MARO

“Mille e non più mille” avrebbero auspicato la maggior parte delle persone dabbene nei confronti dei 2 Fucilieri del San Marco, ingiustamente trattenuti prigionieri in India da quel lontano 15 febbraio 2012 in cui la nave Enrica Lexie -a favore della quale svolgevano un delicato compito di protezione antipirateria-  fu invitata con l’inganno ad entrare in porto a Cochi. Per fortuna il dettato evangelico, e le stravaganti premonizioni di Nostradamus, non si sono avverate a cavallo dell’anno mille, altrimenti non saremo qui a commentare questa nuova e triste vicenda dei fucilieri che ha superato i mille giorni di prigionia, di ingiustizie e di soprusi senza che i nostri governi siano riusciti ad ottenere qualche tangibile risultato.            Mille sono le domande che ogni cittadino si è fatto senza che sia stata data una spiegazione razionale e di buon senso; prima fra tutte quella che costituisce l’origine del problema, cioè l’aver fatto entrare la nave in acque indiane spogliandosi così di quella corazza difensiva costituita dalle tutele del diritto internazionale  e della immunità speciale connessa con i nostri fucilieri comandati in servizi istituzionali anti-pirateria del nostro Stato, con la benedizione di specifiche risoluzioni delle Nazioni Unite. Non è neppure bastato entrare ingenuamente, con la palese dimostrazione di essere con la coscienza a posto, per lenire l’arroganza indiana, anzi; il fermo della nave, l’arresto dei 2 fucilieri con un trattamento riservato a delinquenti terroristi, il sequestro delle armi che non sono di proprietà personale ma del nostro Stato, fino alla farsa e falsa perizia balistica , denotano la spregiudicatezza degli indiani ed il totale disconoscimento delle norme che regolano le vicende nelle acque internazionali, in accordo con la legge sul mare –UNCLOS- varata nel 1982 e ratificata sia da Italia che dall’India.
Migliaia sono le istanze presentate da semplici cittadini sui social network, per dimostrare da un lato la vicinanza agli sfortunati fucilieri, ma dall’altro per sottolineare le ingiustizie perpetrate dagli indiani e l’insofferenza mista a forte disagio per l’inazione dei tre governi che si sono succeduti dall’inizio della  triste vicenda. Non migliaia, ma decine e decine sono state le proposte formulate nel tempo, anche a seguito dell’invito fatto pro-tempore dal nostro Presidente della Repubblica, per trovare una adeguata strategia che portasse alla soluzione del caso, pur nella considerazione a monte che, trattandosi di incidente occorso  in acque internazionali, l’autorità giudicante e autorizzata a svolgere il processo era ed è solo e soltanto quella ‘’di bandiera’’, che nel caso in specie era il nostro tricolore! Invece non sono stati dati segnali forti all’India della loro indebita azione giudiziaria, né sono stati rinfacciati  i loro sfacciati comportamenti, e neppure il fatto che non sussistono tuttora reati a carico dei 2 fucilieri, a meno, di tanto in tanto, di  qualche  soffusa affermazione ministeriale della nostra specifica competenza a giudicarli.
Mille e un motivo sussistevano nel trattenerli in Patria quando, nel periodo del permesso pasquale del 2013, il Governo Monti decise, dopo un tentennamento tipico italico, di riconsegnarli agli indiani nonostante fosse prevista la pena di morte: ma quei decisori si sono mai chiesti come mai gli concessero il permesso di votare in Italia, quando loro, come tutti coloro che si trovavano all’estero, potevano votare presso le nostre ambasciate? E, come sostiene il Ministro pro-tempore Terzi, quali furono le ragioni per cui la nostra magistratura ordinaria o militare ha consentito il loro rientro, ovvero una estradizione passiva verso un Paese che prevede la pena di morte, senza prima ritirar loro i passaporti ed avviare quel legittimo processo in Italia? Più in generale ci si chiede quali leve il potere politico ha azionato nei confronti della magistratura per favorirne il rientro senza ottemperare ad un preciso dovere: non è stata certo la favoletta ‘’della parola data’’ , ma ciò rientrava appieno nel rispetto della promessa politica ‘’di fare il possibile per farli rientrare’’. Lo stop in Italia da parte della magistratura, operato nella piena legittimità e facoltà, avrebbe chiuso la vicenda; gli indiani avrebbero starnazzato per qualche settimana con i media internazionali, ma in fondo in fondo soddisfatti per averli tolti da una situazione antipatica e disagevole prima di tutto per loro: noi non solo non l’abbiamo capito, ma abbiamo agito in senso del tutto contrario alla normale soluzione di tale assurda vicenda. Li abbiamo riconsegnati, con l’illusoria assicurazione  che la situazione si sarebbe presto risolta, e che ciò serviva inoltre ad evitare di deteriorare i rapporti economici con l’India, mentre gli indiani ci hanno ripagato vietando perfino alle nostre industrie di partecipare a gare e a demo internazionali sul loro territorio: una serie di sconfitte che hanno demolito completamente la nostra capacità di far valere la propria sovranità nei diversi campi. Interessi di dubbia natura materiale ed economica hanno prevalso su una exit-strategy intelligente e legittima sul piano giuridico, che invece avrebbe  -prima di tutto- dovuto garantire il diritto internazionale e quello della vita libera di quei nostri marinai. Di più: la pantomima del rientro ha preso corpo dopo che gli indiani, e perfino la nostra Sonia in Gandhi, hanno alzato la voce con palesi minacce e ritorsioni, arrivando a violare, ancora una volta e senza scrupoli, ogni convenzione internazionale minacciando e limitando la libertà al nostro Ambasciatore a Delhi.
Tante, ma certamente meno di mille, sono le dichiarazioni fatte dai nostri rappresentanti dei tre governi che si sono succeduti nel periodo di prigionia: siamo passati dal riportarli a casa al più presto, alla nostra unica titolarità a processarli, al presunto avvio dell’internazionalizzazione, fino a promettere l’auspicato arbitrato obbligatorio, quindi al rinnovato dialogo da condurre con la massima cooperazione, fino alla priorità massima nel riportarli a casa perché… sono sempre in cima ai nostri pensieri…
Nulla risulta in concreto sia stato posto in essere, se non qualche vacua dichiarazione di facciata; l’internazionalizzazione si è persa fra i meandri di Bruxelles e le occasioni perdute delle riunioni dei ‘’big’’ da Davos, a Glasgow  per arrivare a Brisbane in questi giorni in cui l’ineffabile Modì, nuovo premier indiano, che già aveva avuto modo di dire che ‘il processo indiano!!  sarà giusto e rapido!’, non ha voluto neppure incontrare il nostro per parlare dei 2 fucilieri. E dell’arbitrato obbligatorio  promesso, previsto proprio per dirimere casi controversi del genere, qualcuno ne ha sentore? No, perche mai è stato avviato!
Ora si ritorna, come nel gioco del Monopoli, al punto di partenza… li rivogliamo a casa, ma lasciateci lavorare, non disturbate il conduttore, non irritate gli indiani, la riservatezza è essenziale,  così come tenere un profilo basso, non possiamo fare comunicazioni open: fidatevi; le prime telefonate del neo Ministro degli esteri sono per loro… Più che un gioco al Monopoli sottobanco, la non azione  concreta dei governi che si sono succeduti in questi mille giorni senza alcun risultato, dimostra inequivocabilmente che sia stato fatto poco o nulla e che, comunque, le nostre pressioni politiche o diplomatiche sono risultate inconsistenti. Neppure la ventilata proposta di scambio dei 2 fucilieri con i 18 marinai indiani arrestati per traffico di droga, appare minimamente accettabile in quanto si scaricherebbe sulla stessa dignità ed onore dei due del San Marco che hanno finora dimostrato di averne da vendere. E allora che fare, visto che il tempo stringe e il Latorre dovrebbe rientrare in India il 13 gennaio 2015 dopo le cure del caso, a seguito del malore subito? Dobbiamo forse attendere che lo stress giochi uno stesso scherzo anche a Girone? Non lo vogliamo né glielo auguriamo.  Dobbiamo ancora sopportare ulteriori ingiustizie e angherie indiane, ormai insostenibili per la grave vergogna già sofferta in mille giorni?
E allora avviamo da subito l’arbitrato obbligatorio internazionale che giace fra la Farnesina e la Difesa; poi, mettiamo in campo al più presto la nostra intelligence e troviamo la via per far tornare subito in Italia anche il povero Girone, con qualunque mezzo  (un imbarco nottetempo su qualche volo cargo di bandiera di comodo in sosta a Delhi, qualche biglietto di treno che è diretto oltre il Kashmir, coordinando sottobanco tali idee  e con qualche po’ di dollari al seguito, per oliare le ruote, ecc ecc). Altrimenti resta una ‘’ultima spiaggia’’ utilizzando le nostre Forze speciali che, in primis, è quella più idonea e fattibile:  ma ci sarà mai qualcuno che si prenderà l’onere di dare l’ordine esecutivo,  dopo che  le iniziative ‘’legali’’ saranno esaurite oppure li lasceremo alla infinita mercé indiana, per altri mille giorni? Non è proprio il caso: mille, ma non più mille!!