Bosnia-Srebrenica-Fossa-ComuneIl  tribunale Internazionale dell’Aja ha accolto la richiesta di risarcimento presentata dai familiari di alcuni, 300, dei morti di Srebrenica in Bosnia Erzegovina. Si tratta del secondo punto assegnato a favore di chi da anni si batte contro il riconoscimento delle responsabilità dell’Olanda in una vicenda tragica, triste e vergognosa consumatasi nel cuore dell’Europa. Già nel luglio del 2011 infatti, una sentenza del tribunale civile olandese aveva riconosciuto, per la prima volta, la responsabilità dei Paesi bassi per la morte di tre vittime di quel massacro.  Il tribunale civile olandese accolse la richiesta di risarcimento presentata dai familiari dell’elettricista Rizo Mustafic, che assisteva il contingente olandese e perse la vita nel massacro, e quella dell’ex interprete dei caschi blu, Hasan Nuhanovic, che nella strage ha perso il padre e il fratello. Il riconoscimento di colpevolezza è stato motivato dal fatto che i tre musulmani lavoravano per i caschi blu olandesi del Battaglione Dutchbat III  e che questi non dovevano consegnarli ai serbo bosniaci. Nel luglio del 1995 in quella enclave vennero trucidati 8.372 bosniaci musulmani. Erano tutti di sesso maschile e dopo essere stati brutalmente uccisi vennero poi, tutti sepolti in fosse comuni.  Questa nuova sentenza decreta la responsabilità civile dello stato olandese  per l’uccisione di altri 300 di quei musulmani. I parenti delle vittime avevano fatto causa all’Olanda sostenendo che i suoi soldati non hanno aiutato i musulmani di Srebrenica che erano sotto la tutela delle Nazioni Unite. Erano gli anni del conflitto nei Balcani, 1990-1995, e anche della pulizia etnica attuata dai serbo-bosniaci. Liquidare anche un solo genere, quello maschile, corrisponde all’annientamento di una intera comunità, che non potrà più riprodursi. Di questo si resero conto i vertici militari serbo-bosniaci e quindi decisero di mettere in atto un sanguinario piano. Sapevano che per annientare un popolo intero non bastava la “semplice” pulizia etnica. Per essere sicuri che i musulmani bosniaci non sarebbero più ritornati occorreva annientarli fisicamente. Per cui a Srebrenica di fatto, venne messo in atto un vero e proprio piano di sterminio, il cui obiettivo era quello di eliminare i ‘Bosniacchi’ come erano chiamati  i bosniaci musulmani dalla Bosnia orientale. E cosi si consumò un genocidio nell’indifferenza e nel silenzio del mondo intero. Migliaia di bosniaci musulmani, tutti maschi, terminarono la loro vita vilmente uccisi dai militari dell’esercito serbo-bosniaco del . Questo infatti, avvenne anche se dall’aprile del 1993 l’Onu aveva posto l’enclave di Srebrenica sotto la sua ala protettiva dichiarandola ‘zona di sicurezza’. L’11 luglio del 1995 però, dopo un lungo assedio i serbo-bosniaci presero Srebrenica e i Caschi blu olandesi del Battaglione Dutchbat III,  circa 400 uomini, che avrebbero dovuto proteggere la città e i suoi abitanti, non opposero resistenza alle forze serbo-bosniache.  Oggi a 19 anni dalla strage di Srebrenica tutti  i responsabili di quel massacro sono stati catturati compreso l’ex leader dei serbo-bosniaci Radovan Karadzic e soprattutto  l’ex comandante dell’esercito serbo-bosniaco il generale Ratko Mladic passato alla storia come il boia di Srebrenica.  Grazie allo statuto di immunità di cui gode l’ONU, sotto cui l’egida operavano i soldati olandesi, fino a poco tempo fa si credeva che invece, forse proprio questi ultimi non avrebbero mai almeno risposto per le loro colpe alla giustizia umana.  Ed invece,  questa nuova sentenza del Tpi trasforna l’olanda il primo Paese ad essere almeno sanzionato per il comportamento dei suoi militari in missione all’estero su mandato Onu. I caschi blu olandesi presenti a Srebrenica stranamente non hanno reagito all’attacco dell’esercito di Mladic ne impedito quanto è accaduto dopo la caduta dell’enclave musulmana. I caschi blu avevano il mandato di disarmare le parti e garantire l’incolumità dei civili. Eppure essi vennero meno al loro mandato, non solo non disarmarono le parti in conflitto, specie i serbi-bosniaci, ma restarono a guardare quando questi cominciarono a rastrellare i musulmani di sesso maschile e a condurli via verso i luoghi della loro fine. I caschi blu olandesi erano acquartierati a Potocari in una ex fabbrica di batterie. I soldati olandesi lasciarono praticamente il campo libero alle truppe serbe in arrivo, senza neanche sparare un solo colpo anzi cedendo a loro il proprio armamento. Tanto è vero che l’esercito serbo-bosniaco entrò a Srebrenica a bordo dei blindati bianchi dell’Onu. La popolazione corse loro incontro convinta che erano i loro salvatori e solo dopo si accorsero dell’inganno, ma ormai era troppo tardi. Come hanno stabilito i giudici persino i musulmani bosniaci alle loro dirette dipendenze vennero consegnati ai loro carnefici. Secondo “Medici senza frontiere”, i soldati olandesi si rifiutarono addirittura di occuparsi dei musulmani bosniaci feriti o malati. Al loro rientro in patria il governo olandese proibì a suoi soldati di parlare pubblicamente del genocidio avvenuto e furono tenuti isolati per quattro giorni e nemmeno l’inviato speciale dell’Onu, Tadeusz Mazowiecki, potè parlare con i soldati. Ogni tipo di documentazione, fotografie e filmati furono sequestrati. Il comandante dei Peacekeepers olandesi, Thomas Karremans fu invece, promosso e spedito negli Usa a coprire il suo nuovo ruolo di addetto militare. Già nei mesi successivi al genocidio era forte la certezza che la responsabilità, per aver tradito migliaia di persone poi, uccise dai serbo-bosniaci, la mancata assistenza dei feriti e dei malati e per la complicità con gli assassini, non era tanto dei singoli soldati ma dei vertici dell’esercito e del governo olandese. Tanto è vero che a dare l’ordine di evacuazione ai caschi blu olandesi, senza preoccuparsi minimamente delle migliaia di abitanti di Srebrenica, affamati, disarmati e in balia dei serbi non fu l’Onu ma il governo olandese.  Questo nuovo verdetto di condanna segue però, anche uno di assoluzione emesso invece, nel settembre del 2008. In quell’occasione però, le cosiddette Madri di Srebrenica, madri e mogli delle vittime del massacro, chiedevano alla Corte Suprema olandese che l’Olanda fosse ritenuta responsabile dell’intero massacro. Nel dicembre 2006 i soldati olandesi di Srebrenica sono stati anche premiati con una medaglia dal loro governo per la loro partecipazione alla missione Onu in Bosnia. Un ‘premio’ che rappresenta nella sua forma più evidente la persistente volontà di rimozione e l’incapacità di fare i conti con il passato.  Un passato che però, ha pesato sulle coscienze di molti e non si è riusciti a cancellare. Nell’aprile del 2002, il governo olandese guidato da Wim Kok decise di dimettersi dopo che l’Istituto per la documentazione di guerra riconobbe la responsabilità dei politici e dei caschi blu olandesi nel non aver saputo impedire quel massacro. L’Alta Corte dell’Aja ha raccolto il frutto del suo lavoro in un dossier che ha immediatamente innescato un negazionismo  che è poi, culminato nelle ammissioni di responsabilità dei vertici della Republika Srpska nel 2004. Inizialmente infatti, addirittura si cercò di far passare i morti di Srebrenica come soldati morti in combattimento. L’evidenza dei fatti  ha confutato tutto.  Quei morti sono tutti prigionieri  civili e  militari che furono ammassati a migliaia e poi assassinati a sangue freddo. Molti avevano con le mani legate dietro alla schiena. Il lavoro svolto dal Tpi ha fatto luce sulla dinamica della strage, la tempistica e la logistica.

Ferdinando Pelliccia