Mentre Famiglia Cristiana inneggia ad “aperture a gay e divorziati risposati”.

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Roma, 15 ottobre 2014. “Un’apertura larga quanto la cruna di un ago!!!”: questo il commento stizzito di un lettore anticlericale all’articolo dell’Huffingtonpost scritto dal professore di storia del Cristianesimo Massimo Faggioli ed intitolato “Sinodo dei vescovi 2014, sesto giorno. Matrimonio e famiglia: il più grosso cambiamento dal concilio di Trento”, cioè da quasi cinquecento anni (1563). Come infatti quest’ultimo “decise di premiare il carattere pubblico del matrimonio al fine di regolarizzare e mettere fine a quella farragine di situazioni come i ‘matrimoni segreti’ e i ‘matrimoni clandestini’”, il “Concilio Vaticano III”, surrettiziamente indetto da Jorge Mario Bergoglio con l’ultimo Concistoro, a pochi mesi dal suo insediamento sul Soglio petrino, imprime una svolta storica, che non potrà non condurre ad uno Scisma letteralmente apocalittico, alla dottrina della Chiesa cattolica apostolica romana, consolidatasi nel corso di un cammino lungo duemilatredici anni.

Famiglia Cristiana.it,  in buona compagnia mediatica, inneggia alle consistenti aperture “a gay e divorziati risposati”, aggiungendo nel sommario che “La Chiesa apprezza i valori positivi che queste unioni custodiscono più che sottolineare i limiti e le mancanze.” La San Paolo, che del settimanale un tempo più diffuso in Italia è l’editore, rompe così definitivamente – tradendo il severo Santo di cui porta il nome – l’ultimo dei tabù riguardo alla sessualità, usando, badate bene, proprio come aveva incredibilmente fatto a suo tempo Bergoglio nell’ormai famosa dichiarazione rilasciata in aereo, non il termine  “omosessuali”, com’è scritto correttamente nel documento vaticano, ma il termine “gay”, che non è affatto un semplice sinonimo del primo, che indica una semplice condizione – non per nulla si parla, giustamente e con rispetto, di “persona omosessuale” -, e che quindi non esclude a priori il requisito della castità, richiesto finora dalla Chiesa cattolica per accogliere tale persona con la dovuta delicatezza e senza considerarla di per sé un peccatore. Quella del gay è invece una condizione che implica il concetto di pride, cioè di orgoglio, contrario alla virtù evangelica dell’umiltà: secondo il Dir. Dizionario italiano ragionato, il lemma – che deriva dal francese “gai”, in italiano “gaio” – significa “Omosessuale, con voce usata per indicare la fierezza e consapevolezza spregiudicata di una tale condizione”.

Cade così per la San Paolo “il tabù dei tabù”, al quale però è appena subentrato nella sua catena di librerie proprio quello di “Papa Francesco”, del quale non si erano conosciute finora che vacui ed agiografici saggi e biografie. Con una circolare a tutte le librerie d’Italia, la direzione centrale ha infatti dato disposizione di non vendere le copie del libro dello scrittore cattolico Antonio Socci “Non è Francesco”, che avanza tra l’altro fondati dubbi sull’elezione di Bergoglio fino a definirla illegittima, essendo avvenuta, secondo la ben documentata ricostruzione dell’autore, trasgredendo alcune norme fondamentali stabilite da Giovanni Paolo II che regolano l’elezione dei pontefici.

Secondo i responsabili della San Paolo questo bellissimo e critico saggio sarebbe infatti fondato non su elementi certi ma soltanto su mere ipotesi prive di fondamento e quindi non aiuterebbe lo sviluppo di una seria discussione. Antonio Socci ha definito “epurazione” la censura di cui è vittima ed ha osservato come il  suo libro, al di là delle rivelazioni dirompenti sull’esito imprevisto del Conclave 2013, si attenga devotamente a tutti i dogmi formulati dalla Santa Romana Chiesa, difendendone il magistero, diversamente da quanto avviene con altri testi, perfino eretici, che vengono invece regolarmente “contrabbandati” dalla San Paolo, trasformandoli, in base a meri calcoli economici ed ignorandone completamente il contenuto trasgressivo e quindi dannoso, in veri e propri bestseller, al contrario di quanto l’editrice cattolica vorrebbe avvenisse per l’opera di Antonio Socci, che ha tutte le carte in regola per diventare anch’essa un bestseller, a condizione che il suo editore, Mondadori, voglia difenderla e sostenerla al di là di qualunque pressione politically correct possa ricevere. Antonio Socci, da vero paladino della Verità, come buon cattolico e giornalista coraggioso pone onestamente ed umilmente delle fondate e stringenti domande, anche sul rivoluzionario atteggiamento di Bergoglio, che, al di là delle dichiarazioni di continuità, in realtà rompe definitivamente con il magistero dei 265 Papi che l’hanno preceduto, da San Pietro a Sua Santità Benedetto XVI. E’ così che il gesuita rotariano “Papa Francesco”  è rimasto l’ultimo idolo, il solo totem e tabù di una Chiesa nella quale nemmeno più Dio è cattolico, come lui stesso afferma.

“Un autogol quello compiuto dai responsabili della casa editrice che puzza tanto di ‘pensiero unico’?” – si chiedeva l’altro ieri il quotidiano cattolico online Intelligo news -. E’ proprio papa Francesco che ha promosso il dialogo e il confronto, dentro e fuori la Chiesa, su ogni questione, compresi i cosiddetti temi etici che per anni sono stati sempre considerati indiscutibili (vedi la questione della comunione ai divorziati risposati che comunque la si pensi ha attinenza stretta con il principio non negoziabile dell’indissolubilità del matrimonio). E allora non abbiate paura del libro di Socci, confrontatevi con esso e lasciate che anche il pubblico ci si possa confrontare. Perché se il dialogo è soltanto a senso unico allora restituiteci al più presto quella Chiesa che non sapeva dialogare con il mondo (secondo Scalfari ovviamente) e che mai come oggi appare così largamente tollerante e permissiva.

Ma torniamo alla “cruna dell’ago”, la piccola breccia aperta nella “Relatio post disceptationem” dal cardinale ungherese Péter Erdo, la cui relazione introduttiva nel precedente articolo dello scorso 7 ottobre non abbiamo esitato a definire splendida, geniale e del tutto chiusa alle richieste di quei cardinali, vescovi e sacerdoti gesuiti, i quali si sono muniti di un  piede di porco con l’intento di introdurlo appunto in qualunque fessura venga loro lasciata aperta da cattolici ignari o ignavi, al solo scopo di demolire irrimediabilmente l’edificio visibile della Chiesa: ma essi non praevalebunt, perché le sue fondamenta resteranno per sempre immutabili, in quanto poggiano direttamente su quella stessa pietra angolare costituita dalla Persona di Gesù Cristo, che fece di Pietro il suo primo Vicario sulla Terra e al cui nome si inginocchiano gli Angeli ed i Santi in Cielo, tutti gli uomini sulla Terra e perfino i Demoni negli Abissi infernali.

Nella seconda relazione letta ieri, raccogliendo le fila dell’accesa controversia svoltasi durante la settimana precedente, il brillante cardinale, nella terza parte del suo intervento pubblico, dedicato al confronto tra i vescovi in “comunione cum Petro et sub Petro” sulle urgenti prospettive in apparenza solo pastorali, comincia a mettersi in sintonia con Bergoglio molto sommessamente:

“La verità si incarna nella fragilità umana non per condannarla, ma per guarirla. […]

Le famiglie cattoliche sono chiamate ad essere esse stesse i soggetti attivi di tutta la pastorale familiare. […]

Decisivo sarà porre in risalto il primato della grazia, e quindi le possibilità che lo Spirito dona nel sacramento. […]

Non bisogna dimenticare che la Chiesa che predica sulla famiglia è segno di contraddizione. […]

Dinanzi ad una fede forte l’imposizione di alcune prospettive culturali che indeboliscono la famiglia e il matrimonio non ha incidenza.” […]

Si tratta […] di proporre valori, rispondendo al bisogno di essi che si constata oggi anche nei paesi più secolarizzati.”

“L’indispensabile approfondimento biblico-teologico va accompagnato dal dialogo, a tutti i livelli. Molti hanno insistito su un approccio più positivo con le ricchezze contenute anche nelle diverse esperienze religiose, senza tacere sulle difficoltà. Nelle diverse realtà culturali vanno colte dapprima le possibilità e alla loro luce respinti i limiti e le radicalizzazioni.”

“Il matrimonio cristiano non può essere considerato solo come una tradizione culturale o una esigenza sociale, ma deve essere una decisione vocazionale assunta con adeguata preparazione in un itinerario di fede, con un discernimento maturo.”

Attenti alla parola “discernimento”, perché essa è la chiave di volta, il vero e proprio passepartout del nuovo “verbo” bergogliano, così caro ai Gesuiti, come tiene a sottolineare, ripetendola a raffica, uno dei 26 delegati pontifici presenti al Sinodo, nonché direttore della loro rivista ufficiale, La Civiltà Cattolica, Padre Antonio Spadaro. Si tratta, come spiega bene Giovanni Panettiere su Quotidiano Net, dell’“attenzione alle situazioni reali delle singole persone prima di avventurarsi in giudizi di merito” volta a far cadere una volta per tutte il tabù della sessualità nella Chiesa cattolica. E il Padre gesuita travolge con il suo “discernimento” tanto gli sposi tradizionali (“Nel momento in cui si valorizza il discernimento non si può prescindere dalla libertà di coscienza dei coniugi, che ovviamente non è libero arbitrio”) quanto quelli dello stesso sesso (“Non è affatto escluso a priori che queste relazioni possano esprimere sacrificio e donazione”).

Così, inciampato nel “discernimento” nel capitoletto “Annunciare il Vangelo della famiglia oggi, nei vari contesti”,  la “Relatio post disceptationem” del cardinal Erdo, dopo essersi brevemente occupata di come “Guidare i nubendi nel cammino di preparazione al matrimonio” e di “Accompagnare i primi anni della vita matrimoniale”, finisce con l’adottare quasi senza mezzi termini il “verbo” bergogliano nel capitoletto che riconosce “Il positivo nelle unioni civili e nelle convivenze”:

“Una sensibilità nuova della pastorale odierna, consiste nel cogliere la realtà positiva dei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, delle convivenze.”

“È stato anche notato che in molti paesi un “crescente numero di coppie convivono ad experimentum, senza alcun matrimonio né canonico, né civile” (Instrumentum Laboris, 81). In Africa questo avviene specialmente nel matrimonio tradizionale, contratto fra famiglie e spesso celebrato in diverse tappe. Di fronte a tali situazioni, la Chiesa è chiamata ad essere “sempre la casa aperta del Padre […] dove c’è posto per ciascuno con la sua via faticosa” (Evangelii Gaudium, 47) e a venire incontro a chi sente la necessità di riprendere il suo cammino di fede, anche se non è possibile celebrare il matrimonio canonico.”

“Anche in Occidente è in continua crescita il numero di coloro che, dopo aver vissuto insieme da lungo tempo, chiedono la celebrazione del matrimonio in Chiesa. La semplice convivenza è spesso scelta a causa della mentalità generale, contraria alle istituzioni ed agli impegni definitivi, ma anche per l’attesa di una sicurezza esistenziale (lavoro e salario fisso). In altri paesi le unioni di fatto sono molto numerose, non per motivo del rigetto dei valori cristiani sulla famiglia e sul matrimonio, ma soprattutto per il fatto che sposarsi è un lusso, cosicché la miseria materiale spinge a vivere in unioni di fatto. Anche in tali unioni è possibile cogliere autentici valori familiari o almeno il desiderio di essi. Occorre che l’accompagnamento pastorale parta sempre da questi aspetti positivi.”

Il capitoletto successivo si occupa di come “Curare le famiglie ferite (separati, divorziati non risposati, divorziati risposati)”:

“Ogni famiglia ferita va innanzitutto ascoltata con rispetto e amore facendosi compagni di cammino come il Cristo con i discepoli sulla strada di Emmaus. Valgono in maniera particolare per queste situazioni le parole di Papa Francesco: «La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cf. Es 3,5).» (Evangelii Gaudium, 169).”

“Un tale discernimento è indispensabile per i separati e i divorziati. Va rispettata soprattutto la sofferenza di coloro che hanno subito ingiustamente la separazione e il divorzio. Il perdono per l’ingiustizia subita non è facile, ma è un cammino che la grazia rende possibile. Parimenti va sempre sottolineato che è indispensabile farsi carico in maniera leale e costruttiva delle conseguenze della separazione o del divorzio sui figli: essi non possono diventare un “oggetto” da contendersi e vanno cercate le forme migliori perché possano superare il trauma della scissione familiare e crescere in maniera il più possibile serena.”

“Diversi Padri hanno sottolineato la necessità di rendere più accessibili e agili le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità. Tra le proposte sono stati indicati il superamento della necessità della doppia sentenza conforme; la possibilità di determinare una via amministrativa sotto la responsabilità del vescovo diocesano; un processo sommario da avviare nei casi di nullità notoria. Secondo proposte autorevoli, andrebbe poi considerata la possibilità di dare rilevanza alla fede dei nubendi in ordine alla validità del sacramento del matrimonio. Va ribadito che in tutti questi casi si tratta dell’accertamento della verità sulla validità del vincolo.”

Il solito “discernimento” raccomanda di ricevere l’Ostia consacrata ai divorziati non risposati, mentre non la nega, in linea di principio, nemmeno ai divorziati risposati:

“Le persone divorziate ma non risposate vanno invitate a trovare nell’Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato.”

“Anche le situazioni dei divorziati risposati esigono un attento discernimento e un accompagnamento carico di rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati.”

“Riguardo alla possibilità di accedere ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, alcuni hanno argomentato a favore della disciplina attuale in forza del suo fondamento teologico, altri si sono espressi per una maggiore apertura a condizioni ben precise quando si tratta di situazioni che non possono essere sciolte senza determinare nuove ingiustizie e sofferenze. Per alcuni l’eventuale accesso ai sacramenti occorrerebbe fosse preceduto da un cammino penitenziale – sotto la responsabilità dal (sic: ma sta chiaramente per “del”, n.d.r.) vescovo diocesano –, e con un impegno chiaro in favore dei figli. Si tratterebbe di una possibilità non generalizzata, frutto di un discernimento attuato caso per caso, secondo una legge di gradualità, che tenga presente la distinzione tra stato di peccato, stato di grazia e circostanze attenuanti.”

Infine, con un bel salto mortale, alla faccia di tutta la dottrina cattolica, la sacrilega equiparazione di una semplice, per quanto profonda, preghiera come la Comunione spirituale con il Corpo ed il Sangue stesso di Nostro Signore Gesù Cristo, che pulsano nell’Ostia consacrata:

“Suggerire di limitarsi alla sola “comunione spirituale” per non pochi Padri sinodali pone alcuni interrogativi: se è possibile la comunione spirituale, perché non poter accedere a quella sacramentale? È stato perciò sollecitato un maggiore approfondimento teologico a partire dai legami tra sacramento del matrimonio e Eucaristia in rapporto alla Chiesa-sacramento.”

Questi numerosi “Padri sinodali” in realtà tendono a negare il Mistero della transustanziazione stessa: infatti, se “Comunione spirituale” e “Comunione sacramentale” si equivalgono, perché, con un  po’ di ulteriore, sano “discernimento” non abolire del tutto il Sacramento dell’Eucaristia, assieme a quello, a questo punto del tutto superfluo, della Riconciliazione? Oltretutto in tal modo i Sacerdoti potrebbero dedicarsi a tempo pieno alle “concrete” opere pie, abolendo definitivamente, in virtù di quello stesso gesuitico “discernimento”, la celebrazione della Santa Messa, divenuta ormai in effetti del tutto “astratta” e superflua, oltre che discriminante: infatti alcuni possono comunicarsi in grazia di Dio, mentre altri, secondo le disposizioni fortunatamente ancora vigenti, facendolo in stato di peccato mortale commettono invece un sacrilegio!

E torniamo infine al tabù dei tabù:

“Accogliere le persone omosessuali”

“Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana: siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità? Spesso esse desiderano incontrare una Chiesa che sia casa accogliente per loro. Le nostre comunità sono in grado di esserlo accettando e valutando il loro orientamento sessuale, senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e matrimonio?

 “La questione omosessuale ci interpella in una seria riflessione su come elaborare cammini realistici di crescita affettiva e di maturità umana ed evangelica integrando la dimensione sessuale: si presenta quindi come un’importante sfida educativa. La Chiesa peraltro afferma che le unioni fra persone dello stesso sesso non possono essere equiparate al matrimonio fra uomo e donna. Non è nemmeno accettabile che si vogliano esercitare pressioni sull’atteggiamento dei pastori o che organismi internazionali condizionino aiuti finanziari all’introduzione di normative ispirate all’ideologia del gender.”

E fin qui tutto sembra rientrare nei paletti stabiliti nel nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica dall’allora Cardinale Joseph Ratzinger. Ma ecco emergere chiaro e netto un nuovo, eclatante “discernimento”, che è più del solito segnale di fumo:

Senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners.”

Insomma, qui si afferma senza peli sulla lingua che anche un’unione di fatto tra due persone dello stesso sesso può rivelarsi addirittura preziosa per il sostegno reciproco che consente ai due che la contraggono.

L’affollatissimo briefing con i giornalisti di ieri ha invece versato acqua sul fuoco di tali affermazioni, sulle quali, come abbiamo visto all’inizio, i mass media si erano gettati come avvoltoi. Allo stesso modo in cui avvenne ai tempi del Vaticano II, accanto al Sinodo tenuto a porte chiuse dai Vescovi, si è aperto nell’opinione pubblica un accanito dibattito, che nessun soporifero briefing può più soffocare. Del resto non era proprio questo che si voleva ottenere con la diffusione a tappeto attraverso le parrocchie di tutto il mondo, a cattolici e non, dei famosi questionari sul tema delle condizioni in cui versano i diversi tipi di “famiglie” oggi?

Comunque nel Sinodo vero e proprio il dibattito prosegue da ieri nei “circoli minori”, che rivedranno e cercheranno di migliorare la Relatio post disceptationem, i cui punti più controversi abbiamo appena pubblicato. Ne verrà fuori il documento finale, e comunque ancora non vincolante, destinato anch’esso a diventare pubblico e ad essere affidato allo stesso Bergoglio, che ha affermato di volere che il dibattito, ormai fuori dal Sinodo straordinario di quest’anno, continui inesausto fino al Sinodo ordinario del 2015, che si concluderà con la sua inappellabile decisione. Non si può dire, in conclusione, che ci si aspetti che Bergoglio prenda in seria considerazione l’accanita ed insidiosissima querelle da lui stesso inopinatamente scatenata, perché i giochi di questa vera e propria roulette sono ormai fatti, ed il programma che ha in mente, sulla scia del testamento del suo maestro, il defunto cardinale Carlo Maria Martini, sono ormai noti anche ai sassi.

Il cardinale gesuita era stato la spina nel fianco dei Pontefici suoi contemporanei ed il mentore del suo discepolo Bergoglio al Conclave dell’aprile 2005: egli riteneva che la dottrina di Santa Romana Chiesa fosse rimasta arretrata di almeno trecento anni ed andasse quindi finalmente indetto un “Concilio Vaticano III”, con il compito di portare a termine quel confronto col mondo contemporaneo cominciato con il Vaticano II, tanto auspicato dalla Massoneria, la quale, attraverso l’attuale ordine della Compagnia del Gesù, stava ormai infiltrandosi all’interno delle Mura leonine.

Giancarlo De Palo