Mentre siamo testimoni attoniti della Terza.

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La brusca fine della “Belle Epoque”. Cent’anni fa finiva improvvisamente il Rinascimento francese della Belle Epoque, quella civiltà nella quale, come scrive lo studioso Emilien Carassus, una civiltà, emette, prima di morire, i suoi raggi più delicati. Il 28 luglio 1914, ad un mese esatto dall’assassinio terroristico dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo e di sua moglie – avvenuto a Sarajevo da parte dello studente nazionalista serbo Gavrilo Princip, in Bosnia Erzegovina – che ne era stato il detonatore, scoppiava infatti, con l’attacco dell’esercito imperiale austriaco alla Serbia, la “Grande Guerra” per antonomasia. Si innescava così infatti quella reazione a catena, che, nell’arco di ben quattro anni (con l’intervento finale degli Stati Uniti d’America), avrebbe portato, con la formazione dell’Asse austroungarico-tedesco appoggiato dall’Impero ottomano e della contrapposta Intesa anglo-francese, con la quale si sarebbero schierati prima il Giappone e poi l’Italia, tutte le grandi potenze mondiali dell’epoca, divise su due fronti che provocarono una carneficina di diciassette milioni di morti, tra militari e civili, e venti milioni di feriti. La mobilitazione generale russa a difesa della Bosnia innescava infatti la dichiarazione di guerra da parte della Germania alla Russia e alla Francia, protettrici della Bosnia, il 1° e 3 agosto. L’invasione tedesca del neutrale Belgio, facile corridoio per i soliti invasori tedeschi, denominati sprezzantemente Boches dai francesi, per raggiungere Parigi, provocava l’entrata nel conflitto della Gran Bretagna in difesa della Francia stessa.
L’Italia si divide subito tra interventisti e non interventisti. Sebbene fosse opinione diffusa che la guerra sarebbe finita a Natale, o al massimo a Pasqua del 1915, l’Italia, pur restando inizialmente neutrale, come stiamo per vedere, era in cerca dei migliori vantaggi territoriali in cambio di un proprio intervento: l’8 aprile 1915, quindi poco dopo la Pasqua stessa, caduta quell’anno il giorno 4, offrì di affiancare in guerra le potenze centrali se le fossero state cedute le terre “irredente” dal Risorgimento: il Trentino, le isole della Dalmazia, Gorizia, Gradisca e le fosse riconosciuto, inoltre, il “primato” sull’Albania. Una settimana dopo l’Austria-Ungheria rifiutò tali condizioni e l’Italia fece richieste ancora più gravose alle potenze dell’Intesa, che al contrario si dichiararono disposte a intavolare delle trattative.

Il voltafaccia filofrancese di Benito Mussolini. E’ infatti a questo punto che prevale, individuando il miglior offerente, il fronte degli interventisti, con il quale cominciava a costruire le proprie fortune addirittura il direttore de L’Avanti!, il socialista Benito Mussolini, il quale abbandonò la propria posizione di fermo anti-interventista, unto da un cospicuo finanziamento francese.

Antonio Salandra succede a Giovanni Giolitti. Antonio Salandra, conservatore, che era stato fondatore nel 1901 con Sidney Sonnino, suo futuro ministro degli Esteri, de “Il Giornale d’Italia”, divenne primo ministro dopo la caduta del governo di Giovanni Giolitti, prescelto dallo stesso Giolitti, che ancora guidava la maggioranza in parlamento, ma si distaccò ben presto da lui sulla questione della partecipazione italiana alla prima guerra mondiale. Mentre Giolitti era schierato infatti a favore della neutralità, Salandra e il suo ministro degli esteri, Sidney Sonnino, appoggiavano l’intervento a fianco della Triplice Intesa, e assicurarono l’entrata in guerra dell’Italia, nonostante l’opposizione della maggioranza del parlamento.
Salandra si aspettava che l’entrata nel conflitto a fianco dell’Intesa avrebbe portato a una rapida soluzione della guerra, ma in realtà l’intervento italiano non si rivelò affatto determinante, dati i pochi successi dell’Italia nel primo anno del suo intervento. Il personaggio italiano di Settembrini, il Satana massone nato dalla penna di Thomas Mann ne “La Montagna incantata” è quello che meglio incarna la posizione di coloro che volevano la guerra a tutti i costi. Ma, dopo una riuscita offensiva austriaca dal Trentino nella primavera del 1916, Salandra si vide costretto a dimettersi.

1917, l’anno delle grandi svolte: la Caporetto italiana. Caporetto, che dal 1920 al 1947 sarebbe poi passato al Regno d’Italia, inquadrato nella Provincia di Gorizia, posto com’era in posizione strategica nell’alta valle dell’Isonzo, divenne famoso per la battaglia della prima guerra mondiale che si combatté in queste zone tra il 24 ed il 26 ottobre 1917, tra le truppe italiane e quelle austriache, e che si concluse con la celebre rotta delle truppe italiane che si dovettero ritirare fino al fiume Piave perché non esistevano piani per la difesa delle posizioni, essendo la strategia del Regio Esercito, sotto la guida del generale Luigi Cadorna, basata esclusivamente sull’offensiva.

1917: La Russia si ritira dal conflitto dopo la Rivoluzione bolscevica. Intanto la Russia, che aveva subìto enormi perdite ed era stata costretta a sgomberare l’intera Polonia, scossa dalla Rivoluzione comunista promossa dai bolscevichi, che dal fronte dov’erano stanziati i suoi soldati si trasmise nelle città fino alla stessa Mosca, si ritirava dal conflitto dopo l’abdicazione dello Zar Nicola II Romanov, che sarebbe stato giustiziato dal nuovo regime marxista con tutto il seguito e la sua famiglia nella notte tra il 16 ed il 17 luglio 1918, cui subentrava infatti il nuovo governo bolscevico, la cui prima mossa fu proprio quella di intavolare subito le trattative per far uscire la Russia dal conflitto. Lenin intendeva chiudere il fronte per rivolgersi ai movimenti controrivoluzionari che già attaccavano i bolscevichi, e gli Imperi centrali colsero l’occasione reclamando condizioni di resa durissime; dopo lunghi e complessi negoziati, il trattato di Brest-Litovsk firmato il 3 marzo 1918 sancì la fine della partecipazione russa al conflitto e conseguentemente dei combattimenti sul fronte orientale.

1917: l’entrata in guerra degli Stati Uniti porta dal conflitto “europeo” a quello mondiale. Il dominio britannico dei mari, permettendo agli inglesi di mantenere il blocco navale, era ormai diventato per la Germania un problema ineludibile, ma d’altro canto i vertici militari tedeschi nutrivano la speranza che, una volta annientato il blocco, avrebbero potuto risolvere la partita sul fronte occidentale nel giro di pochi mesi: si risolsero quindi a estendere la guerra sottomarina, sebbene ciò aumentasse inevitabilmente il rischio di coinvolgere gli Stati Uniti d’America, che erano vicini politicamente all’Intesa. Nel febbraio 1917 gli Stati Uniti ruppero così le relazioni diplomatiche con la Germania. L’annuncio della campagna sottomarina indiscriminata aveva dimostrato infatti che le speranze di pace di Thomas Woodrow Wilson, il quale si era attenuto ad una politica di neutralità, erano utopistiche e, quando a ciò seguì il deliberato affondamento di navi statunitensi e il tentativo tedesco di istigare il Messico ad attaccare gli Stati Uniti, lo stesso presidente ruppe gli indugi: il 4 aprile 1917 presentò al Congresso la proposta di entrare in guerra. Solo due giorni dopo, il 6 aprile di quel fatidico anno, gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania. Ma ci sarebbe voluto almeno un anno prima che i tre milioni di americani reclutati fossero addestrati e trasportati via mare in Francia e riforniti adeguatamente. Si trattò dunque più di un deterrente dissuasivo per l’Asse che della effettiva invasione, che non sarebbe avvenuta mai, dato che la guerra questa volta si risolse prima.

1917: l’avvicendamento Cadorna-Diaz porta alla vittoriosa controffensiva sul Piave. Intanto sul fronte italiano la fine della guerra contro la Russia aveva permesso all’Austria-Ungheria di rischierare le sue truppe e di preparare un’offensiva risolutiva; l’esercito italiano, ora guidato dal capo di stato maggiore Armando Diaz, era tuttavia bene attestato sulle rive del Piave e in fase di rapida riorganizzazione dopo la disfatta di Caporetto. L’offensiva austro-ungarica coinvolse sessantasei divisioni ed ebbe inizio il 15 giugno (battaglia del solstizio d’estate): il Piave fu superato in alcuni punti, ma la forte resistenza italiana e la piena del fiume bloccarono infine gli attaccanti, che il 22 giugno si videro costretti a sospendere l’azione. Al termine dei combattimenti gli austro-ungarici avevano subìto gravi perdite e logorato la loro già provata macchina bellica; fallita l’offensiva, che nei piani doveva annientare l’Italia e dare una svolta al conflitto, l’Austria-Ungheria si avviò a un’irrimediabile crisi militare e politica che ne avrebbe provocato l’implosione, disperdendo i vari popoli che ne facevano parte in Stati nazionali come quelli precedentemente formatisi in epoca romantica: in particolare Grecia, Italia (per la quale la Grande Guerra fu la Terza Guerra d’Indipendenza) e Germania.

La resa dell’Impero ottomano. Intanto, nel teatro del Medio Oriente le forze dell’Impero ottomano stavano ormai cedendo su tutti i fronti. Nella penisola araba le litigiose tribù locali avevano infine trovato una guida quasi unitaria nello “sharif” Al-Husayn ibn Ali, insorgendo contro la dominazione ottomana; rifornite di armi e munizioni dagli Alleati e raggiunte da una missione di addestratori britannici capitanati dal colonnello Thomas Edward Lawrence, passato alla storia come “Lawrence d’Arabia”, le forze arabe iniziarono una massiccia campagna di guerriglia contro gli ottomani. All’Impero ottomano non restò altro che trattare la propria resa: il 30 ottobre i rappresentanti ottomani siglarono l’armistizio di Mudros e il 13 novembre una forza d’occupazione alleata si stabilì a Costantinopoli.

Il crollo dell’Austria-Ungheria. Il 28 ottobre l’Austria-Ungheria chiese agli Alleati di iniziare le trattative per l’armistizio e in serata dette ordine all’esercito di ritirarsi. A Praga la richiesta di armistizio provocò una decisa reazione dei cechi. Quello stesso giorno il Parlamento croato dichiarò che da quel momento Croazia e Dalmazia avrebbero fatto parte di uno “Stato nazionale sovrano di sloveni, croati e serbi”; analoghe dichiarazioni pronunciate a Lubiana e Sarajevo legarono le regioni occidentali dei Balcani in quella che dopo i trattati di pace sarebbe diventata la Jugoslavia, cioè l’unione degli Slavi del Sud. Il 3 novembre l’Austria firmò con l’Italia l’armistizio di Villa Giusti che entrò in vigore il 4, giorno in cui gli italiani entrarono a Trento, mentre la Marina di Re Vittorio Emanuele III di Savoia sbarcava le proprie truppe a Trieste.

La fine della guerra sul fronte occidentale (1918) e i trattati di pace (1919). In Germania, il generale Ludendorff confidava di continuare la lotta nella speranza che un’efficace difesa della frontiera tedesca potesse alla lunga smorzare la determinazione degli Alleati. Ma la capitolazione dell’Austria-Ungheria del 3 novembre scoprì il fronte sud-orientale della Germania, dove la rivoluzione dilagava, alimentata anche dalla riluttanza del Kaiser ad abdicare. La sola via d’uscita poteva essere raggiunta con un accordo con i rivoluzionari, così il 9 novembre il principe di Baden lasciò il posto a Friedrich Ebert facendo così cadere, come voleva il popolo e aveva specificato Wilson, i capi che avevano portato la Germania alla rovina.
L’offensiva alleata inflisse una serie di sconfitte all’esangue esercito tedesco, le cui truppe iniziarono ad arrendersi in numero sempre crescente; quando finalmente gli Alleati ruppero il fronte, la monarchia imperiale si dissolse e i delegati tedeschi a Compiègne già il 7 novembre non ebbero altra scelta che quella di accettare le gravose condizioni imposte dagli Alleati. L’armistizio entrò in vigore alle ore 11:00 dell’11 novembre 1918, ponendo fine alla guerra.
Ma lo stato di belligeranza tra le varie nazioni rimase formalmente in vigore per diversi mesi dopo la firma degli armistizi. Il 18 gennaio 1919 si aprì finalmente la conferenza di pace di Parigi, incaricata di pervenire alla stipula dei definitivi trattati di pace: il 28 giugno 1919 venne firmato il trattato di Versailles tra la Germania e le potenze alleate, seguito il 10 settembre dal trattato di Saint-Germain-en-Laye con l’Austria, il 27 novembre dal trattato di Neuilly con la Bulgaria, il 4 giugno 1920 dal trattato del Trianon con l’Ungheria e il 10 agosto 1920 dal trattato di Sèvres con l’Impero ottomano. Quest’ultimo rimase inattuato a causa dello scoppio della convulsa guerra d’indipendenza turca, obbligando le potenze europee a sottoscrivere un nuovo accordo con la neo proclamata repubblica di Turchia il 24 luglio 1923 (trattato di Losanna).

I tre Mostri partoriti dal sonno della Ragione. In conclusione, il primo dopoguerra, che sarebbe durato solo vent’anni, si rivelò un drammatico interludio che avrebbe condotto alla carneficina ancora più atroce della Seconda Guerra mondiale, culminata con le due abominevoli bombe atomiche sulle città di Hiroshima e Nagasaki, che costrinsero finalmente anche il Giappone, alleato delle già sconfitte Italia e Germania, partorendo intanto i Mostri delle tre dittature comunista di Josif Stalin, fascista di Benito Mussolini ed infine nazista di Adolf Hitler.
Con gli Stati Uniti che, grazie agli sbarchi in Normandia e in Italia, appoggiati dai bombardamenti aerei, compreso quello della stessa Roma, si rivelarono questa volta determinanti nel rovesciare le sorti del nazifascismo che si era diviso con Stalin l’intera Europa continentale, dalla quale, in seguito alla formazione della NATO, non si sarebbero mai più ritirati.

Dall’Europa Unita al “Nuovo Ordine Mondiale”. L’antico mito dell’Europa Unita, come contraltare della potenza così acquisita dai Nordamericani, si sarebbe formato sulla base del “mai più la guerra” tra le potenze europee, “in primis” Germania e Francia. Ma la spartizione seguìta alla Conferenza di Yalta tra le potenze vincitrici, firmato da Roosevelt, Churchill e Stalin, avrebbe portato alla formazione della cortina di ferro tra un’Europa filoamericana contrapposta al blocco dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti dell’Est, fotografando come in un fotofinish la situazione dell’incontro-scontro tra i due fronti “alleati” americano e sovietico creati dalla guerra stessa e destinati questa volta a tagliare in due la Germania, sul cui suolo si erano incontrati, invadendola completamente e dividendo in due la stessa ex capitale Berlino.
Con i rivolgimenti pacifici del 1989 e la caduta del Muro di Berlino la situazione si sarebbe mutata a tutto vantaggio dell’Ovest capitalista, in seguito all’implosione dell’Unione Sovietica guidata da Michail Gorbaciov. San Giovanni Paolo II “il Grande”, devoto della Madonna di Fatima, ne avrebbe realizzato la profezia della pacifica caduta del comunismo ateo consegnata a suor Lucia.
Ma la guerra scatenata di nuovo da un irriverente George Bush, sordo agli appelli di quello stesso Papa, contro l’Iraq di Saddam Hussein avrebbe di nuovo portato ad un conflitto mondiale, conseguente all’attacco di Al Quaida dell’11 Settembre 2001, che per tanti versi ricorda il bombardamento e l’invasione aeronavale della base americana di Pearl Harbor, che aveva segnato l’entrata degli Stati Uniti nella Seconda Guerra mondiale. E’ così che cominciò in modo al tempo stesso clamoroso e strisciante la Terza Guerra mondiale, che è stata data in sorte di vivere ad un mondo diviso tra il divertimento alienato e lo stupore attonito di fronte all’escalation di una ben finanziata e sapiente regìa terroristica. In attesa che il “nuovo assetto” creato dopo Yalta si trasformi nella meta finale del “Nuovo Ordine Mondiale” fermamente voluto dalla Massoneria internazionale. Con un Governo, una moneta ed un esercito universali. E strumento privilegiato, appunto, la guerra.

Giancarlo De Palo