BANDIERAPIRATA

In Somalia nelle mani dei pirati somali sono trattenuti in ostaggio ancora decine di marittimi membri degli equipaggi di navi catturate. Tra questi lavoratori del mare anche i 7 marittimi di nazionalità indiana parte dell’equipaggio della MV Asphalt Venture.  L’esperienza insegna che nonostante tutto quello che possa accadere, se le trattative sono condotte con capacità e si decide di pagare, si riesce a riportare a casa i lavoratori del mare prigionieri in Somalia. L’attenzione dei media sul fenomeno è limitata e a volte criticata. Per molti, specie gli Armatori, ogni notizia in merito che viene pubblicata serve solo ad aiutare i pirati a premere per ottenere un maggiore riscatto. Accuse che sono totalmente assurde e infondate in quanto ormai i predoni del mare hanno un loro listino prezzi. Il riscatto è quantificato in base alla ‘preda’ catturata e al Paese di bandiera della compagnia marittima proprietaria della nave. Però, a parte il fatto che si tratta di accuse assurde la gente ha diritto di sapere, di conoscere i fatti. Soprattutto i familiari dei marinai catturati devono conoscere le condizioni d
ei loro cari e quale possa essere il loro destino. E proprio in virtù di questo che non pochi media, tra cui Liberoreporter, non hanno mai cessato di tenere alta l’attenzione sul fenomeno e sul dramma che vivono i marittimi sequestrati dai pirati somali e non. Un dramma indescrivibile e molto spesso, specie negli ultimi tempi, che li porta oltre alla pazzia, anche alla morte. Un tragedia questa che stanno vivendo in prima persona i 7 marittimi indiani e tanti altri. 
Questi marittimi lavoravano a bordo della MV Asphalt Venture. Si tratta di una nave battente bandiera di Panama e di proprietà della società armatrice, OMCI Ship Management Pvt Ltd. Il cargo venne catturata nell’Oceano Indiano dai pirati somali il 28 settembre del 2010, mentre era in navigazione dal Kenya verso il porto di Durban in Sud Africa. Dopo il pagamento di un riscatto di 3,5 mln di dollari la nave e solo 8 dei 15 marittimi membri dell’equipaggio vennero poi, rilasciati dai pirati somali il 16 aprile del 2011. Tra gli otto marittimi rilasciato anche il comandante, Ramesh Singh.  In mano ai predoni del mare somali rimasero 7 marittimi tutti di nazionalità indiana che ora sono tenuti  da qualche parte in prigionia sulla terraferma.  Questi uomini vennero trattenuti dai pirati come gesto di ritorsione per l’arresto, compiuto in quel periodo, di oltre 100 pirati somali da parte dei militari della Marina Militare indiana.  Quindi trattenuti nell’intento di voler far ‘pagare’ all’India il suo forte impegno in mare nel contrasto alla pirateria marittima. Un fatto questo che si è ripetuto più volte nel tempo con tanti altri marittimi indiani. Alla fine l’India, dopo essere stato, per mesi, il Paese capofila nel contrasto alla pirateria marittima, ha dovuto, per forza maggiore, allentare la pressione militare sui pirati somali per salvaguardare i lavoratori del mare indiani.  Nel mese di settembre del 2012 però, il governo di New Delhi ha consentito alle navi commerciali di bandiera di poter  imbarcare guardie armate a bordo per essere difese dagli attacchi pirati. Dalla loro cattura,  questi 7 membri dell’equipaggio della nave, hanno trascorso quasi quattro anni in prigionia. Ormai nessuno crede più di rivederli liberi e soprattutto in vita. Anche se la gang del mare che li tiene in ostaggio si è rifatta viva in questi giorni ed  ha chiesto un nuovo riscatto in cambio del loro rilascio. Oltre al denaro, i pirati intendono scambiare i 7 membri dell’equipaggio della MV Asphalt Venture con i loro compagni detenuti nelle carceri indiane. Già nel novembre del 2012 la gang del mare somala, che ha in ostaggio i marittimi indiani, si era fatta avanti con le stesse richieste che vennero respinte al mittente.  Unico loro interlocutore è, purtroppo, rimasto solo il governo indiano in quanto  nel frattempo, la società armatrice della nave si è sciolta. Stavolta si spera che le cose vadano diversamente. Due dei sette marittimi sono originari dello stato federale indiano del Kerala ormai noto a tutti per la vicenda dei due marò. Gli altri sono dell’Andhra Pradesh, del Maharashtra e del Punjab. In queste regioni indiane vi è in corso una mobilitazione, coinvolgendo anche la politica locale,  per riportare a casa questi gli ostaggi-marittimi. Le loro famiglie ancora una volta si sono ritrovate insieme per lanciare un appeASPHALT_VENTUREllo al governo indiano per un’azione immediata atta a ottenere il rilascio dei loro cari.  Un primo  passo in tal senso è stato compiuto lo scorso mese di gennaio. Ad inizio anno  l’Alta Corte indiana, preseduta dal giudice TS Thakur,  si è pronunciata in merito ad una petizione presentata dalla moglie di uno dei 7 marittimi indiani ostaggi dei pirati somali. La corte ha sollecitato tutta le parti, governo e ministeri, coinvolte a cercare di trovare una soluzione alla questione. Una richiesta che sembra sia stata accolta in quanto ad inizio del mese di luglio è stato poi, istituito un gruppo interministeriale, IMG, sotto il controllo del Ministero della Marina Mercantile. Lo scopo è quello di garantire il rilascio di tutti i marinai indiani ancora  prigionieri dei pirati somali. Il gruppo si sta coordinando anche con gli organismi internazionali. Un passo in avanti davvero significativo. Finora il governo indiano non aveva avviato una  sola azione forte e decisa per riportarli a casa sani e salvi. Stavolta  sembra si sia dato una mossa. Questo, sia per le proteste dei familiari dei marittimi indiani ostaggi in Somalia, cresciute d’intensità, sia perché  si cerca di correre ai ripari per evitare dannose situazioni interne che potrebbero avere risvolti anche politici. La mossa dei familiari di coinvolgere la politica locale è stata indovinata. La paura di perdere consensi ha spinto i olitici locali a fare pressione sul governo centrale indiano. Le prime manifestazioni di protesta di familiari di marittimi ostaggi dei pirati somali si sono registrate nel marzo del 2011. Quando prima a Karachi, in Pakistan e poi, in India, i familiari dei membri dell’equipaggio di un’altra nave, il mercantile ‘MV Suez’, catturato dai pirati somali il 2 agosto del 2010 nel Golfo di Aden, si radunarono per manifestare contro l’immobilismo dei rispettivi governi, pakistano e indiano, di fronte al dramma che stavano vivendo. Purtroppo il governo indiano come tanti altri, almeno ufficialmente, non tratta con i pirati ne tantomeno paga i riscatti.  Stavolta però. sembra che molti membri del governo siano favorevoli allo scambio giustificandolo come un gesto umanitario verso i marittimi ormai prigionieri in Somalia da quasi quattro anni. Un fatto questo che in India fa assumere il rientro a casa dei marittimi indiani, ancora in mano ai pirati somali, un valore particolare. Per cui il fatto di cedere alle pressioni della gang del mare che li tieni sequestrati non è considerato un gesto di debolezza da parte del governo indiano, ma è visto come un gesto appunto umanitario. Dalla parte delle autorità anche l’opinione pubblica indiana che vede di buon grado il cedere alle pressioni dei banditi del mare che trattengono i loro concittadini. Il timore, condiviso, è che però, il fatto potrebbe costituire un pericoloso precedente che se preso ad esempio da altre gang del mare, specie in un periodo di ‘magra’ per i predoni del mare,  come quello in corso, potrebbe creare non poche problematiche. Per cui la parola d’ordine che primeggia è ‘cautela’.  La disgrazia di cadere nelle mani dei pirati somali è toccata anche ai marittimi italiani. I primi sono stati i membri dell’equipaggio del rimorchiatore d’altura Buccaneer catturato nel Golfo di Aden  nel 2009. La prigionia è un vero inferno che ha lasciato un segno indelebile nell’anima, nella mente e nel corpo di ogni ex ostaggio.  Quasi tutti gli ex ostaggi non sono più tornati in mare.

Ferdinando Pelliccia