
Il sinistro marittimo della Norman Atlantic è ancora troppo fresco perché si facciano bilanci, considerato anche il fatto che di giorno in giorno si sta cercando di fare chiarezza sulla dinamica, sulle cause, sui comportamenti, sulla sicurezza di quel bastimento e soprattutto sul numero delle persone imbarcate che non è stato definito e sul quale sembra aleggiare la presenza di clandestini. Purtroppo la nave, dopo le peripezie del rimorchio connesse alle proibitive condizioni meteo-marine, e delle volontà alterne delle magistrature in qualche modo competenti (italiana, greca e perfino albanese… visto lo scarroccio nelle rispettive acque territoriali), ha raggiunto il porto di Brindisi, ma sussiste ancora la impraticabilità di ispezioni e verifiche a bordo a fronte della permanenza di fumo, di locali ancora surriscaldati e non garantiti in termini di sicurezza.
Qui non si vuole, quindi, tentare bilanci improvvisati, né trarre affrettate conclusioni o innescare polemiche sterili su una tragedia ancora “calda”; tuttavia sembra opportuno fare alcune considerazioni e riflessioni sulle operazioni di soccorso condotte da diversi mezzi elicotteristici delle diverse Forze Armate, in primis quelli della Marina, con particolare riferimento al coordinamento sulla scena delle operazioni di ricerca, soccorso ed assistenza da parte della Marina Militare. Va riconosciuto, innanzitutto, che in una situazione così drammatica, con un devastante incendio in corso, in condizioni meteo pessime, il comandante Giacomazzi, il suo equipaggio e i soccorritori sono riusciti ad evitare che un sinistro navale si trasformasse in un’ecatombe di quelle quasi 500 persone imbarcate. Il Comandante che, per due giorni e due notti, in quell’atmosfera disastrosa, e in piena emergenza riesce a mantenere i nervi saldi e gestire al meglio la sicurezza dei passeggeri affidatigli, sbarcando per ultimo dalla “sua” nave dopo essersi assicurato che tutti fossero in salvo, riscatta appieno la figura del “Capitano”, seriamente compromessa dagli avvenimenti occorsi sulla Concordia. A prescindere quindi dai giudizi che scaturiranno da più accurate e dettagliate indagini, e dal fatto che dovrà essere indagato d’ufficio per il naufragio colposo della Norman, cosa del tutto ovvia e prevista, l’ etica tenuta dal comandante Giacomazzi ha comunque ri-nobilitato la figura del Capitano, di colui che tutela la vita del personale trasportato come il bene superiore a cui deve informarsi la propria azione in caso di urgenza o di emergenza, anche a costo della vita: la Marineria italiana e non solo, che detta tali norme non su un piano retorico ma fattuale e sostanziale, ne esce a testa alta secondo le nobili tradizioni . E, accanto alla Marineria mercantile, emerge il comportamento della Marina Militare nella critica fase dei soccorsi con una palese dimostrazione di altissima professionalità della sua gente, di una disponibilità operativa ed efficacia dei mezzi assegnati che meritano ammirazione e gratitudine: soprattutto se si considera il momento natalizio caratterizzato da limitate risorse di personale in licenza e un certo numero di navi, e gruppi di volo, “non pronti” per gli stessi motivi.
L’Italia è stata col fiato sospeso, in balia delle onde come la Norman Atlantic, perché salvare oltre 400 persone da quell’inferno, era apparso davvero impossibile; solo il grande spirito di corpo degli equipaggi, in particolare di quelli di volo, sprezzanti del rischio e del pericolo, tentando l’impossibile e di tutto pur di salvare delle vite umane in gravi difficoltà, ha consentito di tirare un sospiro di sollievo dopo gli straordinari interventi –di giorno, ma anche notturni- con gli elicotteri dell’Aviazione Navale e del Corpo delle Capitanerie di Porto. La Marina ha combattuto fieramente la sorte nefanda che attendeva la gente della Norman, dislocando tutto ciò che era possibile per salvare quegli sventurati, operando con una professionalità, determinazione e tenacia degna di una Organizzazione di assoluta eccellenza, qual è!
Di fronte a queste realtà viene spontaneo chiederci se la cultura marittima e navale italica sia conscia ed in sintonia con il ruolo della Marina, oppure sia troppo “leggera” e distaccata. Forse la cultura e la vita del mare è troppo impegnativa ed è assai più comodo –per l’italiano medio- farsi cullare dal solito adagio che “Tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare”, quasi a denotare che il mare rappresenta una barriera, piuttosto che una realtà che si snoda in 8000 km di coste, e storicamente –soprattutto il Mediterraneo- un mare di progresso, di civiltà, di unione fra popoli?
Anche il ruolo della Marina, nonostante sia in prima linea nel contrasto ai fenomeni di questa nostra epoca, come il terrorismo marittimo, la pirateria, l’immigrazione clandestina e altro, viene confinato al silenzio forse perché opera fuori dalla vista della gente comune, fuori dell’orizzonte come si suol dire, da “Grande silenziosa”. Oppure perché i naviganti sono una schiera a parte, quasi estranei a quella dei “vivi e dei morti” come tramandava Platone con un giudizio amaro, quasi a disprezzare chi si avventura fra le terre, sfida le conoscenze oltre le colonne d’Ercole e cerca le risposte ai propri dubbi esistenziali nella contemplazione della natura marina e nelle stelle che osserva e da cui ottiene risposte sul suo navigare: le spinte etiche che esortano i naviganti ad immergersi in quel liquido spesso infido, a condividere i venti e le onde di quel mostro di energia e di vitalità, possono apparire irrazionali, ma per contro il mare è pur sempre l’elemento da cui la vita sul nostro pianeta ha avuto inizio. Un elemento spesso ignoto, temuto o ignorato da cui l’umana natura si è protesa verso l’evoluzione, la civiltà e sui cui traffici si basa l’attività economica dei paesi più industrializzati. E’ tuttora veicolo di progresso, ma anche d’inquietudini, di misteri e di tragedie e al tempo stesso testimone e attore della storia, dei fenomeni di migrazione, insediamenti, conquiste, basta pensare al nostro mare Mediterraneo, culla di millenaria civiltà, per rendersi conto del valore strategico del mare: peccato che questi elementi valoriali siano inghiottiti dal tempo, dalla noncuranza umana che preferisce dimenticarsi della memoria storica e vitale del mare, per ricordarlo solo nelle parentesi d’estate sotto l’ombrellone. “Popolo di naviganti”… dalla memoria corta!
Forse è anche dovuto al fatto che il mare non parla; può ruggire nella tempesta, ma non urla, non si fa sentire nei talk show, comunica solo imponendo regole silenziose che comunque vanno rispettate; tutto ciò influenza naturalmente anche la Marina, che ne condivide il contesto ed i problemi, e quindi anche il ruolo che essa vi svolge, spesso è negletto dal popolo: perché innanzitutto ciò che Lei fa non si vede, e la memoria collettiva salmastra è talmente evanescente che viene facilmente sovrastata dai flutti del comodo oblio. Quali i possibili rimedi?
La cultura marinara e la valorizzazione della nostra marittimità potranno costituire elementi essenziali anche per rivitalizzare diversi settori dell’economia del nostro Paese e tentare di farlo ripartire col piede giusto; bisogna quindi investire nella scuola, sulla formazione dei giovani, solleticando il loro spirito di avventura, ma anche il rispetto delle regole che il mare impone naturalmente, con il contributo di quelle associazioni, come la Lega Navale italiana capillarmente diffusa sul territorio, per far amare il mare e le straordinarie capacità che racchiude non solo sul piano del progresso, ma anche in quello sociale e ambientale, quale insegnamento imprescindibile per il futuro dei nostri giovani. “Tra il dire e il fare…” è ancora vigente in quanto, ancora oggi, non si rinvengono fra le sbandierate riforme del sistema Italia, considerazione di pregio ed azioni nei confronti delle scuole nautiche, né nei confronti delle predette associazioni a finalità morali e sociali che risultano completamente abbandonate e condizionate nel loro operare da questi governanti “terricoli” che evidentemente sono allergici allo iodio, per tacere d’altro!
La gente di mare tenta di rimorchiare il nostro Paese a forza di remi e di giri d’elica verso il progresso e la ricerca delle risorse per far ripartire l’economia; ancora più importante è comunque riavviare quell’etica della responsabilità e del senso civico ed umanitario che sembra essere stato inghiottito dai flutti dell’ignoranza e della sconsideratezza umana. Significative sono le missioni che la Marina sia nel sociale, nell’ambiente, ma soprattutto nel contrasto a fenomeni che coinvolgono direttamente il nostro vivere e la nostra sicurezza, sta conducendo da tempo in silenzio: dal recupero dei “boat people” nel Vietnam, al Mare Nostrum in soccorso dei migranti; dall’antipirateria nel Mediterraneo allargato, al controllo dell’ambiente marino e dal concorso alla protezione civile in caso di calamità, solo per citarne alcune, ‘il “must” della Marina è da sempre la tutela della vita, in particolare la salvaguardia di quella che opera sul mare, sia essa dovuta per norma o dettata da una encomiabile attitudine cavalleresca. E altrettanto emblematiche di una consolidata tradizione, e non per caso né per fortuna, risultano le operazioni condotte per il salvataggio dei passeggeri sulla Norman Atlantic: anche qui il richiamo alla memoria appare doveroso per spiegare i risultati di tale operazione condotta magistralmente dagli elicotteri con il supporto essenziale di navi porta-elicotteri della Marina. Un binomio nave-elicottero assolutamente vincente che la Marina ha adottato fin dai primi anni ’50; un patrimonio frutto di tale originale ed antesignana scelta che vede una sinergia incredibile fra i marinai e gli aviatori di Marina, un affiatamento che non ha eguali perché forgiati entrambi dalle leggi del mare, una formazione univoca che abbraccia tutte le operazioni condotte di giorno e di notte in tutte le condizioni meteo-marine, un addestramento duro e meticoloso che impegna tutti gli equipaggi a non guardare l’orologio e i week-end. Non si tratta di risultati conseguiti per caso, magari confidando sulla fortuna, piuttosto è il frutto di un’attenta pianificazione nel medio-lungo termine basata su scelte lungimiranti, su un addestramento realistico e sempre pronto a soddisfare le esigenze, anche intempestive e piene di rischio, della Flotta, e quindi della nostra Nazione.
Oltre all’indiscutibile livello di addestramento e di combat readiness mostrato dagli equipaggi di volo, veri professionisti del cielo e affidabili in ogni condizione, anche le più severe in cui spesso gli altri “voltano la capa al ciuccio”, il valore aggiunto fondamentale per il buon esito dell’operazione è costituito dalla presenza in zona di una nave portaelicotteri, la San Giorgio, che ha fatto la differenza nei tempi di recupero di quei disgraziati e di rapido transito verso un posto sicuro. Non solo; la presenza di una simile piattaforma oltre a rendere più spedita e sicura l’operazione di soccorso e trasferimento, consente di assistere immediatamente e di trattare eventuali casi critici direttamente dal comparto sanitario presente sulla nave, di assistere i naufraghi con terapie anche psicologiche di aderenza, di rifocillarli e di sistemarli al meglio come fossero in una adeguata e olistica struttura a terra. Ciò significa, in definitiva, garantire talvolta la stessa sopravvivenza di quei poveretti che altrimenti avrebbero certamente meno chances di cavarsela: è proprio quel binomio nave–mezzo aereo organico che rappresenta uno straordinario “moltiplicatore di capacità” della Marina, con quella rara e concreta caratteristica di autonomia tecnica, logistica e di vita connessa soprattutto alla Nave –la cosiddetta “Expeditionary capability”- unica vera risorsa riscontrabile fra tutte le componenti delle Forze Armate che consente di operare con flessibilità, tempestività ed efficacia sia nelle operazioni belliche, che nelle missioni umanitarie o di soccorso.
La Componente aerea della Marina, come d’altronde tutta la Forza Armata, ha sempre dato con autentico slancio il suo contributo per soccorrere e assistere in ogni frangente la popolazione civile, dal trasferimento di personale ferito, al trasporto di organi o di plasma, alle campagne antincendio, al soccorso in mare, al supporto in caso di calamità; con l’evento Norman Atlantic, che è solo l’ultimo occorso, si perpetua così la lunga e felice tradizione di missioni a carattere umanitario della Marina e della sua pregevole Forza Aerea. Questa volta, al contrario delle altre che avvengono di norma in silenzio oltre l’orizzonte, tutti abbiamo potuto assistere in diretta alle straordinarie capacità di quegli uomini, al loro coraggio, alla loro abnegazione, ai risultati conseguiti in situazioni proibitive che, solo gettando “il cuore oltre l’ostacolo”, si possono fare.
La chiusa con una domanda: è mai possibile che, a fronte dell’eccellenza sempre mostrata dalla Marina e dalla sua Aviazione Navale, della marittimità in cui è immerso il nostro Paese, delle minacce e dei fenomeni nefandi che attraversano e attraverseranno il mare Mediterraneo, la nostra Marina resti la cenerentola fra le altre FFAA, in termini di organici e di assegnazioni finanziarie? Forse qualche doverosa rivisitazione potrebbe essere opportuna, anche per mantenere le eccellenze che abbiamo, tagliando qualche altro ramo secco.
Giuseppe Lertora

