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Il processo di “deregulation” è sicuramente valido se attuato con serietà in quanto un minor numero di regole porta a rimuovere i vincoli burocratici, con un maggior livello di concorrenza e produttività, con una migliore efficienza e snellezza del sistema e con costi inferiori per le imprese e per il cittadino: tutti auspicano che sia avviato anche in Italia, purchè lo si faccia seriamente  e non per “apparire” soltanto. Come capita per quasi tutti i fenomeni sociali di quest’ultimo secolo, anche la deregolamentazione, iniziata oltre trent’anni fa e portata avanti da Reagan con specifico riferimento alle compagnie aeree  – l’Airline Deregulation Act del 1978 – si è già riverberata, ancorché per settori, nel mondo occidentale, anche per  ampliare la concorrenza alle compagnie commerciali minori, abbattendo i costi di gestione e quelli del viaggiatore. Per alcuni versi non si può che ravvisare alcune positività; per altri, invece, atteso che il profit delle compagnie non ha subito perdite, si è riscontrata una generalizzata diminuzione del personale aeronavigante, ove praticabile anche per tipologia di equipaggio d’aereo, scaricando sui piloti e assistenti di volo un sovraccarico di attività talvolta eccessivo.  E’ vero che, allora, i piloti in particolare erano considerati e si consideravano “baroni rossi”con notevoli privilegi sia in busta paga, sia per  turni di impiego in volo a fronte dei periodi di riposo che, per i voli cosiddetti a lungo raggio, prevedevano anche soste di tre giorni prima di tornare a casa; ma oggi il clima è davvero cambiato.  Se si pensa agli attuali voli “low cost”, gli equipaggi  sono costretti a turni forzati che non consentono spesso il recupero fisico connesso con i diversi fusi orari, né di quella  stanchezza psicologica dovuta alla tensione ed attenzione implicite nell’attività volatoria.  Voli sempre più ravvicinati, periodi di riposo sempre più striminziti, equipaggi ridotti all’osso anche nei voli a media-lunga durata, gravano sulla tenuta psico-fisica dei piloti a detrimento della sicurezza del volo.  Al contrario, nel settore militare la deregulation non ha avuto rilievo proprio per le missioni svolte dai piloti in ambienti assai stressanti, in aree di conflitto ove il rischio è decisamente più elevato rispetto ad un velivolo commerciale che si limita al trasporto di passeggeri da una città ad un’altra. Nel mondo militare continuano a vigere regole condivise anche in campo NATO, con i cosiddetti STANAG che contengono  procedure e regole standardizzate ed accettate dalle Nazioni dell’Alleanza, con particolare riferimento ai massimi cicli di attività di volo, intramezzati da adeguati periodi di riposo per il recupero psico-fisico  del benessere degli equipaggi. Nel settore dell’aviazione civile, a fronte del profit delle compagnie, si riscontra un tasso di attività  per pilota superiore che, oltre ad erodere la stessa sicurezza del volo, viene svolta anche in situazioni limiti pur di conservare “il posto”.
Certamente l’evoluzione tecnologica del mezzo aereo, dei relativi sistemi di automazione hanno  consentito di svolgere i compiti del pilota con un minor e costante impegno sui comandi di volo; la data anagrafica del velivolo ha un’importanza relativa soprattutto se le manutenzioni ed i controlli vengono fatti con regolarità e scrupolo, ma è ormai acclarato che oltre il 70% degli incidenti di volo sono dovuti non a problemi tecnici, ma ad errore umano,  quale causa primaria.           Cioè, oltre la formazione,  la professionalità, la perizia degli equipaggi di volo, anche il loro adeguato equilibrio psico-fisico, dovrebbe essere in primo piano  per le diverse compagnie aeree, e soprattutto  per le istituzioni preposte alle verifiche periodiche. Ma è davvero così?
Per diventare piloti del trasporto aereo bisogna avere un’ottima idoneità psico-fisica certificata e rilasciata dopo visite particolarmente approfondite presso centri aeromedici dell’Aeronautica Militare, o analoghi negli altri Paesi, che curano sia i controlli per i piloti militari che per quelli civili, su delega dell’ENAC.

Dopo tale controllo iniziale in cui anche l’aspetto psicologico e della personalità (equilibrio, adattabilità, autostima, motivazione, ecc) sono esaminati con particolare cura, ed ha una validità di un anno, il “rinnovo” può essere effettuato presso  un numero più vasto di centri medici e comunque le visite sono meno ampie ed approfondite di quella iniziale. In effetti, i controlli per il rinnovo sono finalizzati a certificare l’idoneità fisica con puntuali verifiche sugli arti, sul sistema respiratorio, su quello cardiologico, sulle capacità sensoriali della vista e dell’udito, con una specifica anamnesi del periodo, ma  in pratica per quanto attiene agli aspetti mentali o psichici, poco o nulla viene ri-controllato, a meno che non sussistano palesi o dichiarati  disagi  o malesseri nel settore specifico.  Infatti, il controllo periodico annuale non prevede, e non solo in Italia, la visita da parte di uno psicologo e neppure di uno psichiatra per la verifica della stabilità mentale e del mantenimento della relativa idoneità psichica del pilota: la si dà per acquisita con validità indefinita, mentre essa ha -più delle altre- il carattere della temporaneità. Né tali controlli possono essere surrettiziamente sostituiti da quei centri volontari di ascolto che alcune compagnie hanno istituito nei  loro ambiti con  l’assistenza  di psicologi e personale del settore che si occupano, autonomamente, di aspetti e problemi familiari e di vita, fasi depressive, abuso di droghe, e  altre problematiche affini.
Se è vero che le indagini di un disastro aereo come quello dell’Airbus 320 della Germanwings richiedono tempo e una profonda analisi delle reali cause e concause che l’hanno provocato, è altrettanto vero che dalle dichiarazioni delle autorità preposte, sulla scorta del contenuto della sola scatola nera finora rinvenuta,  sembra emergere “la volontarietà” del copilota nell’ipotesi di un suicidio singolo e collettivo al tempo stesso che ha causato la morte di 150 persone. Anche a prescindere dalle motivazioni  del gesto, che i media dicono ora essere state influenzate  dal timore di quel pilota di non superare il prossimo controllo per problemi di vista, appare doveroso interrogarsi sull’efficacia delle procedure esistenti per garantire la piena idoneità sul piano psicologico e della loro stabilità mentale, ovvero se esiste qualche fattore di stress  rispetto al quale i controlli ora previsti non sono sufficienti  a rilevarlo. Non bisogna fasciarsi la testa, ma se l’ipotesi del suicidio appare comunque probabile, contiene anche la spiegazione finale di un disagio mentale sofferto e nascosto dallo stesso pilota, che ha così voluto sconfiggere la morte -con un “coraggio” incredibile e anormale- decidendo follemente lui il momento di lasciare questa vita. Chissà se la deregulation ha avuto un peso nell’imporre ritmi stressanti di volo  con scarse possibilità di recupero; chissà se la regola della presenza costante in cabina di 2 persone avrebbe evitato la tragedia; chissà se il motivo scatenante possa essere stato la preoccupazione di non passare il prossimo controllo a causa dei suoi problemi alla vista; chissà se il timore e la forma depressiva per la preoccupazione della perdita del lavoro a cui teneva in modo particolare, hanno giocato un ruolo primario scatenando la drammatica e folle decisione di dirigere l’aereo sulle montagne francesi.  Che, comunque, appare suffragata da estrema fragilità psichica non riscontrata nelle sedi opportune, su cui è invece  necessario fare mente locale valorizzando fin d’ora tale lezione appresa. In sostanza  le compagnie aeree e gli Enti di vigilanza dovrebbero monitorare la stabilità e l’idoneità psicologica del personale aeronavigante, richiedendo nell’ambito dei controlli periodici annuali di idoneità anche una puntuale verifica psicologica con controlli psicometrici mirati. La sicurezza del volo richiede dei ripensamenti sulle regole esistenti; sulla mandatorietà delle 2 persone comunque presenti in cabina per poter gestire la condotta del volo anche in condizioni di sovraccarico, in caso di emergenze, oltre che per evitare azioni disastrose come quelle ipotizzate, non ci possono essere dubbi. Ed è altrettanto necessaria una rivisitazione dei controlli periodici prevedendo di eseguire anche quelle verifiche sulla “mente” che devono avere la stessa priorità e importanza di quelli prettamente fisici: ci vuole forza e coraggio! La forza nell’imporre tali regole affinché non siano viste e percepite come le verifiche “di gente pazza”, ma quale check indispensabile per la sicurezza del volo e dei trasportati; il coraggio di dover affrontare eventuali problematiche conseguenti e correlate con la particolare professione ed il rischio insito nel volo, anche  con la consapevolezza che alcune devianze e malesseri rispetto ai parametri del reclutamento iniziale, possono essere causati  proprio dal particolare ambiente stressante in cui sono chiamati ad operare i piloti.

Non solo; tali controlli dovrebbero essere estesi a chi, per aria o per mare, è in Comando di Unità da cui dipende la vita di altri, in cui l’idoneità mentale, la maturità e l’equilibrio devono sempre andare a braccetto e declinarsi con la professionalità e l’esperienza dell’individuo per garantire la propria sicurezza e quella della gente che  trasporta.
In una società sempre più fluida e liquida tentare di capire la mente, il pensiero, le ansie, le inquietudini e le fragilità dei giovani, non solo dei futuri aviatori, è d’importanza fondamentale tanto più nella fase della loro formazione  nell’ambito di un processo educativo complesso che li porterà a divenire Comandanti di Nave o di aereo, ovvero manager di importanti aziende.
Nelle esperienze personali  operative che abbracciano diversi lustri nel Comando di Unità Navali, e altrettanti passati volando, ma soprattutto per i lunghi periodi trascorsi nel compito delicato della Formazione degli Allievi Ufficiali,  ho spesso dovuto constatare una limitata attenzione “scientifica” e sensibilità alle tematiche della sfera psicologica, ed alla sua reale crescita in armonia con gli ambiti di lavoro. Anzi, proprio per la cultura italica di natura fideistica e scaramantica, sussiste una sorta di distacco e incredulità “naturale” nei confronti della mente, classificando spesso chi si rivolge agli specialisti psichiatri, gente “fuori di testa”, quando non pazzi… e, comunque, è sufficiente l’atto di chiedere supporto a tali specialisti per averne detrimento professionale e sociale: questa è la nostra realtà culturale, che piaccia o meno. E i riflessi si vedono ovunque,  tenuto conto che proprio in Italia sussiste la più alta percentuale di giovani dediti all’uso di droghe di vario genere, con le fobie giovanili  in netto aumento e anche con comportamenti ossessivi, quindi con una fragilità comportamentale bisognevole di assistenza e supporto  psico: disagi che li fanno sentire inadatti in certe situazioni e perfino a vivere, con difficoltà estreme ben maggiori del superamento di qualsiasi stress fisico.  La formazione di  gente che dovrà assumersi precise responsabilità pubbliche non può prescindere da una valutazione e monitorizzazione successiva dello stato di salute mentale; in tempi ormai lontani e non sospetti,  non influenzati da questa tragedia della Germanwings, ecco alcuni passaggi di una missiva scritta a cavallo del Millennio all’argomento, per  la valorizzazione psicologica degli Allievi Ufficiali dell’Accademia Navale:

… il nostro Istituto da sempre produce Ufficiali di ottimo livello, ben istruiti e ben educati secondo la antica, ma sempre valida ,formula Mazziniana; i tempi cambiano e le procedure devono adattarsi , seppure con grande buon senso e nel rispetto dei valori tradizionali ,alle attuali condizioni ed evoluzioni della moderna società. Non si forma  più  l’allievo con il ‘chiuso’ rigore di un tempo, ma sicuramente nel rispetto della disciplina consapevole ed interiorizzata, delle regole,dell’orgoglio di appartenenza, del credo nella Patria e con un sempre spiccato spirito di servizio verso la comunità,che spesso si dilata- soprattutto in mare- a dimensioni globali. Contrariamente ad una formazione chiusa e dogmatica, sempre più e’ necessario spiegare, comunicare,mettersi in gioco e confrontarsi con il mondo che avanza e, quindi , anche con i discenti,senza timori, ma con la forza della esperienza, della professionalità e della propria leadership; in altri termini bisogna non chiudersi ma cercare di fare il possibile per capire ‘che materiale umano’ si ha a disposizione, cercare di conoscerlo anche negli aspetti più reconditi e, quindi, cercare di formarlo quale uomo,quale militare, quale Ufficiale….il marinaio viene di conseguenza.
Anche oggi, come ieri, noi formiamo adeguatamente  il Guardiamarina sotto il profilo della istruzione ;oggi a maggior ragione con il conseguimento della Laurea ,superando numerosi ed impegnativi  esami nel corso dei vari anni accademici e delle prove, test  e compiti che vengono fatti per saggiare periodicamente la crescita ‘culturale’ dell’allievo; lo stesso si può affermare per  la preparazione fisica con tutte quelle attività che quotidianamente vengono svolte per crescere nel fisico, per irrobustirlo e renderlo ,poi ,pienamente idoneo a svolgere quei compiti, e a far fronte a quelle specifiche  esigenze connaturate con la variegata vita dell’Ufficiale di Marina.
La medesima affermazione si può fare anche per quanto attiene la preparazione professionale che viene accresciuta con una serie di attività ben calibrate nel corso degli anni ,ad iniziare dalle Campagne Estive fino al conseguimento della Abilitazione alla Guardia in plancia: anche in questo settore si insegna, si da’ la conoscenza, si danno lezioni teoriche e pratiche, si fanno adeguate valutazioni dei singoli, si fanno le opportune verifiche…e cosi’ vale per tutti i settori formativi che afferiscono l’allievo.  Per la verità tutti meno UNO, che e’ invece della massima importanza e che riguarda l’ambito ed il profilo psico-attitudinale (e quindi personologico, di adattabilità ambientale, di equilibrio, e  anche motivazionale …)dell’ allievo e del futuro Ufficiale di Marina.  Credo che in questo settore ci sia ancora davvero molto da fare, ma -come ho sempre sostenuto-, ci vuole tanta FORZA e CORAGGIO .
Gli aspetti psico mi hanno sempre  interessato ed  intrigato, ma al di là del sintetico giudizio che gli psicologi e soprattutto gli psichiatri compilavano per ogni allievo nella fase selettiva concorsuale, di fatto – nel corso del periodo accademico- non esisteva alcun programma di formazione, di crescita, di valutazione e tantomeno di verifica!!    Il mio approccio iniziale fu assai critico nei riguardi dello specifico settore : non credevo che anche le valutazioni psico fatte durante  la selezione avessero un significato ed un peso per la valutazione vera e per il ‘successo ‘ dell’allievo  (e tanto meno quale Ufficiale) nel periodo accademico. Emerse l’idea di studiare un ALGORITMO DEL SUCCESSO, inserendo, per la selezione, diversi fattori (voto di diploma, tipo di maturità,istituti di provenienza,eventuale frequenza universitaria, voto di italiano, voto di matematica, prova PA1, prova PA2…)in una equazione fatta di sette monomi; si trattava ora di verificare con i dati ‘storici’  e con le statistiche alla mano quali fossero  le caratteristiche peculiari degli allievi che avevano superato il concorso e quale fosse , quindi , il peso ponderale  da associare ad ogni monomio (fattore K)per capire , individuare e quantizzare  le specifiche qualita’ di coloro che avrebbero  avuto successo per entrare e per completare favorevolmente l’iter accademico.  Con mia grande sorpresa  si riscontrò con ‘ n’ reiterazioni e andando a pescare anche gli anni delle classi storiche, che i k dei vari fattori ipotizzati erano tutti inferiori all’unita’, mentre quelli  inerenti alle prove PA (psico attitudinali) erano del valore pressoché doppio,pari  a circa 2. I dati a disposizione furono tabulati con estrema accuratezza  e  certosina attenzione  fu posta nel trasferire in modo coerente certe valutazioni in dati numerici, talché alla fine si giunse ad un valore di probabilità Gaussiana superiore al 75%: ciò stava a significare che i dati introdotti ed i vari k erano assai affidabili e, soprattutto, attagliati a quelli che doveva possedere l’allievo Cicillo Esposito per avere successo in Accademia , e dopo come Ufficiale di Marina.  Ebbene sì, anche come Ufficiale di Marina ,perché non ci si fermò all’Accademia, ma si misero a riscontro- pur tenendo conto di altri fattori aggiuntivi – anche valori e dati afferenti  fino al grado di Capitano di Corvetta.  Fu prodotto uno studio corposo in cui erano sintetizzati tali risultati. Chiaramente il mio approccio agnostico nei confronti del valore delle prove  PA e della incidenza anche nel SUCCESSO di un allievo fu demolito da tali evidenze e da allora (ma non solo per quello, ma per ben altri eventi ed  esperienze..) ho sempre cercato di annettere la giusta importanza e rilevanza agli aspetti psico e attitudinali nella formazione prima ,e nella gestione dopo, del nostro personale.
Cercai quindi di strutturare un servizio psico che soprattutto fosse ‘aperto’ in modo che ogni allievo potesse accedere allo psicologo senza che fosse etichettato come un pazzo da parte degli Ufficiali Sottordini o della Classe solo per aver chiesto di colloquiare con gli esperti psico; non fu facile ma portai il servizio all’interno dell’area allievi, in Galleria; così l’allievo poteva accedere senza alcuna formalità, ed in modo ‘open’ a tale importante servizio.
L’unico vero problema era la carenza, nel settore, degli psicologi che poi, negli anni successivi,furono formati ed ora sono presenti in numero più che ragguardevole; tuttavia non e’ solo questione di numeri ma di qualità, esperienza e soprattutto volontà nel dare corpo e sostanza  ad  un progetto psico che consenta , partendo dal giudizio espresso in fase concorsuale, di approfondire tutti gli aspetti della personalità dell’allievo con una monitorizzazione che deve essere simbiotica fra esperti psico e Ufficiali preposti  ; con ‘un ascolto’ da parte dei professionisti psico  che deve essere dettagliato e mirato , oltre a fornire quel bagaglio di conoscenze ai discenti e consulenze ai responsabili della attribuzione del voto di attitudine e delle valutazioni  di  casi particolari il cui trend e’, purtroppo,in aumento. In altri termini bisogna comporre un profilo psico per ogni allievo , con alcune aggettivazioni che ne delineino la personalità, lo spirito di adattamento,il senso dell’ equilibrio, l’ emotività  ecc, spiegando con semplicità come possono  essere rilevati anche da osservatori esterni, al fine di impostare una certa standardizzazione nelle valutazioni   per esempio da parte dei Sottordini ;in sostanza si tratta di disporre di una sorta di ‘ Pandetta personale psico’ che segua l’allievo per tutto il periodo accademico (ma che, a mio avviso dovrebbe essere di supporto anche per la scelta delle varie specializzazioni e finanche per l’impiego!).
Tuttavia l’osservazione e l’ascolto sono necessari ma non sufficienti; è inoltre imperativo che si trovi la FORZA di strutturare dei test ,da sottoporre agli allievi, graduati nel corso degli anni in modo da capire se c’e’ stata crescita nelle diverse componenti psico, oppure stagnazione, o ancor peggio involuzione. Test  ne esistono oggi di varia tipologia ma i nostri psicologi debbono fare questo sforzo scegliendo tra gli esistenti purché idonei allo scopo, altrimenti modulandoli ‘ad hoc’:compete loro in modo inequivocabile e oggi non esistono più scuse come ai miei tempi.  Hanno l’esperienza di quasi 10 anni e devono dedicarsi a tempo pieno alla testologia dei nostri allievi: questo, d’altronde, e’ un loro compito primario.
Al  termine di ogni Anno dovrebbe essere fatto un test generalizzato e, sulla base delle risultanze, l’Accademia ne potrebbe tenere di conto anche in sede di Consigli di Disciplina per supportare la valutazione complessiva dell’attitudine professionale dell’allievo da un lato, e, dall’altro fare una attenta analisi dell’andamento complessivo psico per trarre spunti per migliorare, se non ottimizzare, le varie attività che incidono o influenzano   gli allievi ed il loro comportamento , ma soprattutto il loro pensiero ed il modo di essere.  Non solo, tali elementi caratteriali e comportamentali devono entrare nelle scelte per i Corpi,  cosi’ come nella scelta delle diverse categorie e specializzazioni (per esempio non si dovrebbe scegliere un allievo per il corso di pilotaggio se ha un alto livello di emotività, ecc).
Per fare tutto questo, ci vuole CORAGGIO, perché se scoprissimo che la gran parte degli allievi , anziché migliorare il loro carattere, la loro adattabilità ecc , nel corso degli anni diventano più fragili,più rigidi…con una involuzione delle loro caratteristiche psico ….beh  allora si dovrebbe  mettere mano, in modo assai piu’ incisivo, a tutta la formazione: ma io credo ne valga la pena! L’Accademia ha bisogno  di un servizio psico degno di tal nome, ma soprattutto all’altezza delle esigenze che l’allievo  ha oggi , delle aspettative formative che devono essere sostanziate e non piu’rinviabili…”  

Un  escursus di esperienze sul  piano psicologico da valorizzare,  per coprire i “buchi” formativi  esistenti!
Non dobbiamo comunque illuderci che una maggiore sensibilità nei confronti del complesso sistema  mentale possa escludere fatti simili a quelli della tragedia dell’Airbus, ma di certo bisogna avere quel coraggio di ripensare alle regole, soprattutto di quelle afferenti quei controlli psico-attitudinali dando loro la stessa dignità e priorità di quelli fisici per coloro che svolgono compiti di elevata responsabilità sociale; non avremo risolto tutti i problemi della sicurezza di chi vola o di chi naviga, ma sarà comunque un grosso passo avanti  per eliminare un anacronismo in termini e così  “spuntare e assistere” chi manifesta gravi  devianze e malesseri psicologici, consci che la normalità riscontrata in un certo momento non esclude dunque la futura presenza di disagi e malattie della mente: allora anche la tragedia dell’Airbus non sarà stata completamente inutile e tutti avremo almeno la coscienza più sollevata per aver posto in atto adeguate misure che ne evitino il ripetersi, in futuro!

Giuseppe Lertora