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Possiamo anche non condividere in blocco o parzialmente alcune delle vignette realizzate dal settimanale satirico Charlie Hebdo, colpito a morte pochi giorni fa per mezzo di un vile attacco terroristico a Parigi, dove hanno perso la vita 12 persone e tra questi vi erano grafici, giornalisti e vignettisti del giornale francese. Spesso hanno calcato la mano, molto pesantemente ed era inevitabile che qualche nemico fiorisse (e siamo certi ne fossero ben consapevoli). E’ una questione di scelte e di stile e in quella redazione prediligono la satira spinta all’estremo, quasi una sfida.
In un ideale mondo tutto questo sarebbe normale: esprimersi e lasciare esprimere le proprie opinioni in totale libertà; pare sia il sogno di molti, certamente per quel che riguarda l’esprimersi; un po’ meno per quel che concerne la libera espressione del “prossimo”.
Criticare ci piace tantissimo; essere criticati molto meno. In una società dove gli individui che la compongono ricevono l’educazione al rispetto altrui, nonostante i mal di pancia che i giudizi avversi comportano, si deve porre un limite naturale oltre il quale non si può andare e la sacralità della vita non può  essere in alcun modo messa in discussione.
Ed è per questo che, pur non condividendo i “messaggi” veicolati dai colleghi d’oltralpe trucidati, in questi giorni anche noi ci siamo sentiti Charlie Hebdo. Per una pura questione di libera espressione, anche se il confine naturale tra l’opinione e l’offesa in questo caso non c’è, siamo indignati e affranti dalla “risposta barbara” generata da menti malate,  verso chi tali concetti ha espresso.
Detto questo, ci auguriamo che Charlie Hebdo non muoia, come qualcuno vorrebbe, ma che abbia la capacità di risorgere dopo questo mortale attacco.

Cambiando focus, resta comunque il fatto che troppi aspetti di questa vicenda sono poco chiari: perché quella via è deserta, prima, durante e pure successivamente al massacro, in una metropoli come Parigi? Come hanno potuto agire indisturbati per parecchi minuti, sbagliando addirittura portone, prima di accedere alla redazione del settimanale? Si può organizzare un simile attentato in tre, andare in giro per la via lasciando l’auto accesa e le portiere aperte e poi più tardi abbandonare il mezzo con il documento d’identità di uno degli attentatori “dimenticato” all’interno della vettura? Può un paese come la Francia, esposto ai rischi del terrorismo, nel momento in cui partecipa attivamente ai raid contro l’Is, non avere alcun agente alle calcagna degli autori della strage, per altro ben conosciuti e controllati fino all’anno scorso dopo essere rientrati dalla Siria, dove si presume avessero ricevuto un certo addestramento? Sono questi e altri lati oscuri che aprono immense finestre verso tesi complottiste. Ci auguriamo arrivino risposte esaurienti e non si attenda che l’emozione e la reazione “calda” del momento passi, per consegnare all’oblio questo ennesimo fatto di sangue.

GB