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Correva l’anno 1961, il mese era Aprile e il giorno 17. Un giovane presidente irlandese di nome John Kennedy viene, suo malgrado, coinvolto nella fallimentare operazione Baia dei Porci voluta, promossa e insistentemente evocata dal capo indiscusso della Central Intelligence Agency (Cia), Mr Allen Dulles. Costui, potente uomo dell’intelligence USA, convince Kennedy e soci che il pericolo dell’occidente si nasconde nel cosiddetto “cortile di casa” a poche miglia dalle coste della Florida nella splendida isola caraibica di Cuba.
Ebbene, gli sventurati anti castristi e i pochi killer mercenari dell’operazione, 40 assoldati per l’occasione, vengono respinti durante l’improbabile invasione nelle prime 24 ore e uccisi nelle altre 24 seguenti. Una due giorni che passerà alla storia come la più grande debacle politico militare, insieme al Vietnam, della storia della potente nazione a stelle e strisce.
Kennedy caccia Dulles dal comando CIA e lo sostituisce con John McCone, ma ormai il dado è tratto. Il lider maximo Fidel Castro e il suo fedele delfino Ernesto Guevara de la Serna detto il “Che” dopo tale affronto optano per il polso duro e chiedono, cercano e trovano aiuto nell’estremo est, al di là della cortina di ferro.
Nikita Chruščëv (o Kruscev), capo dell’URSS e dell’intero blocco di Varsavia accetta la sfida e allaccia rapporti economico militari con i capi rivoluzionari del piccolo gioiellino affacciato sull’atlantico.
E’ guerra! Non convenzionale ma di lì a poco si giungerà ai tragici 13 giorni d’ottobre dell’anno seguente che segneranno il passo più estremo all’olocausto nucleare. Scambio di grano e zucchero animano gli intrecci russo-cubani, e la forza di Castro col passare dei mesi si solidifica fino a renderlo quasi immortale. E’ un problema per il buon Kennedy, lo è Cuba, lo è Fidel, lo è il suo combattente amato dai popoli il “Che”, lo è l’opinione pubblica e soprattutto questa strategica alleanza con Mosca. Le diplomazie faticano, il dialogo si arresta e in 12 mesi i rapporti tra le due super potenze liberatrici d’Europa nel secondo conflitto precipitano inesorabilmente.
Sono i primi anni sessanta, quelli della first lady Jackie e dei suoi cappellini Chanel, dell’America che cambia, del boom europeo d’occidente e figli di una ricostruzione post bellica che fa ben sperare al genere umano. Sono anche gli anni del blocco dei due mondi, della guerra fredda e il punto più critico tra l’est filo sovietico e l’ampio mondo libero sotto l’egida Nato. La crisi tra Washington–l’Havana e Mosca si intensifica fino a quando, il 14 ottobre 1962 uno dei ricognitori Lockheed U2 statunitense detto “dragon lady” sorvola l’isola e fotografa ciò che nessuno pensava mai di vedere. Il pilota incredulo assiste a qualcosa di inaspettato e porta con se materiale talmente scottante che la Casa Bianca, Cia e Pentagono attivano immediatamente lo stato d’allerta DEFCON 2, ossia nella scala da 1 a 5 è da considerarsi stato di guerra. Basi missilistiche camuffate in tutto il territorio di Castro pronte per l’uso, per gli MRBM, ossia missili balistici a media gittata di fabbricazione Russa, rivolte verso la vicina Florida e gran parte delle aree urbane della costa est degli USA.
140 testate nucleari, ordigni che se lanciati possono raggiungere obiettivi dai 1000 ai 3000 chilometri, quindi distruggere Miami in pochi minuti e New York in mezz’ora. La faccenda si fa seria e lo stato maggiore dei fratelli Kennedy si riunisce in gran segreto e il livello di allerta è estremo. E’ il 15 ottobre 1962, 52 anni fa, l’inizio dei 13 giorni più temuti della storia dell’umanità. 13 giorni di braccio di ferro tra Mosca e Washington, tra John e Nikita, fatto di proclami, tenute di posizione, sangue freddo e tentativi di pacificazione.
Nulla di fatto. La questione nei giorni seguenti non migliora, anzi, sprofonda sempre di più nel baratro delle incomprensioni e soprattutto di un orgoglio inaccettabile. I gran capi militari della Casa Bianca sussurrano al presidente ipotesi piuttosto sconcertanti, tra le quali la totale invasione dell’isola, l’immediata distruzione con bombardamenti a tappeto e perfino l’inizio di un conflitto su vasta scala, planetaria e nucleare. Kennedy ha poco più di 40 anni e si trova in una delle situazioni più scomode che un uomo di governo e un leader mondiale abbiamo mai vissuto. Lo stato d’allerta DEFCON (condizione di prontezza difensiva) si allarga a macchia d’olio e raggiunge anche l’Europa e tutto il blocco Nato.
L’occidente è pronto ma non sa esattamente a cosa. Questa volta si rischiano 10, 100, 1000 Hiroshima e la totale distruzione del pianeta terra.
Nikita non cede e John rimane in attesa di ulteriori sviluppi lanciando un primo segnale di forza tramite l’embargo totale. Non basta. Il supremo Soviet decide di premere sull’acceleratore e da lo “sta bene” all’invio in mare di navi cargo contenenti rifornimenti missilistici naturalmente coperti e racchiusi in stiva mentre sui ponti si intravede soltanto materia prima agro alimentare. Grande e inaccettabile l’affronto per Washington e così il 35° presidente USA decide di contrastare con durezza l’arrivo della flotta Sovietica verso le coste di Cuba e in direzione Atlantico, nell’unico modo possibile ed attuabile: il contro blocco navale a largo dei caraibi.
Dalle scrivanie e dai proclami propagandistici si passa in poche ore al confronto diretto sui mari, cosa fino ad allora praticamente inimmaginabile ne tantomeno auspicabile. Navi che avanzano da una parte e navi che si dispongono a scudo, dall’altra. Ore, da incubo. Le famose “valigette” sono pronte all’uso, quelle di cui tanto ci hanno parlato e che mai si era pensato di usare. Il tanto agognato ordine di fermo da Mosca non arriva e il mondo intero vive attimi di terrore. Telegiornali dell’epoca ne parlano e per chi ha ricordo quei minuti diventano interminabili. Il Santo Padre si appella ai due leader, l’Onu non ha poteri benché tenta ogni possibile mediazione e tutto appare appeso ad un filo. Quando sembrava ormai tutto inutile, le segrete ed incessanti trattative diplomatiche tessute durante tutti i 13 difficili giorni tra lo stato maggiore di Kennedy e quello di Kruscev, raggiungono una sofferta quanto ambita risoluzione. Ritiro delle installazioni su Cuba e dietrofront delle navi battente bandiere sovietica in cambio di una non invasione a tempo indeterminato di Cuba da parte degli Americani e una sostanziale riduzione dei missili a medio raggio installati in Italia e Turchia da parte della Nato. John e Bob Kennedy accettano e Nikita ordina il ritiro da Cuba e il rientro delle navi dall’atlantico. 28 Ottobre 1962, 13 giorni dopo l’inizio della crisi l’allerta rientra e il mondo tira un sospiro di sollievo.
Quella sopra citata è forse la peggiore situazione di rischio in cui si sia trovato il genere umano dalla fine del secondo conflitto a oggi. Una delle tre più pericolose insieme al blocco di Berlino datato ‘48 e durante la grande operazione di esercitazione su vasca scala dei primi anni ottanta denominata “Able Archer 83” (abile arciere) venutasi a creare tra Ronald Reagan e Leonid Breznev. Onore dunque a Kruscev, successore di Stalin e Kennedy successore di Eisenhower che pur avendo operato in quei fatidici momenti in maniera talvolta eccessiva e discutibile, oggi la storia grazie forse al loro buon senso, li considera tra i migliori leader che il mondo libero abbia mai conosciuto. La Crisi di Cuba, anche se ormai è passato mezzo secolo, non va mai dimenticata, ne da quelli che all’epoca l’hanno vissuta personalmente ne dalle nuove generazioni che non erano nate, perché anche questa è un pezzo importante della nostra storia del novecento.

Mirko Crocoli