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La strumentalizzazione mediatica del video che ha riguardato –lo scorso novembre- gli spari contro scafisti da parte di Nave Aliseo, impegnata nell’operazione Mare Nostrum, ha superato il livello di sensazionalismo  tollerabile.  Postato ripetutamente da elementi che s’identificano con un’opinabile Partito dei Militari( ? ) una sorta di  ‘’meta-sindacalizzati’’, ha superato anche il livello accettabile di buon senso e di buon gusto: non è questione di trasparenza, né di stile; nell’evento si evidenzia un’acrimonia ingiustificata, ed una tendenza ad un maniacale e fazioso protagonismo.
Forse non sono ben digeriti i fatti e i risultati che la Marina ha conseguito dopo la tragedia del 3 ottobre scorso; con l’operazione Mare Nostrum sono stati assistiti oltre 18000 disgraziati migranti, recuperati di solito al limite della sopravvivenza e della tragedia; è, appunto, di ieri, il salvataggio di oltre 3000 migranti trasferiti nei porti siciliani, dopo recuperi rischiosi anche per chi è esperto di questioni marinaresche.
Non solo, quindi, soccorrere e salvare  in acque internazionali quei poveracci, ma –ove possibile – fermare ed arrestare gli scafisti, mercenari e delinquenti della peggiore specie in quanto appartenenti ad organizzazioni criminali dedite al deprecabile traffico di esseri umani. Finora ne hanno consegnato 66 alla giustizia italiana.
Le navi della Marina svolgono da sempre un’opera altamente umanitaria insieme con il ruolo militare che viene loro assegnato in termini anche di difesa singola e di sicurezza della stessa unità, avvalendosi ovviamente dell’armamento individuale e di quello della nave; sono le stesse che fanno, considerata l’esiguità della Flotta –nel bacino somalo- il contrasto dei pirati  dotati notoriamente di armamenti assai sofisticati (AK-47, lanciagranate, ecc): la difesa si deve fare, quindi, avvalendosi di un certo armamento, che piaccia o meno ad alcuni pacifinti e ad alcuni pseudo-militari o azzeccagarbugli.
Bisogna, prima di sproloquiare, avere la consapevolezza che operare per mare in certe condizioni, non è come navigare in Internet o far volare scrivanie anziché aerei veri; l’attività di controllo e assistenza dei flussi migratori è assai articolata, spesso al limite delle capacità tecniche e umane della nostra gente e spessissimo  si sostanzia in situazioni che richiedono di buttare ‘’il cuore ben oltre l’ostacolo’’, perché solo così si possono superare quei momenti tragici e difficili, con esseri umani disperati, in balia delle onde, che non hanno mai visto prima il mare, ma che aspirano  ad una vita diversa, dignitosa.
Il favoreggiamento della migrazione e del traffico di esseri umani, espone quei poveretti a sofferenze inumane, e quindi, deve essere sanzionato penalmente, senza esitazione e senza sconti, arrestando gli autori -gli scafisti-  e consegnando quei mercenari criminali alla giustizia per le condanne del caso. L’operato delle Marina è stato, anche in quell’occasione, pienamente legittimo anche sotto il profilo del diritto internazionale, tant’è che prima di tentare di fermare la cosiddetta Nave madre, si è  atteso che tutti i 176 migranti fossero sul barcone in distacco dalla medesima. Solo dopo aver ottenuto il consenso della Polizia presente a bordo e informata l’Autorità giudiziaria di Catania, hanno posto in essere le procedure previste – e con gradualità- per ottenere il fermo di tale unità e, quindi, poter arrestare quei mariuoli (16 scafisti). Avrebbero dovuto, invece, rifocillarli, reintegrare le loro scorte di combustibile, fargli pure un ‘’saluto alla voce’’, con un ‘’arrivederci alla prossima’’?
E’ forse questo che si vuole quando si sindacalizza sulle procedure, adottate con assoluta logicità e prudenza da Nave Aliseo?  Dopo un monitoraggio covert e intelligente di quasi 2 giorni per tentare di capire la sussistenza e identificare la nave-madre, e  aver assistito i 176 naufraghi alla deriva da parte di altra unità della Marina (Nave Stromboli), all’ Aliseo restava il compito più delicato: rincorrere e tentare di fermare quei gaglioffi-scafisti. Che altro poteva umanamente fare se non invitarli con tutti i mezzi ‘’soft’’, dalla radio alle segnalazioni con proiettori, all’invio dell’elicottero imbarcato, di un gommone che si è portato nei pressi per farli desistere dall’inaccettabile fuga? Ma se tutti questi ‘’warnings’’ non hanno sortito l’effetto sperato, bene ha fatto a catturarli anche con l’uso delle armi che mai sono state usate per colpire se non le parti vitali dello scafo (Timoni e  eliche sommerse), anche se quale estrema ratio per poterli fermare? Tant’è che non ci sono stati feriti o alcun danno alle persone su quell’unità! Per contro se non li avessero  inseguiti e fermati , forse erano passibili di denuncia per omissione o negligenza nell’assolvimento dei loro compiti e delle loro consegne.
Ancora una volta, e l’hanno dimostrato in mille diverse occasioni salvando la loro pelle, hanno seguito le procedure, il buon senso e l’etica tipica del marinaio che naviga e presta soccorso con l’abnegazione che è propria del suo DNA! La denuncia dei ‘’suddetti’’ li rimprovera di aver usato le armi nel tentativo estremo di fermarli e arrestarli, adducendo a risibili presunte colpevolezze, con farneticazioni leguleie sulla proporzionalità ( ? ) della risposta, della intensità, della persistenza…: ma di cosa si ciancia? Se il delinquente preso in flagranza di reato che fugge con l’auto, nonostante tutti gli inviti a fermarsi da parte della Polizia, viene poi fermato –quale estrema ratio- con il poliziotto  che usa l’arma e spara sulle gomme dell’auto, e non ferisce nessuno, e tale atto serve a catturare i malviventi –come loro che hanno mirato al timone ed alle eliche, senza ferire nessuno- certamente il poliziotto non solo non è censurabile, ma deve essere encomiato per aver fatto il suo dovere, e bene! Se poi, la macchina di quei malviventi è danneggiata e non riparte perché ha le gomme bucate, o la nave s’immerge, molto dopo, perché si è creata una via d’acqua dal gavone del timone colpito e/o anche per le condizioni meteo-marine che ne condizionano la galleggiabilità, dobbiamo davvero preoccuparci e sentirci colpevoli? Ma di cosa? Ma per cosa? Per un relitto e una carretta,  che peraltro Nave Aliseo, con le migliori intenzioni se non di salvarla, ma di avere il  corpo del reato, ha preso a rimorchio, privandoli dunque dello strumento-madre  per il loro sporco uso? Avrebbero dovuto sentirsi colpevoli, in caso contrario; se avessero glissato sulla loro fuga, sulla loro cattura, e omesso di usare i mezzi di cui l’Aliseo disponeva per fermarli comunque, senza ferire nessuno. L’ultima cosa che importa, in qualunque missione  di soccorso in mare, è bene ricordarlo: sono i mezzi, che ove possibile si recuperano, (nelle missioni antipirateria ne era previsto l’affondamento) ma la priorità assoluta riguarda la salvaguardia della vita umana in mare. Punto! Sentire blaterare a ruota libera in merito alla proporzionalità nell’uso della forza, senza contestualizzare gli eventi non ha alcun senso, se non quello di continuare a far prevalere uno sterile approccio da bastian contrari, da azzeccagarbugli , da antimilitaristi ‘’figli dei fiori’’, o almeno di chi non ha alcun senso autentico dello Stato e di uno Stato di Diritto!
Non è superfluo sottolineare che, chi ha navigato davvero sul mare, ha un profondo e viscerale rispetto e riguardo delle  leggi naturali e di quelle umane che lo governano, ma soprattutto acquisisce –anche a prescindere dai regolamenti- quella ‘’forma mentis’’ e quell’etica umanitaria e cavalleresca, anteponendo la salvaguardia della vita umana altrui, di chiunque si tratti, a qualunque razza, nazionalità e lingua appartenga. E scevro da ogni protagonismo. Ciò è confermato da numerosi esempi della nostra Storia Navale, soprattutto in guerra, in cui l’aspetto umanitario, della dignità della persona, del soccorso anche assai rischioso, ha spesso prevalso sulle regole scritte dei Conflitti armati; oggi vale lo stesso, in tempo di pace, con le straordinarie vicende che caratterizzano quotidianamente il soccorso e l’assistenza dei migranti nel Canale di Sicilia. Gli equipaggi della Marina, va detto, in quei contesti, danno un rilevante contributo operando con profondo senso del dovere, del ‘’Service’’ prima di tutto; con uno slancio e una  cooperazione schietta e senza ipocrisie, mettendo sempre al centro ‘’la vita della persona’’, in una cornice di sicurezza complessiva.
C’è sicuramente la necessità, in questo periodo di ‘’buio e crisi morale’’, di riportare giustizia, legalità e trasparenza dovunque, ma senza infangare chi già opera con grandi valori, senza commistioni fra realtà e virtualità strumentali che, in definitiva, sono il surrogato per ‘’cloroformizzare’’ la verità. Tenere informata la gente, è un dovere della stampa, ma  intorbidire le acque e  sviare surrettiziamente gli eventi occorsi, è pernicioso e perfino pericoloso. Né, per questo, c’è bisogno di una qualche rappresentatività “post”  dei cittadini in divisa che, peraltro, hanno già i loro organi di Rappresentanza  calibrati per le problematiche nell’ambito delle Forze Armate. E, se qualcuno ha sbagliato, esiste una giustizia che prescinde, per fortuna, dai media e dal clamore della stampa pilotata, ed è auspicabile anche da coloro che surrettiziamente si pongono come ‘’rappresentanti’’ dei militari! Che, siccome Ex, soffrono di una strana sindrome che oscilla fra una concezione escatologica di fare giustizia ad ogni costo, e la voglia di togliersi ‘’qualche sassolino’’, spesso trascurando il senso della misura e perfino la realtà fattuale della vicenda in specie. Ciò, anche senza tener di conto che le Procure, tirate in ballo anche in questo evento, hanno grosse difficoltà per valutare tecnicamente i comportamenti del militare, e per interpretarne le procedure, le motivazioni, ecc: cioè, di conoscerle, per giudicarle. L’uso della forza, d’altronde, è connaturato con le missioni militari, anche con quelle configurate  ‘’peace-keeping’’, o se piace di più, non è escluso; è un paradosso in termini pretendere che esista una missione, anche di pace, dove non si spara mai, poiché in qualunque momento si può essere obbligati a farlo, per autodifesa o per compiere il proprio dovere, come nella vicenda dell’Aliseo.  Se il comportamento del militare fosse ascrivibile a un principio o reato sul piano della giustizia  civile, come un furto o un omicidio, che può commettere come qualsiasi cittadino, sarà passibile di giudizio e eventuale condanna; ma se commettesse errori quale militare nell’espletamento dei compiti affidatigli, essi debbono essere valutabili e perseguiti con rigore, ma solo in un contesto politico-tecnico, a fronte della Legge del Regolamento di disciplina vigente, senza il clamore  dei media o lo stupore di altri! Che, invece di fornire ai lettori un fondamento etico della realtà esistente, quella vera, alimentano spesso situazioni approssimative, improvvisate e perfino distorte, facendo derivare la realtà e  emergere paradossi, purché siano ‘’scoop’’.
E’ una nefasta sindrome che colpisce molti e che porta a una deprecabile crisi morale e sociale del nostro Paese; le ragioni dei media che oscillano fra il populismo e l’elitario sono assai diverse; spesso anche i grandi giornali sono settari e coloriti, e guardano solo alle “copie vendute”. Ma quando si parla di “military-cases” emerge palesemente una causa principale, culturale, dovuta al fatto che  non c’è la conoscenza di quel mondo con le stellette, e  emerge con tutta evidenza spesso un latente anti-militarismo.
E, allora, prima di dire un cumulo di sciocchezze bisogna documentarsi bene, e depurare le fonti e le menti;  giudizi avventati e denunce fasulle e faziose non fanno altro che demolire indebitamente  quella coscienza civica e il rispetto verso le Istituzioni e le Forze Armate che  ancora rappresentano qualcosa di sano, ideale, funzionale e corretto  nella nostra società:  questa strumentalizzazione  faziosa che non si sposa con la sempre auspicabile legittimità; non va certo nella direzione giusta, e non  fa certo onore a questo nostro Paese!

Giuseppe Lertora