“Primo classificato Coppi, in attesa del secondo, trasmettiamo musica da ballo” – (speaker radiofonico della Milano-Sanremo del 1946).
Era gennaio del 1960 quando il più grande sportivo italiano detto “l’Airone” volava alto in cielo, stroncato da una malattia all’epoca facilmente debellabile. Da garzone di bottega a campionissimo; da piccolo salumiere a mito del ciclismo. Una parabola durata 41 anni che ha reso quest’uomo una leggenda e che ancora vive nell’immaginario collettivo. Se l’intento supremo dell’essere umano è quello di raggiungere l’immortalità, allora, questo giovane piemontese – di sicuro – ha ottenuto di gran carriera l’ambita aspirazione. 55 anni sono trascorsi dalla sua scomparsa e ancora oggi le sue gesta restano indelebili nella mente di chi le ha vissute in prima persona e destano straordinaria curiosità tra le nuove generazioni. Il suo nome è Angelo Fausto Coppi; un vanto “italico” nel mondo, un talento unico, un orgoglio popolare, la storia vera del ciclismo mondiale. Nato nel piccolissimo borgo di Castellania in provincia di Alessandra, il 15 settembre 1919, figlio di Domenico Coppi e Angiolina Boveri, trascorre la sua adolescenze a Novi Ligure lavorando presso un salumificio locale. La sua vita cambia dopo l’illuminante incontro con l’esperto Biagio Cavanna che lo avvicinerà al mondo del ciclismo.
Si appassiona, sin da giovane, a quello che diventerà – per il resto della sua esistenza – il suo grande e travolgente amore; la bicicletta. Nel 1937, a soli 16 anni, disputa la sua prima gara locale e – tre anni dopo – esordisce al Giro d’Italia. Inizialmente “l’umile” compito assegnatogli dai dirigenti è quello di appoggiare dalle retrovie il ben più noto Gino Bartali ma ben presto le cose prenderanno una diversa direzione. Partito da semplice gregario – Fausto – dimostra al mondo già dalle prime gare non solo di essere un vincente ma anche di avere la “stoffa” per salire nell’olimpo dei più grandi della storia. In quello stesso giro infatti dapprima lascia indietro molti colleghi e a seguire con un’inattesa quanto sorprendente fuga si attesta prepotentemente come il migliore, vincendo la sua prima maglia rosa. E’ l’inizio di un’inarrestabile ascesa. Si ripete vittorioso nel “giro nazionale” anche nelle edizioni del ‘47, ‘49, ‘52 e nel ‘53, ottenendo anche due secondi posti nel ‘46 e ‘55. Nel 1949 e 1952 conquista la “doppietta”, aggiudicandosi anche il Tour de France, unico, all’epoca, a compiere tale ardua impresa. Il suo palmares non ha eguali e anche nelle competizioni mondiali di Parigi ‘47, Ordrup ’49 e Lugano ’53, da il meglio di se facendo conoscere l’eleganza delle sue pedalate in ogni angolo della terra.
5 volte campione del giro, 2 in quello d’oltralpe, 5 in Lombardia, 3 nella Milano-Sanremo e protagonista indiscusso di altri strepitosi successi che lo porteranno sulla vetta degli immortali. E’ da tutti universalmente considerato il ciclista per eccellenza, completo in ogni categoria; dalle piste alle competizioni su strada; dalle corse a tappe fino alle classiche giornaliere. Scalatore, velocista, combattente inesauribile – e non solo sulle due ruote – è uomo generosissimo anche nella vita privata e considerato all’unanimità una straordinaria persona. Storica la borraccia passata all’eterno antagonista “Ginettaccio” (o viceversa, secondo alcuni), così come leggendaria la loro “sfida” che divise i tifosi del “bel paese” sin dal dopo guerra. Tra le folgoranti vittorie con la Legnano e la Bianchi, che lo consacrano tra i migliori, c’è anche la turbolenta vita privata, gli amori e l’aspetto forse più doloroso dell’ “uomo”. C’è da scalare la montagna più alta, più dura e in assoluto più difficile. Ormai all’apice della sua carriera, la gogna mediatica non stenta ad attaccarlo con violenza, dopo la sua coraggiosa ammissione di lasciare la moglie Bruna Ciampolini per unirsi all’ultima sua donna; Giulia Occhini, soprannominata la “Dama Bianca”. Entrambi sposati (Giulia con il Dott. Enrico Locatelli), suscitarono non poco scandalo agli occhi dell’opinione pubblica. Oggi nessuno avrebbe fatto caso a quella storia d’amore extra coniugale ma all’epoca – in un’Italia profondamente clericale e bigotta – la stampa e le istituzioni non esitarono a scagliarsi contro la celebre coppia.
Sia Fausto che Giulia vengono processati e condannati per adulterio e abbandono del tetto coniugale rispettivamente a due e tre mesi di reclusione. Da quella sofferta relazione nacque un figlio, Angelo Fausto Coppi – detto Fastino – dato alla luce a Buenos Aires. Tra le grandi passioni dell’ “Airone” spiccava la caccia; quest’ultima fatale. E’ nella colonia francese Alto Volta attuale Burkina Faso (Africa), che Coppi contrae la Plasmodium falciparum (malaria), trascinandolo – prematuramente – alla morte. Era in quel posto oltre confine con Raphael Germiani e altri noti corridori francesi per godersi la sua grande passione. Sia lui che Germiani di li a poco si ammalarono proprio durante la battuta di caccia e vennero fatti rientrare nelle loro nazioni. L’uno a Parigi l’altro a Novi Ligure. Al francese venne subito diagnosticata la nota malattia mentre al povero italiano – nel frattempo trasferito d’urgenza il 1 gennaio a Tortona – erroneamente confusa per grave influenza, benché i medici fossero stati avvisati da Parigi. Cortisone e antibiotici massicci vengono inutilmente somministrati nel corpo ormai fragilissimo di Coppi, anziché il chinino, L’UNICO VERO RIMEDIO PER LA SUA SALVEZZA.
A causa di questa inspiegabile “carenza” da parte dei medici Astaldi e Fieschi, il campionissimo smette di respirare la mattina del 2 gennaio 1960 alle ore 08:45. Anche se alcune pagine della sua breve vita lo hanno visto lottare contro tutto e tutti e soprattutto contro l’amaro destino di una morte evitabile, a noi piace ancora ricordarlo per le sue memorabili volate, per l’indimenticabile faccia a faccia televisivo con l’amico-antagonista Bartali e tramite le storiche parole del cronista Ferretti – alla terzultima tappa del giro del ’49 (definita la più grande impresa nella storia del ciclismo) – più volte citate dai media ma sempre emotivamente toccanti: “Un uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi”.
Mirko Crocoli