancio che stanno facendo scivolare, lentamente ma inesorabilmente, il Comune di Roma verso la bancarotta (default). Lo scontro frontale tra Marino e il neo premier Matteo Renzi sul decreto cosiddetto Salva Roma ha marcato un punto di non ritorno per il sindaco di Roma, sempre più solo, isolato, ormai alla deriva e cinicamente scaricato da gran parte del suo partito, così come dalla maggior parte delle forze politiche che sorreggono il suo mandato e la sua sofferta e infelice avventura.

Il baratro del collasso economico-finanziario

La sentenza di condanna al pagamento di oltre 13 milioni di euro per il pasticciaccio brutto delle indennità di esproprio di Tor Bella Monaca – una vicenda che affonda le sue radici malate nel lontano 5 febbraio 1980, giorno in cui l’allora Amministrazione capitolina, guidata dal sindaco Luigi Petroselli (Pci), approvando la delibera 420 attuativa del Piano di Zona n° 22 (Piano di Edilizia Economica e Popolare che portò alla costruzione dell’attuale quartiere caratterizzato in particolare da una serie di fatiscenti torri di quindici piani che il precedente sindaco Gianni Alemanno voleva, a torto o a ragione, demolire e ricostruire, sulla base di criteri urbanistici opposti a quelli adottati negli anni Ottanta dall’amministrazione dell’allora Comune di Roma) disponeva l’inizio del procedimento di esproprio di una vastissima area edificabile a Sud-Est della Capitale (incuneata tra via Prenestina e via Casilina, fuori l’anello del Grande Raccordo Anulare, nel territorio dell’attuale Municipio VI) dell’estensione di oltre un milione e mezzo di metri quadrati in comprensorio E3 del Piano Regolatore Generale di Roma di proprietà degli eredi del defunto latifondista e costruttore romano, conte Romolo Vaselli, scomparso il 16 dicembre 1969 all’età di 87 anni – rischia di compromettere il delicatissimo equilibrio politico-amministrativo del Comune di Roma proprio nel momento in cui i vertici del Campidoglio stanno compiendo l’ultimo sforzo per evitare che i debiti fuori bilancio trascinino nel baratro l’intera amministrazione.

Su questa situazione già ampiamente e profondamente compromessa, che rischia di far collassare l’intero sistema, si sono addensate inoltre anche pesanti nubi nere di un’inchiesta dell’autorità giudiziaria. La Procura della Repubblica di Roma, infatti, ha da tempo iniziato a indagare sullo scandalo del pagamento-monstre delle indennità di esproprio di Tor Bella Monaca, affidando alla Guardia di Finanza il delicato lavoro investigativo. Gli accertamenti – per la complessità del caso – hanno dovuto coprire un arco temporale enorme, ben 34 anni. I militari delle Fiamme Gialle stanno lavorando senza sosta, coordinati dal sostituto procuratore Erminio Amelio, un magistrato di grandissima esperienza che lavorato in passato a casi particolarmente difficili e delicati (dal disastro aereo di Ustica all’omicidio di Nicola Calipari, solo per citarne alcuni).

Da parte sua l’attore principale della causa, Carlo Alberto Chichiarelli, nel vano tentativo di far rispettare la sentenza di primo grado, ha – fra l’altro – chiesto ai competenti uffici capitolini di predisporre l’atto di pagamento e cioè la determinazione dirigenziale necessaria affinché la Gestione commissariale predisponga il pagamento così come dovuto e nella misura stabilita dal Tribunale. Come risposta a una delle tante istanze, il 3 febbraio scorso, l’Ufficio Espropri (Servizio Espropri Pregressi) del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica ha reso noto che, «in base alle disposizioni dettate dall’Avvocatura Capitolina, che legge la presente per conoscenza, in merito ai provvedimenti di riconoscimento e liquidazione dei debiti fuori bilancio, questo Ufficio procede a dare inizio all’iter amministrativo solo dei procedimenti in capo a Roma Capitale ed esclusivamente in ottemperanza a sentenze passate in giudicato». Tradotto: il Comune di Roma procede ai pagamenti dei debiti fuori bilancio solo quando è la stessa amministrazione a essere chiamata in causa (chiamandosi fuori poiché la sentenza di condanna grava invece sulla Gestione commissariale…) e soltanto quando la sentenza è inoppugnabile. Si tratta di una linea difensiva rigidissima, dettata – così come abbiamo potuto leggere da questo atto firmato dalla dirigente Cinzia Esposito – dai vertici dell’Avvocatura Capitolina e più precisamente dal capo dell’ufficio legale di Roma Capitale, avvocato Rodolfo Murra, un vero veterano nella causa tra Comune di Roma e eredi Vaselli. Murra, avvocato di grande e lunga esperienza con l’Amministrazione capitolina, legale di fiducia dell’attuale Giunta, il 27 gennaio (tre mesi dopo la sentenza di condanna del Tribunale di Roma) è stato “promosso” con la nomina nel nuovo Cda dell’Ama Spa al posto di Rita Caldarozzi. Ora Rodolfo Murra ricopre due incarichi particolarmente delicati per Roma Capitale: capo dell’Avvocatura e consigliere d’amministrazione nel board Ama.

Ma tornando alla nota del 3 febbraio 2014, il Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica svela un ulteriore dettaglio che, se confermato, potrebbe aprire un nuovo scenario di natura giudiziaria: «Si ribadisce – conclude la Esposito – che l’indennità di esproprio più volte richiesta, derivante dalla sentenza del Tribunale Civile di Roma n° 11026/2005, è stata oggetto di transazione tra l’Avvocatura Capitolina e gli eredi Vaselli e le somme stabilite sono state liquidate agli aventi diritto». In poche, ma chiarissime parole la dirigente del Servizio Espropri Pregressi sta dicendo che le pretese di Carlo Alberto Chichiarelli, come titolare della cessione di credito di una degli eredi Vaselli, sono infondate e che il Comune di Roma, o meglio proprio l’Avvocatura Capitolina, ha da tempo liquidato gli aventi diritto (così come identificati nella sentenza del Tribunale di Roma del 26 aprile 2005 che condannava il Comune di Roma al pagamento di 44 milioni di euro (da rivalutare in base agli indici Istat dal 1° gennaio 2004 e maggiorare degli interessi legali dal 20 dicembre 1980). Una cifra esorbitante sulla quale si sono inevitabilmente concentrati gli interessi più disparati. Un tesoro enorme che ha iniziato ad attirare gli appetiti di famelici predatori… E così i pirati si sono entrati in scena.

Ne abbiamo ampiamente scritto nell’ultimo articolo, pubblicato su queste colonne il 6 gennaio scorso (http://www.liberoreporter.it/index.php/2014/01/Speciali/scandalo-esproprio-monstre-tor-bella-monaca-in-atti-campidoglio-spuntano-nomi-personaggi-coinvolti-nel-riciclaggio-del-tesoro-dei-ciancimino.html), ma vale la pena ripercorrere le tappe fondamentali di questo vero e proprio intrigo milionario (o miliardario se parliamo delle vecchie lire). Un intrigo che, proprio quando entrano nel vivo le «laboriose trattative» tra Avvocatura Capitolina e emissari degli eredi Vaselli (in particolare di Emanuela Vaselli), vede comparire sulla scena personaggi in odore di mafia, legati alla famiglia Ciancimino, come il defunto avvocato Giorgio Ghiron, all’epoca dei fatti legale proprio di Emanuela Vaselli, l’erede del conte Vaselli che ha venduto la suo quota parte di eredità a Carlo Alberto Chichiarelli il 15 dicembre del 2000.

Lo scandalo delle indennità di esproprio di Tor Bella Monaca si arricchisce dunque di un nuovo, clamoroso capitolo. Dopo la pesante condanna inflitta alla Gestione Commissariale per il Piano di rientro di Roma Capitale da parte del Tribunale di Roma (con la sentenza del 18 settembre 2013, e cioè il pagamento di un totale di oltre 13 milioni di euro a favore di Carlo Alberto Chichiarelli, titolare di una cessione di credito acquistato, con formale atto notarile, da una delle pro nipoti eredi del conte Romolo Vaselli, defunto proprietario dei terreni di Tor Bella Monaca), il commissario straordinario, Massimo Varazzani, nominato dal governo per ripianare il debito creato dal Comune di Roma fino al 28 aprile 2008, anche su forte spinta degli stessi vertici dell’Amministrazione capitolina, ha presentato oltre 50 pagine di atto di citazione in appello contro la sentenza emessa dal giudice Eugenio Curatola della 2ª Sezione Civile del Tribunale di Roma. L’obiettivo è uno solo: ritardare i tempi dell’eventuale pagamento.

“Qualcuno ha interesse a non effettuare il pagamento”

Nella diffida inviata dall’avvocato Comegna e ricevuta il 19 novembre 2013 dall’assessore al Bilancio di Roma Capitale, Daniela Morgante, si legge: «In forza delle sentenze richiamate divenute definitive e dell’offerta reale accettata dalla Vaselli Emanuela, nessun dubbio vi può essere in ordine alla titolarità in capo al Chichiarelli del credito. Malgrado quanto sopra, codesta spettabile Amministrazione, piuttosto che prendere atto dell’avvenuta cessione di credito in favore del sig. Chichiarelli e procedere al pagamento in favore dello stesso, si è rifiutata di farlo. Inspiegabilmente, però, l’Amministrazione, per come riferisce il Chichiarelli, ha autorizzato con determina dirigenziale n° 311 del 4 ottobre 2006, a forma dell’Avvocatura, una transazione di pagamento in favore della cedente signora Vaselli Emanuela, così come con successiva determinazione dirigenziale n° 348 del 24 ottobre 2006, sempre a firma dell’Avvocatura, è stato predisposto il pagamento in favore della Vaselli, dell’importo concordato, di cui una prima tranche di euro 1.848.730,27 subito e una seconda tranche di pari importo entro e non oltre il febbraio-marzo 2007 (nella determina è indicato che la spesa grava per la prima tranche sul Centro di responsabilità 3GT PEG 2007 U2020DBF, vincolata alla risorsa E5031000LC01 – ORG). Il pagamento – prosegue l’atto di diffida dell’avvocato Comegna – è stato giustificato sul presupposto che l’Amministrazione si sarebbe cautelata, avendo la Vaselli prestato garanzia fidejussoria n° 606076 della San Remo Spa – Compagnia di Assicurazioni e Fidejussioni – in data 20 settembre 2006 valida fino al 20 gennaio 2008. Per fortuna dell’Amministrazione, poi, anche grazie a diffida del sig. Chichiarelli, la seconda tranche non è stata pagata. È inutile commentare il perché e il per come sia stato effettuato tale pagamento in favore di chi non era più titolare di alcun diritto e su una semplice fidejussione scaduta. Inspiegabilmente, però, l’Amministrazione e poi il Commissario straordinario hanno sempre opposto un rifiuto al pagamento in favore del reale avente diritto e cioè il Chichiarelli. È da presumere che qualcuno abbia interesse a non voler effettuare tale pagamento». A chi faceva capo la fantomatica San Remo Spa – Compagnia di Assicurazioni e Fidejussioni che avrebbe dovuto garantire il pagamento della indennità di esproprio a favore di Emanuela Vaselli?

Quel granello di sabbia nell’ingranaggio

Emanuela Vaselli, pro nipote del conte Romolo Vaselli, proprietario dei terreni espropriati dal Comune di Roma, il 29 dicembre del 2000 (con atto di cessione di credito stipulato davanti al notaio Paolo Girolami, repertorio n° 58606) aveva ceduto la sua quota di eredità (pari a un diciottesimo dell’intero asse ereditario) a Carlo Alberto Chichiarelli, al prezzo pattuito di 220 milioni di lire. La cessione di credito, così come riporta l’atto, veniva fatta sotto «l’espressa condizione sospensiva della definizione del riferito giudizio [la causa che si stava discutendo davanti al Tribunale Civile di Roma, ndr] dopo sentenza passata in giudicato che deciderà il quantum». Come abbiamo visto, il quantum (cioè l’importo che il Comune di Roma è condannato a pagare per l’indennità di esproprio) sarà definito proprio dal Tribunale di Roma in circa 44 milioni di euro (da rivalutare in base agli indici Istat dal 1° gennaio 2004 e maggiorare degli interessi legali dal 20 dicembre 1980) con sentenza del 26 aprile 2005.

Sarà questo il granello di sabbia che s’infiltrerà nell’ingranaggio dell’esproprio-monstre di Tor Bella Monaca, finendo con l’inceppare l’intero meccanismo.

L’interrogativo dell’avvocato Comegna, a ben vedere, è il perno intorno al quale ruota tutta la vicenda: come ha fatto il Comune di Roma ad autorizzare il pagamento di 3.697.460,55 euro euro come indennità di esproprio equivalente a un diciottesimo dell’eredità del conte Vaselli e liquidare una prima tranche nell’ottobre del 2005 di 1.848.730,27 euro a Emanuela Vaselli se la stessa aveva ceduto il suo credito a Carlo Alberto Chichiarelli cinque anni prima? E soprattutto, perché il Comune di Roma sentì l’esigenza di procedere attraverso trattative separate con alcuni eredi Vaselli proprio mentre si stava discutendo la causa di secondo grado davanti la Corte di Appello di Roma, chiamata in causa proprio da Chichiarelli per riformare la sentenza di primo grado del 26 aprile 2005? Forse per risparmiare sul pagamento del dovuto? Ma se così fosse stato, perché allora non hanno seguito la causa in secondo grado, tutelando gli interessi dell’Amministrazione invece che mollare tutto (molto prima che passasse in giudicato) e agendo all’interno dell’iter giudiziario per cercare di far riformare la sentenza di primo grado? Mistero. Il fatto è che, dopo la sentenza di condanna al pagamento emessa dal Tribunale di Roma il 26 aprile 2005 (durante il mandato di Walter Veltroni), i vertici dell’Amministrazione capitolina decisero di mollare tutto e avviare oscure trattative con gli eredi Vaselli.

Per capire i retroscena dell’affaire, è necessario fare un balzo indietro di 34 anni.

romolo-vaselli-t-b-monacaLa delibera 420 del 5 febbraio 1980

La storia affonda le sue malate radici nel lontano 5 febbraio 1980, giorno in cui l’allora Amministrazione capitolina, guidata dal sindaco Luigi Petroselli (Pci), approvando la delibera 420 attuativa del Piano di Zona n° 22 (Piano di Edilizia Economica e Popolare che portò alla costruzione dell’attuale quartiere caratterizzato in particolare da una serie di fatiscenti torri di quindici piani che l’ex sindaco Gianni Alemanno voleva, a torto o a ragione, demolire e ricostruire, sulla base di criteri urbanistici opposti a quelli adottati negli anni Ottanta dall’amministrazione dell’allora Comune di Roma) disponeva l’inizio del procedimento di esproprio di una vastissima area edificabile a Sud-Est della Capitale, incuneata tra via Prenestina e via Casilina, fuori l’anello del Grande Raccordo Anulare, nel territorio dell’attuale Municipio VI. Un’area dell’estensione di oltre un milione e mezzo di metri quadrati in comprensorio E3 del Piano Regolatore Generale di Roma di proprietà degli eredi del defunto latifondista e costruttore romano, conte Romolo Vaselli, scomparso il 16 dicembre 1969 all’età di 87 anni.

L’intricata vicenda – che il 5 febbraio scorso ha “festeggiato” la bellezza di 34 anni scanditi da intrighi, liti, contenziosi, citazioni in giudizio, processi e scandali – nonostante la disponibilità degli eredi Vaselli alla cessione volontaria delle aree a favore del Comune di Roma, previo aumento del 50 per cento dell’indennità provvisoria di esproprio (determinata all’epoca dalla Giunta Regionale del Lazio in oltre un miliardo e 600 milioni di lire, con decreto 2008 del 4 dicembre 1980), e la successiva stipula, con rogito del 5 ottobre 1983 (ben tre anni dopo l’avvio del procedimento di esproprio delle aree), dell’atto di cessione (per il prezzo di circa due miliardi e mezzo di lire), sin da subito si avvitava malamente sulla questione (peraltro ancora in essere) del calcolo e sulla liquidazione dell’eventuale conguaglio. Infatti, sia i Vaselli che il Comune di Roma, in sede di rogito, si riservarono il diritto di chiedere il conguaglio (più per i Vaselli che per l’Amministrazione capitolina) qualora fossero intervenute future norme che avessero in qualche modo determinato nuove o diverse misure di indennità. Questo passaggio è il nodo centrale della vicenda poiché, a causa del mancato pagamento da parte del Comune di Roma del conguaglio richiesto dai Vaselli, questi nel 1989 furono ovviamente costretti a citare in giudizio l’Amministrazione capitolina. È inutile ora ripercorrere tutta la complessissima vicenda giudiziaria, peraltro già ricostruita in un nostro precedente articolo pubblicato proprio su queste colonne il 20 ottobre dello scorso anno (http://www.liberoreporter.it/index.php/2013/10/Speciali/trema-la-giunta-marino-scoperchiato-il-vaso-di-pandora-dellesproprio-monstre-di-tor-bella-monaca.html), ma vale la pena ricordare come, da un importo iniziale di un miliardo e 600 milioni di lire (grosso modo 826mila euro), già oltre otto anni fa, con sentenza del 26 aprile 2005 il Tribunale di Roma non solo accertava l’illecita occupazione del fondo di proprietà dei Vaselli e la realizzazione su quei terreni all’estrema periferia di Roma di opere di pubblica utilità da parte del Comune di Roma (ormai divenuto proprietario dei terreni), ma soprattutto determinava l’ammontare delle indennità di esproprio e di occupazione nella sbalorditiva somma di 43 miliardi 880 milioni 336mila 895 euro. E poiché il calcolatore degli interessi legali e della rivalutazione (che crescono ininterrottamente dal 20 dicembre 1980 e dal 1° gennaio 2004: rispettivamente la data in cui il Comune di Roma veniva immesso nel possesso dell’area da espropriare e la data di riferimento degli indici Istat stabilita dal giudice Gennaro d’Anna nella sentenza di primo grado del 26 aprile 2005) non si ferma finché non vengono pagati tutti i debiti, oggi la cifra è ancora più esorbitante.

L’esproprio illegittimo e l’appunto dell’Avvocatura

Per avere un’idea del metodo adottato dagli allora amministratori capitolini, è sufficiente citare un passo della sentenza del 26 aprile 2005 con la quale il Tribunale condannava il Comune di Roma al pagamento della indennità di esproprio: «Pertanto, trovandoci di fronte a una vera e propria espropriazione di fatto (iniziata legittimamente e terminata in modo illegittimo), gli attori hanno diritto a ottenere il controvalore del terreno illegittimamente espropriato, secondo il valore di mercato al momento della costruzione delle opere e precisamente al momento della irreversibile trasformazione del suolo, oltre alla indennità pregressa». In poche parole, il Comune ha abusivamente espropriato terreni privati senza pagare ai legittimi proprietari la dovuta indennità di esproprio. Questa è “prassi” alla base dell’attuale voragine dei conti e del moltiplicarsi del debito del Comune di Roma. Oggi, gennaio 2014, nonostante parziali e controverse liquidazioni, l’ammontare che ancora deve essere corrisposto agli eredi Vaselli supera i 100 milioni di euro. Sul punto, ci viene in soccorso la stessa Avvocatura Capitolina con un appunto interno di poco precedente la sentenza della Corte di Cassazione del 27 gennaio 2011 in cui Rodolfo Murra, l’attuale capo dell’Avvocatura, non solo ammetteva senza troppe reticenze che «Il Comune di Roma molti anni fa ebbe ad occupare vasti terreni siti in località Tor Bella Monaca, di proprietà degli eredi Vaselli, al fine di realizzare l’omonimo Piano di Zona per l’edilizia residenziale pubblica. Tale occupazione non si concretizzò mediante un procedimento espropriativo regolare, cosicché i proprietari ebbero a avviare un’azione per l’accertamento del loro diritto al ristoro da perdita di proprietà privata», ma poi aggiunge: «Dunque appare quanto meno opportuno attendere il giudizio di legittimità prima di accertare chi siano gli effettivi creditori del Comune di Roma (che nel frattempo ha stanziato, con apposita delibera n° 3 del 2009 del Commissario straordinario, una somma rilevantissima – pari a oltre 55 milioni di euro – per far fronte alla condanna), anche perché taluni eredi Vaselli hanno chiesto e ottenuto il sequestro di parte degli importi dovuti dal Comune in favore di chi non ha transatto (Christine Vaselli, Fabio Marenghi e Pietro Parisi, portatori di circa il 66% delle quote ereditarie)».

Il mistero della determina dirigenziale 311 del 4 ottobre 2006

Leggendo l’appunto dell’avvocato Murra si evince che gli eredi Vaselli si sono divisi in due cordate: una che ha proseguito imperterrita nell’accertamento giudiziario nei confronti del debitore Comune di Roma e l’altra che ha preferito transare con l’Amministrazione capitolina. Fra coloro che hanno raggiunto un accordo si scopre proprio Emanuela Vaselli, la pro nipote del conte Romolo che aveva ceduto la sua quota di eredità a Carlo Alberto Chichiarelli il 15 dicembre 2000. Da dove emerge questa notizia? Semplice, dalla più volte citata determina dirigenziale n° 311 dell’Avvocatura capitolina del 4 ottobre 2006 con oggetto “Autorizzazione a transazione causa Vaselli-Comune di Roma con la signora Vaselli Emanuela – Esproprio aree in Piano di Zona Tor Bella Monaca. Impegno fondi”. L’atto porta due firme: quella del capo dell’Avvocatura, Enrico Lorusso, e quella dell’avvocato Riccardo Mazolo, titolare della pratica. Ecco cosa si legge nel documento che autorizzava il pagamento a Emanuela Vaselli. La determina nelle premesse redatte dal capo dell’Avvocatura spiega come il Comune era stato condannato dalla sentenza del 26 aprile 2005 emessa dal Tribunale di Roma al pagamento dell’ingentissimo conguaglio dell’indennità di espropriazione e che «avverso detta sentenza il Comune di Roma ha proposto appello, con richiesta di sospensione di esecuzione, con atto di citazione notificato il 5 e 6 giugno 2006, con udienza fissata al 30 ottobre 2006». Poi, entrando un po’ più nel merito dei vari conteggi e importi da pagare agli eredi Vaselli, scrive: «secondo i calcoli del Comune di Roma, il debito complessivo dello stesso ammonta a euro 73.949.211,71 al 30 giugno 2006». E poi svela l’esistenza di trattative portate avanti proprio durante la causa di secondo grado: «Talune parti hanno manifestato l’intenzione di procedere a un accordo transattivo al fine di ottenere il pronto pagamento, rinunciando così a loro volta a proporre appello. Che a seguito di laboriose trattative, il Comune di Roma inviava agli eredi Vaselli, tra cui alla signora Emanuela Vaselli, proposta definitiva in data 2 agosto 2006 comportante il pagamento, a saldo, del 90% della somma di euro 73.949.211,71  pro quota ereditaria, a saldo, stralcio e transazione di ogni spettanza, compreso interessi e rivalutazione. L’importo di euro 66.554.290 sarà così corrisposto:

a)     50% con assestamento di bilancio 2006 (sett.-ott. 2006)

b)     50% con il bilancio 2007 (febb.-marzo 2007) sempre pro quota e senza ulteriori interessi e rivalutazione.

Che con lettera del 22 agosto 2006 dell’avv. Giorgio Ghiron, controfirmata dalla signora Emanuela Vaselli, la stessa, titolare di 2/36 dell’importo complessivo del credito, ha dichiarato di accettare la proposta così come sopra formulata, con un importo a suo favore di euro 3.697.460,55 (già ridotto del 10%) a condizione che vengano rispettati i termini di pagamento».

Nelle considerazioni finali, il capo dell’Avvocatura Capitolina sentiva l’obbligo di citare il fatto che la signora Vaselli aveva, nel dicembre del 2000, ceduto il suo credito pro quota di eredità a Chichiarelli. Ma il ragionamento che l’Avvocatura fa in quel momento è tutto a favore della pro nipote del conte Romolo: «Non essendosi la Corte d’Appello ancora pronunciata in merito, è necessario che il Comune di Roma si cauteli ai fini del pagamento della menzionata sentenza, secondo i tempi e le modalità stabilite, mediante rilascio da parte dell’interessata di fidejussione bancaria o primaria Compagnia assicurativa per l’importo di euro 4.108.000,00 fino al passaggio in giudicato della sentenza riguardante la controversia con ilo sig. Chichiarelli circa la cessione di credito, in modo tale che in ipotesi di validità della cessione di credito a favore del sig. Carlo Alberto Chichiarelli, sia garantita la restituzione al Comune di Roma dell’intero importo, a semplice richiesta del Comune stesso e senza la preventiva escussione del debitore». Come volevasi dimostrare, sia la Corte d’Appello, sia la Corte di Cassazione e da ultimo di nuovo il Tribunale di Roma (con l’ultima sentenza del 19 settembre 2013) hanno confermato la validità della cessione di credito a favore di Chichiarelli. Tuttavia, la garanzia rilasciata dalla San Remo Spa (Compagnia di Cauzioni e Fidejussioni) il 20 settembre 2006 aveva validità fino al 20 gennaio 2008. Al danno la beffa, poiché anche la sentenza di secondo grado, emessa sulla materia dalla Corte d’Appello di Roma, è sempre successiva alla data di scadenza della garanzia fidejussoria tanto reclamata dall’Avvocatura Capitolina: 30 giugno 2009. Ma tant’è.

E così, il 24 ottobre 2006, con determina dirigenziale 348 l’Avvocatura Capitolina deliberava il pagamento della prima rata di 1.848.730,27 euro a Emanuela Vaselli, nonostante la causa pendente in Corte d’Appello e la cessione di credito a favore di Chichiarelli.

Interrogativi inquietanti

Ma il punto è un altro. Come ha fatto il Comune di Roma a procedere con queste trattative durante il processo pendente davanti alla Prima Sezione Civile della Corte d’Appello? La risposta arriva dalla lettura proprio delle motivazioni della sentenza di secondo grado, del 30 giugno 2009: «Contro la sentenza n° 11026 del 2005 ha posposto appello principale Chichiarelli Carlo Alberto con atto di citazione a comparire all’udienza del 15 maggio 2006, notificato al Comune di Roma in data 1° marzo 2006 e, sempre in data 1° marzo 2006, notificato anche a Vaselli Emanuela. Ne consegue che per proporre a sua volta appello il Comune di Roma aveva tempo fino al 22 maggio 2006 (prima udienza utile successiva a quella indicata in citazione del consigliere istruttore al quale la causa era stata assegnata). Il Comune di Roma ha invece proposto appello soltanto in data 5 giugno 2006. E infatti – precisa il giudice – nel giudizio di gravame proposto dal Chichiarelli il Comune non si è costituito né prima dell’udienza del 22 maggio 2006 e neppure nel corso di tale udienza, al termine della quale è stato dichiarato contumace. Solo in data 5 giugno 2006, il Comune, anziché costituirsi nel giudizio promosso dal Chichiarelli, ha a sua volta notificato un autonomo atto di appello a tutte le parti del giudizio di primo grado. Tale appello spiegato dal Comune dopo il 22 maggio 2006 è dunque inammissibile perché tardivo». E qui arriva il punto nodale, un vero e proprio tecnicismo giuridico che ha permesso all’Amministrazione capitolina di intavolare una serie di trattative segrete con una parte degli eredi Vaselli: «Si è già chiarito in precedenza che a causa della tardività dell’appello del Comune di Roma e della conseguente inefficacia degli appelli incidentali tardivi proposti dalle altre parti (eccezion fatta soltanto per l’impugnazione proposta da Chichiarelli Carlo Alberto) la sentenza del Tribunale di Roma n° 11026/05 è passata in giudicato proprio nella parte in cui ha statuito l’esistenza e l’ammontare del credito di Vaselli Emanuela». Coincidenza, casualità? O premeditata causalità?

Le date dell’intrigo

Un dato di fatto resta incontrovertibile e insuperabile: l’aver accelerato il passaggio in giudicato la sentenza di primo grado proprio nella parte in cui il Tribunale di Roma aveva statuito l’esistenza e l’ammontare del credito di colei che – oltre cinque anni prima – aveva formalmente ceduto la propria quota parte di eredità a Chichiarelli ha permesso al Comune di Roma di procedere a trattative private con una fazione degli eredi Vaselli. Le date parlano chiaro. Gli atti conservati nel fascicolo dell’Avvocatura Capitolina ci raccontano questa storia.

Per altro verso, il ragionamento centrale dell’atto di citazione in appello della Gestione Commissariale avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 19 settembre dello scorso anno (quella che ha riconosciuto l’assoluta validità della cessione di credito in favore di Chichiarelli e quindi la condanna al pagamento della quota pro capite già di Emanuela Vaselli da parte della stessa Gestione Commissariale) verte proprio su questo punto. Leggiamo: «(questo è l’elemento importante e determinante dell’intera sentenza) che oramai si era formato un giudicato che aveva individuato inequivocabilmente i soggetti titolari del rapporto o meglio i soggetti che dovevano estinguere un debito e che dovevano incamerare un credito, e cioè il Comune di Roma e gli eredi Vaselli». E ancora: «A questo punto è altresì determinante ricordare che, nelle more del prefato giudizio di appello, Emanuela Vaselli, titolare di 1/18 della quota di esproprio, definì transattivamente con il Comune di Roma l’ammontare della quota di sua spettanza e ne ottenne anche il pagamento, sulla base delle determinazioni dirigenziali n° 311 del 4 ottobre 2006 e n° 348 del 24 ottobre 2006 cui seguirono i mandati di pagamento. Quanto testé riferito è estremamente importante perché – scrive l’Avvocatura dello Stato per conto della Gestione commissariale – con il pagamento da parte del Comune di Roma della indennità di esproprio ad Emanuela Vaselli, prima della definizione del giudizio di appello, veniva meno l’esistenza di ciò che aveva contribuito la causa del negozio di cessione di credito intervenuto tra la Vaselli e il Chichiarelli». Per l’Avvocatura dello Stato, questo è il punto centrale di tutta la complessa questione ed è anche il grimaldello col quale pesano di scardinare in appello la sentenza del 19 settembre 2013 che condanna la Gestione commissariale al pagamento di oltre 13 milioni di euro come indennità di esproprio a favore di Chichiarelli, riconoscendo valida ed efficace la cessione di credito della Vaselli. E quindi prendono sempre più importanza le due determinazioni dirigenziali dell’Avvocatura capitolina il 4 e il 24 ottobre del 2006, emanate neanche sei mesi dopo aver fatto dichiarare contumace il Comune di Roma nel giudizio di appello, non essendosi costituiti né prima né durante la prima udienza utile.

“Nulla osta alla cessione di credito”. Poi il contrordine…

Tutto molto strano, considerato che la stessa Avvocatura Capitolina, per mano dell’avvocato Riccardo Marzolo (lo stesso che poi tre anni dopo che predisporrà le due determinazioni dirigenziali di liquidazione della Vaselli) che firmava per conto del capo dell’ufficio, avvocato Gabriele Scotto, ancora il 23 gennaio 2003, circa la validità della cessione di credito di Emanuela Vaselli, metteva nero su bianco quanto segue: «Per quanto riguarda specificatamente la cessione di credito vantato per l’esproprio da parte di Vaselli Emanuela e ceduto al sig. Chichiarelli Carlo Alberto fin dal 15 dicembre 2000 si fa presente che, per questa Amministrazione, nulla osta alla predetta cessione». Non solo. Quando Emanuela Vaselli tentò unilateralmente di revocare la cessione di credito a favore di Chichiarelli, sempre l’avvocato Riccardo Marzolo per conto del capo dell’Avvocatura, Gabriele Scotto, inviava la seguente raccomandata come risposta alla diffida della Vaselli: «Con riferimento alla diffida in data 13 febbraio 2003, si fa rilevare che la stessa è priva di ogni valenza giuridica sia sostanziale che formale ai sensi degli artt. 1260 e 1264 codice civile». Insomma, essendo un contratto di natura consensuale, la cessione di credito non poteva essere revocata unilateralmente, quindi la revoca della Vaselli – per l’Avvocatura capitolina, alla data del 2 aprile 2003 – era priva di ogni efficacia e valenza giuridica. Tanto più che erano stati proprio Emanuela Vaselli e Carlo Alberto Chichiarelli, insieme, apponendo la loro firma sotto la stessa istanza, a chiedere al Comune di Roma (Dipartimento IX Attuazione Strumenti Urbanistici) – il 3 dicembre del 2001 – che venisse adottato «espresso provvedimento di adesione» alla loro cessione di credito al fine di ottenere il pagamento dell’indennità di esproprio. Più chiaro di così… ma poi qualcosa deve essere accaduto nelle segrete stanze del Campidoglio tanto da far cambiare radicalmente idea agli stessi vertici dell’Avvocatura circa la validità della cessione di credito della Vaselli.

“Laboriose trattative” con l’avvocato di Ciancimino

Pochi sanno cosa realmente è accaduto nel lasso di tempo che va tra il 2 aprile del 2003 e il 22 maggio 2006 tanto da indurre i vertici del Comune di Roma (e soprattutto dell’Avvocatura Capitolina) a capovolgere il loro parere su cessione di credito Vaselli-Chichiarelli. Le uniche informazioni certe e documentabili sono desumibili dalla determinazione dirigenziale del 4 ottobre del 2006, firmata dagli avvocati Riccardo Marzolo e Enrico Lorusso, che formalizzava l’autorizzazione e la transazione nella causa tra Emanuela Vaselli e il Comune di Roma, con il pagamento alla pro nipote del conte Romolo della quota parte di indennità di esproprio. «A seguito di laboriose trattative», così come riporta puntualmente l’atto dell’Avvocatura, il 2 agosto del 2006 (poco più di due mesi dopo che l’Amministrazione capitolina era stata dichiarata contumace dalla Corte d’Appello nel giudizio di secondo grado) il Comune di Roma inviava agli eredi Vaselli, tra cui a Emanuela Vaselli, proposta definitiva «comportante il pagamento a saldo, del 90%, della somma di euro 73.949.211,71, pro quota ereditaria, a saldo, stralcio e transazione di ogni spettanza, compreso interessi e rivalutazione».

vito-massimo-ciancimino-t-b-monacaIl fiduciario di don Vito Ciancimino

In nome e per conto di Emanuela Vaselli, la risposta con l’accettazione della proposta definitiva avanzata dal Comune di Roma veniva redatta dall’avvocato internazionalista Giorgio Ghiron e trasmessa con lettera del 22 agosto 2006. Ma qui spunta l’ennesimo mistero. Come faceva l’avvocato Ghiron a seguire la trattativa tra Comune di Roma e gli eredi Vaselli se – dall’8 giugno del 2006 – era agli arresti domiciliari poiché colpito da ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Palermo Gioacchino Scaduto su richiesta dei pm della DDA Roberta Buzzolani, Lia Sava e Michele Prestipino, coordinati dai procuratori aggiunti Giuseppe Pignatone e Sergio Lari, nell’ambito dell’inchiesta sul tesoro accumulato illecitamente negli anni Ottanta da don Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo? Questa è una domanda alla quale i vertici di Roma Capitale non hanno mai fornito alcuna risposta.

Per la cronaca, il tesoro sequestrato nell’ambito dell’inchiesta che ha portato all’arresto del legale di Ciancimino, dopo la morte di don Vito (avvenuta a Roma il 19 novembre 2002), sarebbe stato gestito dal figlio Massimo (anche lui arrestato) e dall’avvocato Ghiron. I reati contestati a Ciancimino junior e Ghiron erano di riciclaggio, reimpiego di capitali di provenienza illecita e fittizia intestazione di beni.

Il gip di Palermo, oltre agli arresti di Ghiron e Ciancimino junior, aveva disposto il sequestro di beni per un valore complessivo di diversi milioni di euro, tra cui uno yacht Itama 55 del valore di un milione e mezzo di euro. I finanzieri del nucleo speciale polizia valutaria e i carabinieri avevano accertato fino a quel momento investimenti di beni illeciti per 60 milioni di euro. Secondo gli inquirenti, Vito Ciancimino, considerato molto vicino a Bernardo Provenzano, già nel 1984 aveva intascato decine di miliardi di vecchie lire. Ma a quanto ammontasse il tesoro dell’ex sindaco di Palermo, fino a giugno 2006, era ancora un mistero.

L’avvocato Ghiron era legato a Vito Ciancimino sin dagli anni Settanta e in alcune vicende giudiziarie compare come il suo avvocato difensore. Nel luglio del 2005, a casa di Ghiron quando gli venne notificato il primo avviso di garanzia, i magistrati di Palermo durante la perquisizione trovarono la lettera-testamento di don Vito.

bernardo provenzanoI “pizzini” di Provenzano e il tesoro dei Ciancimino

Il nome di Massimo Ciancimino era comparso in alcuni “pizzini” trovati nel covo di Bernardo Provenzano: si tratta di due biglietti, il primo del 1° ottobre 2003 e il secondo del 1° febbraio 2004, inviati dal boss latitante Matteo Messina Denaro al capomafia corleonese. Scriveva Denaro: «Uno dei figli del suo paesano morto, questo figlio sta a Roma». E ancora: «Questo figlio del suo paesano morto sa di aver rubato soldi non suoi e di sicuro si è divertito a Roma visto che abita là». Massimo Ciancimino, infatti, è stato a lungo residente a Roma dove viveva insieme al padre. Ciò che è emerso con evidenza è lo strettissimo rapporto che da sempre legava Bernardo Provenzano a Vito Ciancimino. «Un rapporto talmente stretto – scrivevano i magistrati – che quando suo malgrado Matteo Messina Denaro, solo perché richiesto da Provenzano, informa il capomafia che i 250 milioni che erano stati pagati dall’impresa esecutrice dei lavori e destinati alla famiglia di Alcamo, erano stati invece “rubati dal figlio del suo paesano morto”, si preoccupa del fatto che questa notizia possa costituire per Provenzano motivo di “mortificazione”». Un verminaio.

Possibile che in Campidoglio nessuno avesse letto questa clamorosa notizia sulla rassegna stampa, mentre l’Avvocatura Capitolina procedeva con le «laboriose trattative» con alcuni eredi Vaselli? Eppure, la notizia che l’avvocato Ghiron, come fiduciario di don Vito Ciancimino, era indagato a Palermo era nota da almeno un anno e cioè dal 26 luglio del 2005, quando il “Corriere della Sera”, per mano di Giovanni Bianconi, pubblicava un dettagliato resoconto dell’indagine che vedeva coinvolti Massimo Ciancimino e Giorgio Ghiron.

Ghiron, condannato nel 2011 in via definitiva a cinque anni e quattro mesi di reclusione per riciclaggio, è morto a Roma venerdì 15 giugno 2012 all’età di 80 anni. La notizia del decesso è stata resa nota due giorni dopo dalla stampa palermitana. Con lui è venuto meno uno dei principali testimoni dell’affaire Tor Bella Monaca. Ora sarà la magistratura a fare chiarezza su tutta questa vicenda, ricostruendo i fatti e rimettendo a posto tutti i tasselli del più grande scandalo nella storia del Comune di Roma.