La relazione conclusiva costretta a far marcia indietro sui rapporti gay, ma Bergoglio ribadisce la propria inappellabile supremazia decisionale.

PaoloVI-BenedettoXVI

Roma, 20 ottobre 2014. La beatificazione di Paolo VI – celebrata ieri in una splendida mattinata di sole sul sagrato di San Pietro da Jorge Mario Bergoglio alla presenza di Sua Santità Benedetto XVI –  con la sua immagine a braccia spalancate su un arazzo immediatamente scoperto sulla facciata della basilica, è giunta come un balsamo sui Vescovi e Cardinali del Sinodo straordinario sulla famiglia. Questi, fino a poche ore prima, si erano strenuamente battuti senza esclusione di colpi tra i custodi del Magistero e della Dottrina della Chiesa cattolica e i sostenitori dell’inflessibile volontà dello stesso Bergoglio di stravolgere l’immutabile Parola della Sacra Scrittura per andare al seguito, invece che di Cristo, del pensiero debole di un Occidente secolarizzato, scristianizzato, paganeggiante e, certo, da rievangelizzare.
L’abbinamento della conclusione del Sinodo con la beatificazione di Giovanni Battista Montini era stata decisa da Bergoglio il 9 maggio scorso, durante l’udienza privata concessa al Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Cardinale Angelo Amato, il quale aveva presentato il miracolo avvenuto all’inizio degli anni 2000 ad una donna statunitense che si era rifiutata di seguire il consiglio dei medici di abortire un feto malformato, e che era stata consigliata da una suora italiana di invocare Paolo VI, celebre e spesso detestato per la sua inflessibile difesa della vita fin da prima del concepimento stesso; feto poi inspiegabilmente – dal punto di vista medico-scientifico – guarito e cresciuto, dopo la nascita, nonostante un mese di anticipo, del tutto normalmente.
L’invito alla cerimonia di ieri del Papa Emerito “silente” costituiva un vero e proprio atto dovuto, per un duplice motivo: era stato proprio Paolo VI, il 27 giugno 1977, solo pochi mesi dopo averlo nominato Arcivescovo di Monaco e Frisinga, a crearlo Cardinale , definendolo “insigne maestro di teologia”; inoltre, sebbene il processo di canonizzazione fosse stato aperto l’11 maggio 1993 dal Cardinale Camillo Ruini per volere di Giovanni Paolo II, sarebbe stato lo stesso Benedetto XVI, il 20 dicembre 2012, ad autorizzare il Cardinale Amato a promulgare il decreto che ne stabiliva le “virtù eroiche”, promuovendolo così da semplice Servo di Dio a Venerabile.
Nato il 26 settembre 1897 a Concesio, in provincia di Brescia, da Giuditta Alghisi e Giorgio Montini, avvocato e a quel tempo direttore del quotidiano cattolico Il Cittadino di Brescia (non dimentichiamo in proposito che fu proprio Paolo VI a volere tanti anni dopo, nel 1967, la nascita del quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana Avvenire), Giovan Battisti Montini studiò dai Gesuiti e venne ordinato sacerdote il 29 maggio 1920. Fiero antifascista negli anni del Fascismo (uno dei suoi due fratelli, Lodovico Montini, nato solo un anno prima di lui, divenne avvocato, deputato e senatore della Repubblica nel Partito Popolare di Don Luigi Sturzo), dopo essersi laureato in filosofia e diritto civile a Roma ed in diritto canonico a Milano, entrò nel servizio della Santa Sede prima come addetto alla Nunziatura di Varsavia per passare, già dal 1924, alla Segreteria di Stato vaticana, contemporaneamente alla nomina ad assistente ecclesiastico della FUCI, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana.
Il 13 dicembre 1937 fu nominato sostituto della Segreteria di Stato, cominciando così una stretta collaborazione con il suo capo, Cardinale Eugenio Pacelli. Il 10 febbraio 1939, per un improvviso attacco cardiaco, moriva Pio XI e lo stesso Pacelli gli succedeva con il nome di Pio XII.
Si era alla vigilia dello scoppio della Seconda Guerra mondiale, e Giovanni Battista Montini collaborava alla stesura del radiomessaggio di papa Pacelli del 24 agosto per scongiurarne lo scoppio, e alla sua penna è dovuta la celebre frase di quel messaggio: « Nulla è perduto con la pace! Tutto può esserlo con la guerra.»

Durante tutto il periodo bellico, egli svolse un’intensa attività nell’Ufficio informazioni del Vaticano per ricercare notizie su soldati e civili.
In questo periodo, Montini fu anche l’interlocutore principale delle segretissime ed autonome iniziative intentate dalla principessa Maria José di Savoia, nuora del re Vittorio Emanuele III, per stringere contatti con gli Americani ai fini di una pace separata. Ma queste trattative non ebbero esito.
Il 19 luglio 1943, accompagnò Pio XII nel quartiere San Lorenzo di Roma, colpito dai bombardamenti alleati. Nel 1944, alla morte del cardinale Luigi Maglione, giunse ad assumere la carica di pro-segretario di Stato, trovandosi così a lavorare ancora a più stretto contatto col Papa.
Finita la guerra e caduto il nazifascismo, si scatenarono violentissime polemiche sul ruolo della Chiesa, ed in particolare di Pio XII, accusato addirittura di collaborazionismo con Hitler. Montini fu investito appieno dalla tempesta e si trovò a dover difendere se stesso ed il Pontefice dalle accuse di filonazismo, sospetto accresciuto dagli esiti negativi delle iniziative di Maria José contro la Germania.
Eppure Montini aveva assistito i rifugiati e gli ebrei, sostenendoli economicamente a nome di Pio XII. Inoltre, la Chiesa riuscì segretamente a salvare dalle deportazioni 4.000 ebrei romani, azione che, secondo alcuni storici, essa non avrebbe potuto compiere se si fosse schierata apertamente contro la potenza bellica tedesca. Sebbene questo sia rimasto un tema di accesa controversia tra Israele e la Santa Sede fino a pochi anni fa, oggi gli storici hanno ampiamente riscattato la figura di Pio XII da queste ombre.
Nel dopoguerra, Montini cercò d’altro canto di salvaguardare il mondo cattolico dal diffondersi dell’ideologia marxista, anche se in modo meno aggressivo rispetto a molti altri ecclesiastici. Nelle elezioni amministrative del 1952 sostenne uno dei politici che stimava di più, Alcide De Gasperi.
Dopo essere stato accusato di antigesuitismo, fu allontanato da Pio XII dalla Segreteria di Stato e nominato il primo novembre 1954 arcivescovo di Milano, città nella quale esercitò il suo ministero per oltre otto anni, segnalandosi soprattutto per l’edificazione di ben 123 nuove chiese e la grande Missione cittadina del 1957.
Intanto il 9 ottobre 1958, a Castel Gandolfo, moriva Pio XII. Profondamente legato a Montini, ma non nominato come lui Cardinale da Pio XII, l’allora Patriarca di Venezia Angelo Roncalli avrebbe voluto vedere il suo vecchio amico successore del Pontefice defunto. Invece, a sorpresa, il Conclave elesse inaspettatamente proprio lui, il 28 ottobre successivo. Egli prese il nome dell’Antipapa del quindicesimo secolo, Giovanni XXIII, ed è stato canonizzato anche lui da Bergoglio lo scorso 27 aprile. Uno dei suoi primi atti fu proprio la nomina a Cardinale di Montini, il 15 dicembre 1958. E’ noto come quello che per l’età piuttosto avanzata (77 anni) era considerato soprattutto come un papa di transizione, passò alla Storia per aver indetto, con l’intento di riaprire il dialogo della Chiesa cattolica con il mondo moderno, il Concilio Vaticano II, da lui annunciato il 25 gennaio 1959. Già tra i protagonisti del Concilio, Montini realizza, alla morte di Giovanni XXII (3 giugno 1963), quello che era l’auspicio ed il sogno del “Papa buono”, accettando l’elezione a Capo della Chiesa Cattolica, il 21 giugno 1963.
Nel corso del suo lungo Pontificato – oltre 15 anni – Paolo VI conduce a termine il Concilio stesso, dopo tre sessioni molto intense di lavori. E’ l’8 dicembre 1965, giorno dell’Immacolata Concezione, e i Padri consegnano sette messaggi a governanti, intellettuali e scienziati, artisti, donne, lavoratori, poveri ammalati e sofferenti, giovani. E Paolo VI afferma:
“Per la Chiesa cattolica nessuno è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è lontano”.
Potrebbe essere una frase pronunciata oggi da Bergoglio. Il quale però va oltre, oltre quelle che sembravano le Colonne d’Ercole della Chiesa fissate appunto dal Concilio Vaticano II, come sottolineano stamattina, citando una frase che gli è cara, i due titoli quasi identici del Corriere della Sera e de La Repubblica:
“Dio non ha paura delle novità”.
E questo anche se le novità presenti nella Relatio post disceptationem, semirinnegata dal Cardinal Péter Herdo, che aveva l’incarico di redigerla, vengono molto ridimensionate nella relazione finale messa ai voti dai Vescovi a conclusione di questo Sinodo straordinario. Essa dimostra un atteggiamento più sfumato sulla Comunione ai divorziati risposati, in quanto afferma esplicitamente che la questione “va ancora approfondita” e ribalta addirittura il giudizio sulle unioni omosessuali, che nella Relatio venivano considerate, in alcuni casi, come “un appoggio prezioso per la vita dei partner”, mentre ora viene loro negato qualunque “fondamento” che le assimili al “disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”.
Si apre ora una fase di “rivoluzione permanente” che rinvia tutto al prossimo Sinodo, questa volta ordinario, dell’ottobre 2015. Del quale Bergoglio sarà l’arbitro assoluto. Se finora, infatti, nell’istituzione creata proprio da Paolo VI come frutto del Concilio, si è, com’è nell’etimologia della parola, “camminato insieme”, Bergoglio stesso, nel suo discorso conclusivo, non ha negato – nonostante l’inflessibile silenzio mantenuto mentre gli alti prelati si levavano l’uno contro l’altro ed il segretario generale “aperturista” Lorenzo Baldisseri cercava invano conforto nel suo sguardo – che, “essendo un cammino di uomini, con le consolazioni ci sono stati anche altri momenti di desolazione, di tensione e di tentazioni”: quelle dell’”irrigidimento ostile”, “del buonismo distruttivo”, “di trasformare la pietra in pane” e “il pane in pietra” da scagliare contro i peccatori, i deboli e i malati (cf. Gv 8,7)”, “cioè di trasformarlo in ‘fardelli insopportabili’ (Lc 10,27)” e le tentazioni “di scendere dalla croce”, “di trascurare il ‘depositum fidei’” ed infine:
“la tentazione di trascurare la realtà utilizzando una lingua minuziosa e un linguaggio di levigatura per dire tante cose e non dire niente! Li chiamavano ‘bizantinismi’, credo, queste cose…”
Dunque è evidente l’attuale delusione di Bergoglio, che ieri mattina, al termine della Messa per la beatificazione di Paolo VI, ha dovuto incassare anche il mancato saluto dei Cardinali Gerard Ludwig Muller e Raymond Leo Burke, il quale si vedrà presto rimosso dal suo ruolo di giudice capo della Segnatura Apostolica, che costituisce il supremo Tribunale vaticano.
“Abbiamo seminato e continueremo a seminare con pazienza e perseveranza”, aveva aggiunto poco prima Bergoglio nella sua omelia.
L’importante è che non si tratti di zizzania, invece che di grano.
Giancarlo De Palo