ricerca-1Europa ‘bacchettata’ nella lotta alle epatiti. Secondo uno studio presentato al Congresso internazionale sul fegato in corso Vienna, infatti, la scarsità di indagini e di screening sull’epatite B e C in molti Paesi europei, rischia di indebolire gli sforzi per identificare le persone infette. Il monito arriva da un team internazionale, che ha esaminato 136 studi. Un quadro in cui, però, l’Italia emerge in modo positivo.

L’esame sistematico condotto sulle ricerche in questo campo mostra carenze preoccupanti in molti Paesi Europei. Al momento, sulla base di articoli pubblicati e degli abstract dei congressi, solo sei dei 53 Paesi dell’area europea dell’Organizzazione mondiale della sanità appaiono sensibili a questo tema: Turchia, Germania, Italia, Francia, Olanda e GB. I risultati, poi, indicano che alcune popolazioni ad alto rischio sono state studiate molto più di altre, e questo solo nel piccolo gruppo di Paesi ‘sensibili’.

“E’ chiaro, dalla nostra analisi, che ci sono gap cruciali nella nostra conoscenza sull’epatite B e C” e sugli screening, commenta Jeffrey Lazarus della Copenhagen University (Danimarca): “Il nostro team di ricerca è preoccupato, in particolare, per il basso numero di pubblicazioni sui migranti, i carcerati e gli omosessuali, tutti gruppi di popolazione che potrebbero beneficiare molto di interventi mirati sulle epatiti”.

“I virus che colpiscono il fegato – conclude Tom Hemming Karlsen, componente del comitato scientifico dell’Easl (Associazione europea malattie del fegato) – come l’epatite B e C, possono creare problemi importanti se non identificati e trattati precocemente. Dobbiamo aumentare l’attenzione e incoraggiare attivamente la pratica di test in tutta Europa. Un aspetto vitale per la diagnosi e il trattamento, ma anche per fermare la diffusione di questi virus nelle future generazioni”.