Esclusiva  in Italia  o nel Mediterraneo.

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Nell’attesa dell’uscita del Libro Bianco alcuni attenti analisti e osservatori hanno affrontato con giuste valutazioni e opinioni il futuro assetto della Difesa italiana; altri, ignorando poco saggiamente quel particolare mondo, hanno messo “la testa in cassetta”, schierandosi apertamente per le soluzioni ipotizzate dal L.B., senza avvalersi di un minimo di critica, ma con una piaggeria servile tipica di altri tempi. Convinti della valenza positiva della critica, quella costruttiva  s’intende, e del fatto che l’esperienza ed  i fatti oggettivi debbano prevalere su posizioni ideologiche o di bottega,  che non danno invece quasi mai la garanzia della correttezza informativa, appare necessario argomentare in modo più approfondito sul L.B. stesso, in una sorta di dibattito virtuale,ma non per questo meno importante.
Che il Libro Bianco in corso di emanazione, con presentazione il 21 aprile, non fosse un condensato  di esperienze  e vision geopolitiche e geostrategiche,  era chiaro; altrettanto che avesse lo scopo di prendere tempo per decidere sulla spinosa questione degli F-35; assai meno,  che non tentasse di individuare e valutare  le minacce ed i rischi futuri;  ancor meno che destinasse i militari a fare compiti non propri come quelli di pubblica utilità e ambientali-sociali;  era invece ben  comprensibile, fin dai suoi lineamenti, che costituisse una qualche giustificazione, un modo per ridurre gli organici, e soprattutto le risorse finanziarie: che si limitasse a prevedere l’impiego futuro della Difesa in interventi esclusivi di  geometria “ital -politica”, confinata  nel “noantri” anziché geo (politica), sembra davvero stupefacente.
Le aspettative erano assai diverse; ci si attendeva un L.B. con un’ampiezza che auspicabilmente doveva collocarsi fra ciò che gli anglosassoni, e non solo loro, fanno con lo SDSR, lo Strategic Defence and Security Review, un documento di largo respiro, periodico, che parte dalla valutazione delle minacce per arrivare al dimensionamento delle Forze Armate, coniugato con  quello della “ Defence Review” , la periodica rivisitazione della Difesa e Sicurezza,  che tratta di geopolitica e di geostrategia, di policy della Difesa anche in coordinamento con i Servizi della Sicurezza Nazionale, ma contiene anche  le raccomandazioni riorganizzative del comparto, con una spiccata tendenza alla delega politica delle responsabilità  da un lato, e dall’altro ad un accorpamento interforze per le acquisizioni dei sistemi e per la logistica complessiva.  Sfortunatamente  l’approccio del  L.B. sembra essere avulso dal comparto dei “ Servizi”, responsabili della Sicurezza Nazionale, ora  separati dalla Difesa, ma  che sono pur sempre coloro su cui ricade la responsabilità di informare, di valutare le minacce, di prevenirle  e di lavorare fianco a fianco con le FFAA, proprio per   i necessari interventi  in base a quel prioritario assunto della” Homeland security”, avvertito così diversamente in altri Paesi.
L’iniziativa del L.B. è comunque comprensibile, e non tutto il tomo può essere ridotto ad un prodotto inutile; parecchie voci e opinioni si sono alzate con critiche nel merito e nel metodo, altre con molta retorica, ed in qualità di tuttologi, hanno cosparso di melina le varie idee, pur essendo a digiuno di Difesa,  forse per compiacere agli autori, ma anche per cavalcare l’onda pacifista, buonista e antimilitarista degli intellettuali che pervade in larga misura i nostri media.   In effetti, non si possono condividere alcuni (ir) razionali, né le ambiguità, né tutti quegli interrogativi che pone ma che restano  -almeno per ora-  senza puntuali risposte : è un tomo che poco innova e che resta, per la sua natura “amarittima”, un libro “sciapo”.  Il  pregio, secondo alcuni “esperti’ plaudenti  è quello  di dedicare la futura Difesa , esclusivamente, al territorio nazionale e al Mediterraneo, tagliando gli  interventi  lontani anche  per le esigenze della sicurezza e della comunità internazionale, di cui comunque , volenti o nolenti, facciamo parte.
Se la nostra presenza nelle missioni internazionali è ritenuta eccessiva, e s’impone una drastica riduzione rispetto agli attuali 30 impegni nei diversi teatri, ben venga; se le alleanze non ci tutelano più e dobbiamo attrezzarci per garantire la nostra sicurezza, ben venga la  definizione ed il dimensionamento dello strumento  necessario e sufficiente, che non può  tuttavia relegarsi  ai soli teatri  di casa, ma che di massima dovrebbe mantenere la capacità di gestire un intervento ampio in Mediterraneo,  con la possibilità, aggiuntiva, in termini Expeditionary, di  un intervento di limitata intensità anche all’esterno, quando e se necessario.   Ergo, uno strumento che abbia soprattutto ampie  e variegate capacità aeronavali, ottime capacità di sorveglianza aerea e  combat, con un esercito commisurato  alle esigenze di una guerra convenzionale non allargata e di contro-insurrezione. Uno strumento virtuale, se non è  comunque confrontato con le minacce future;  che, secondo studi seri,  gravitano soprattutto nel Mediterraneo,  senza però  scordarsi di “quell’arco  di instabilità geostrategica” che parte dall’Iran e passa dalla penisola Arabica, dallo Yemen e dal Corno d’Africa, incluso il bacino somalo, e si estende nei paesi costieri del Mediterraneo, raggiungendo  la Nigeria, con la presenza di sensibili minacce dovute a rivolte tuttora in corso o latenti, ai paesi sconvolti dalla guerra civile, alla nefasta presenza dell’ISIS con la pretesa –speriamo solo mediatica?- di conquistare e bruciare Roma: allora, o abbiamo gli occhi foderati di prosciutto, oppure abbiamo scientemente fatto una valutazione  del tutto errata e contraria alla realtà fattuale, oltreché a quella che,presumibilmente, si verificherà nel prossimo futuro.   Potremo non considerare, forse, la presenza e la partecipazione agli altri 2 archi di instabilità, perche “non nel vicinato”: quello che parte dall’India e si estende verso l’Indonesia e la Micronesia, meno turbolento del nostro, ma con situazioni minacciose legate alla pirateria, al contrabbando e all’immigrazione clandestina. Infine il terzo, quello che va dalla Cina Meridionale a Taiwan fino alla Corea del Nord, gravido di tensioni e minacce non solo per i predetti fenomeni ma anche per le conflittualità statuali e geostrategiche esistenti  fra le Coree, le pretese cinesi sul dominio marittimo in contrasto con il Giappone e pure con gli USA.
Gli studiosi, quelli veri, hanno contezza delle minacce attuali e riescono a fare “assessment” su quelle  future, che non sono limitate al “nostro orticello”, e anche di “come”, con quali strumenti, navali più che di altro tipo, bisogna che una Nazione sia dotata per tenerle sotto controllo e, all’occorrenza, intervenire per “calmare le acque”.   Il loro consiglio, consequenziale, individua  l’essenzialità  di disporre quindi di una capacità aeronavale e marittima di  rilievo, con almeno due gruppi di altura centrati su Capital ships, portaerei o Unità maggiori in grado di esprimere  e proiettare adeguate capacità di Comando,  multi- task  e poliedriche, sia in termini di “soft power” a braccetto con gli Esteri, sia- ove necessario-  quale “hard power”.  Quelle reiterate “incertezze strategiche” cui si riferisce il L.B. potrebbero così essere concettualmente soddisfatte dalla nota flessibilità e capacità dello strumento navale, anche in quel “vicinato” che potrebbe tuttavia essere “troppo esteso”, per esempio, per il raggio di azione efficace degli aerei basati  a terra. Pur senza riferirsi agli sbarchi in Normandia, è di tutta evidenza  che la disponibilità navale di trasferire una Brigata anfibia in prossimità di un’area di crisi, con la presenza anche di Forze speciali, rappresenti  una deterrenza notevole, e contestualmente , stando in acque internazionali non risulterebbe  invasiva, né abbisogna di alcuna autorizzazione particolare: ciò consentirebbe anche al politico d’avere il tempo necessario per  ben valutare lo sviluppo della crisi, prima di prendere le conseguenti decisioni. Chiaramente, nel caso di sbarco anfibio reale, sarà necessario disporre di un supporto aereo diretto che potrà essere garantito primariamente dagli assetti aerei della portaerei nelle vicinanze. Si tratta quindi di disporre di uno strumento flessibile, mobile, multi- task, multi missione e tempestivamente proiettabile su cui poter contare, come peraltro  la Marina ne ha dato ampie prove nel tempo:  dalla missione Enduring Freedom in Afghanistan, all’Unifil, alla guerra in Libia, coniugando quel richiamato Icubo+Ecubo, in particolare per quanto attiene l’efficacia e l’economicità  e l’ampia autonomia Expeditionary, senza la quale gli altri termini valoriali possono anche annullarsi.
Nella  sparuta citazione delle limitazioni di intervento, invece il Mediterraneo appare più come un lago, una sorta di Terra di mezzo, che non è salmastro; non un Mare attraversato da navi e intrinsecamente  destinatario di quella Marittimità che sempre più ci costringe a fare i conti con l’immigrazione ormai ritenuta insostenibile dai più, con la tutela dei nostri marittimi civili, dei nostri pescatori che addirittura vengono minacciati  con tentativi di sequestro da parte libica. Il Mediterraneo, siccome  Mare, è sempre più teatro di minacce e rischi imprevisti ed imprevedibili come quello successo  l’altro ieri, in cui 13 poveracci solo perché avevano il peccato di essere cristiani, sono stati gettati a mare dai compagni di sventura musulmani: si sta avverando la profezia di Oriana Fallaci, quel pericolo di Eurabia, destino nefando dell’UE, della silente e graduale invasione europea con lo svuotamento dell’Africa musulmana. Un fenomeno, quello dell’immigrazione, che diventa oggettivamente insostenibile e perfino insopportabile in quanto ad enormità dei flussi e anche per  tipologia dei migranti mescolati, dicono alcuni, con terroristi o comunque mariuoli della peggior specie: quel fenomeno è una seria minaccia alla nostra stessa sopravvivenza, pur se avviene nella totale indifferenza europea, ma con l’appoggio  caritatevole della Chiesa.
Purtroppo, quando si tratta di sostenibilità, le idee terrene divergono da quelle di ordine celeste, e spesso anche da quelle politiche; cos,ì quando nel L.B., si evidenzia che le attuali FFAA  non sono più sostenibili perché il popolo italico non intende pagare pegno-Difesa oltre lo zero virgola, lo 0,85% del PIL, bisognerebbe far comprendere al cittadino che tale copertura assicurativa –per la propria difesa e sicurezza- è un obolo che corrisponde all’8 per mille versato alla Chiesa, ma che lascia ampio margine di rischio ed esposizione alle insicurezze e incertezze, in caso di malaugurato sinistro o conflitto.
Basta rammentare che quasi tutti gli altri Paesi occidentali, per  non parlare di quelli orientali (Cina, Giappone, India, ecc) investono sulla Difesa con risorse  doppie o superiori. Più volte si è ribadito che è compito del politico, del governo spiegare al ritroso cittadino nostrano  quel “moltiplicatore di forza”  che dovrebbe coprire tale “Gap del PIL”, per cui il soldato italiano è talmente più bravo degli altri che, nonostante sia male equipaggiato, meno addestrato e meno pagato dei  commilitoni delle altre Nazioni, con un salto triplo avvitato riesce a pareggiare i conti, ed avere quindi gli stessi risultati operativi. Ma se non si riesce a trovare quel K moltiplicatore o filler,  allora bisogna ammettere con onestà intellettuale che la resa, le capacità esprimibili, l’efficienza e l’efficacia del soldato italiano sono la Metà, altro che uguale agli altri! Le nozze con i fichi secchi, non riescono mai bene.
Questo è il primo quesito a cui rispondere, possibilmente in modo concreto, con i numeri e in modo trasparente!  Si potrebbe anche concordare che, in linea  puramente teorica, le FFAA vadano ridotte, e limitate ai soli interventi “caserecci”, ma se si pensa all’incremento delle incertezze e instabilità odierne, ai nefasti fenomeni contemporanei, alle crisi presenti in quel “vicinato prossimo” non meglio identificato dal L.B., il taglio di 50000 individui in 10 anni, fra militari e civili già programmati con i ragionieri del  governo Monti, sempre sulla pelle della gente, onde recuperare surrettiziamente risorse per l’ammodernamento ed il mantenimento dei mezzi della Difesa, allora qualche dubbio emerge sulla abnormità e perfino sulla liceità della manovra. Di botto, con illusioni e logiche di un Paese semi-serio e civil democratico, si è deciso di mettere un quarto degli organici in “cassa integrazione”, provocando una demoralizzazione diffusa  di tutti quanti; di più, sicuramente non sono digeribili quei numeri, ma ciò che non è per nulla condivisibile  è il “metodo” seguito ‘ certamente non innovativo, ma ad un tempo paradossale e conservativo. Fin dall’inizio era stata paventata  e temuta una “pantografatura” delle forze esistenti; un esercizio elementare che scontentava tutti e nessuno, con un equilibrismo tipico italico che si basava sulle spartizioni  storiche di risorse, decurtate percentualmente in ragione degli organici presenti:  a prescindere da vere ragioni di una qualche ristrutturazione, dalle minacce ipotizzate, e dei  rami  secchi  esistenti.
Il taglio ragionieristico è  percentualmente lineare, ma privo di metodo e di merito;  bisognerebbe allora spiegare quali siano minacce così uniformemente distribuite che portano a disporre, nel futuro,  di un esercito di oltre 100000 militari, di 42000 aviatori e di circa 31000 marinai: forse l’unico metodo è stato proprio quello deteriore, ma più comodo e “politically correct”, del pantografo, da sempre lo strumento più usato, quando non si ha il coraggio di cambiare davvero. Dai risultati sembrerebbe che il centro di gravità delle minacce sia ancora oltralpe, con una lotta di posizione presunta che richiederebbe oltre una decina di Brigate sulla famosa “soglia di Gorizia”, e per la parte aerea sembra persistere la minaccia di un’invasione della flotta  aviatoria dell’ex-URSS che dovremo noi contrastare con centinaia di velivoli intercettori e cacciabombardieri, per la difesa del nostro spazio aereo. Ma se davvero qualcuno  pensa  che quello sia il centro di gravità  delle minacce, e perciò vengono ridotti  col solo pantografo,linearmente, gli organici delle tre FFAA, carabinieri a parte, allora significa che continuiamo a vivere  nel pleistocene e  a poco servono i richiami alla creatività, all’inventiva, alla trasformazione,  inneggiando ad un fantomatico Nuovo modello organizzativo della Difesa ed a un più snello strumento operativo con caratteristiche Icubo+E cubo, dimenticandosi la E più importante che sta per Expeditionary e che, in realtà, solo la Marina possiede. Desta meraviglia che, invece, gli artefici  del L.B.  non capiscano che la geografia  e la marittimità hanno da sempre avuto un ruolo determinante per il nostro Paese; dall’Impero romano che non a caso ha posto la sua sede a Roma, alla cristianità che pur essendo nata in un’area sperduta si è trasferita  nella “caput mundi” per la sua diffusione, accompagnando le legioni imperiali anche nelle regioni più sperdute: una strategia politico-religiosa-militare che si basava anche su  una flotta capitanata da un “navarca” dello stesso rango dell’Imperatore,  per garantirsi i commerci ed il dominio sui mari, avendo  piena consapevolezza  della minaccia della pirateria e di quella del mondo musulmano che, se non affrontate adeguatamente , l’avrebbero messa in ginocchio.
L’Italia, per intenderci, e la sua identità,  insieme con i suoi problemi,  ma anche la sua civiltà e antropologia, derivano naturalmente dalla sua posizione geografica difficilmente eguagliabile; la marittimità o nel caso nostro la mediterraneità italiana è  stata considerata dai posteri, quasi sempre, una preziosa indicazione a fare del legame con il mare un momento ed un elemento importante dell’identità del Paese, e perfino –seppure con alterne difficoltà- più e meglio di altri paesi,  il volto e insieme il braccio mediterraneo dell’Europa. Un retaggio di storia, di sconvolgimenti, d’invasioni, di ricorrenti minacce dai paesi nordici e levantini; oggi più che mai dovrebbe essere chiaro a tutti, esperti o meno di geopolitica, che la tutela del traffico mercantile in transito da Suez e da Gibilterra e la libertà nelle SLOCs, linee acquee di comunicazione, sono d’interesse nazionale sul piano strategico e perfino vitali per la nostra sopravvivenza, giacché attraverso il Mediterraneo transita il 90% dei nostri generi alimentari e il 70% circa delle risorse energetiche. E’ una questione di raziocinio quella di considerare il Mare un coagulo di aspetti pregevoli, ma anche quello da cui si possono creare o trasmettere delle minacce terribili; è  quindi  qualcosa che tocca organi  vitali, “di cervello, ma anche di pancia”. L’interrogativo che emerge, dunque, è il seguente: perché il L.B. non ha considerato nel loro peso ponderale le minacce correlate alla marittimità dell’Italia, a fronte del predetto “arco di crisi del Mediterraneo Allargato” e di conseguenza non si è operato nel non ridurre, ma anzi aumentare le risorse della Marina che sarà sempre più in prima linea,  preferendo adottare metodologicamente “il pantografo”? Un maggiore e più sensato “Realismo politico” finalizzato a snellire gli impegni delle FFAA, e quindi a ridurre lo strumento, avrebbe iniziato col ritiro dei contingenti oltremare a cominciare dall’Afghanistan, dall’Iraq, in gran parte dal Libano, e cosi’ via; di seguito avrebbe dovuto cessare ogni  attività impropria dei militari impegnati da anni nell’ordine pubblico, nella sorveglianza ai rifiuti, ai centri di accoglienza immigrati: invece il L.B. riduce i ranghi ed aumenta i compiti soprattutto quelli “non militari” dando disponibilità per compiti di pubblica utilità, sociali, ambientali, ecc!  Controsensi e surrealismo pratico!
Il parto del L.B. è frutto di un insieme di “esperti” esterni alla Difesa, e dei suggerimenti  dei vari social anonimi e pacifisti che notoriamente vorrebbero chiudere i rubinetti alle FFAA, ma sembra che “le intelligenze interne” con le stellette siano state escluse; un approccio singolare, un po’ balzano che soprattutto non considera le esperienze del militare e la sua voglia di cambiare. Forse qualche ragione c’è, anche storica per questa sconsideratezza che tocca direttamente anche gli organi di rappresentanza, il COCER, la cui assenza denota una scarsa sensibilità alla voce del personale, anche sotto il profilo politico.      I più anziani l’hanno bene in memoria; basti pensare alla mancanza di considerazione dei vari ministri della Difesa, a partire dal –si fa per dire- pacioso, ma estremamente arrogante Spadolini che ha falcidiato le FFAA rivolgendosi a personale estraneo, per finire con Andreatta che, poco prima del 2000, assoldò un civile straniero, lo spagnolo  Saragoza, che non aveva alcuna esperienza nel comparto, né alcunché in comune con la stessa cultura italica, ma riuscì con un’autorità illimitata concessa e ben retribuita,  a sforbiciare a dritta e a manca l’organizzazione della Difesa, creando storture e buchi che a distanza di oltre 17 anni sono ancora evidenti: qualcosa di nuovo sotto il sole col copernicano L.B.?   Non c’è proprio d’aspettarselo, anzi.
Il razionale invocato da qualcuno è che siamo troppi perché impegnati su troppi fronti, circa 30 – anche se alcuni con 4 persone, come le isole Figi; mentre finora era importante la presenza anche della sola bandiera in una qualche coalition, a significare che se ne condivideva l’operato nel contesto internazionale, evidentemente ora anche la politica estera dell’Italia sta mutando radicalmente, se si arriva persino a sostenere che tali impegni internazionali, caratterizzati per lo più da infrazioni ai diritti umani della gente e quindi mirati a tutelarla, non corrispondono più agli interessi geopolitici dell’Italia. “Na bella scoperta, na bella pensata per ridurre i ranghi e le risorse”,  non c’è che dire!
La cosa paradossale è che, al tempo stesso, il L.B. invoca le diverse coalizioni ed Alleanze, dall’UE, alla NATO e perfino all’ONU per intervenire nel “vicinato esteso o più in là”, ma non ci si ventura nell’individuare con quali forze, con quale livello di integrazione, con quali sistemi capacitivi di uomini e mezzi dovremo e potremo contribuire, senza essere pericolosi per sé e per gli alleati soprattutto se impiegati in operazioni reali. Qualche commentatore plaude addirittura al fatto che finalmente è stata presa una decisione coraggiosa?! e le FFAA andranno impiegate solamente, in esclusiva, nel nostro orticello di casa, altro che spendere quattrini all’estero ed alimentare così le voglie di soldi e di indennità del marmittone!
Davvero un taglio “alto” che dimostra ancora una volta come nel nostro Paese la considerazione vera del politico e dei media verso gli uomini con le stellette, sia del tutto “contro” quel mondo di guerrafondai e parassiti:  la dimostrazione lapalissiana della cesura esistente fra la politica e un’autentica statualità, e quindi fra il sociale e il mondo militare. A ben vedere  la vision dell’orticello contrasta anche con il dettato costituzionale  per cui  “il ripudio della guerra”  di cui all’art.11, sbandierato  ignorantemente da finti pacifisti,  non implica che l’Italia  non possa prendere parte ad un conflitto armato; del resto gli articoli 78 e 87 stabiliscono quali organi dello Stato debbono intervenire per deliberare e dichiarare lo stato di guerra, anche se ne esclude l’impiego come strumento – aggressivo- di offesa, ma è del  tutto evidente che  “ l’Italia, promuove, favorisce e partecipa alle organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni” se del caso pur con “limitazioni di sovranità” non solo territoriali, ma anche  normative e giuridiche, per esempio  accettandone il transfer all’UE.  E’ vero che noi siamo machiavellici  quando vogliamo ( meno nei confronti dei 2 Fucilieri di Marina, detenuti da oltre tre anni in India, in cui il nostro ruolo più che machiavellico si potrebbe definire ponziopilatesco e indifferente ad ogni perdita di sovranità e dignità), ma  la curiosità di ciò che dirà all’argomento, nel prossimo Consiglio Supremo di Difesa, programmato per il 21 aprile,  il Presidente della Repubblica, quale Capo delle FFAA ,ma anche in qualità di massimo  garante e custode della Costituzione, è alta e pure legittima.
Chiamare in ballo Kafka può apparire fin troppo banale e scontato.
Nel Mediterraneo” sostiene il nostro premier “l’Italia  è  pronta per un ruolo da leader” che, alla prova dei fatti,  in termini di Difesa e Sicurezza non si è ancora vista, anzi. Neppure quando, dopo alcuni incidenti e vittime nostre in Libia, a seguito delle aperte e dirette minacce di ISIS  di occupare e distruggere Roma, e nonostante attacchi armati nei confronti di una motovedetta della Guardia Costiera in assistenza a migranti, abbiamo fatto un’ indecorosa  retromarcia , dopo che  i due ministri Difesa e Esteri avevano già sanzionato e dichiarato un nostro intervento  di  5000 militari con la nostra leadership: appena è stato chiaro che avremo dovuto mettere qualche “boots on the ground”, c’è stata un’ improvvisa tirata del freno a mano!  Quindi viene il naturale sospetto che quando si parla d’interventi nel Mediterraneo, per la propria difesa, si pensi più a una Terra di Mezzo, piuttosto che a un Mare che, se non Nostrum, dovrebbe essere almeno  Liberum; un Mare,comunque liquido, e salmastro, da sempre culla della nostra civiltà, dove è nato l’Impero romano e oltre ad esso, o con esso, quelle religioni monoteiste –cristianesimo, islamismo  e ebraismo- che oggi, con una riviviscenza più o meno attesa del fondamentalismo musulmano, intollerante e con mire da Califfato, costituisce di per sé una grave ed incombente minaccia alla sicurezza di tutti.  Significa, in soldoni,  che staremo nei pressi di casa, anche se abbiamo l’ambizione di collocarci fra le 6/7 potenze globali quando si tratta di fare graduatorie; se così è, onestamente dovremo  pagare un qualche scotto alla comunità internazionale per essere credibili, ed  esercitare un minimo di deterrenza: ma se abbiamo truppe “per noantri” soltanto, si corre il rischio di fornire quantità insignificanti e di preparazione opinabile, quindi  un contributo complessivo assai marginale.
Ma è questo il nostro livello di ambizione futuro?
Non si possono sottacere delle affermazioni del tutto prive di significato, almeno  sotto il profilo storico, per suffragare delle tesi inesistenti: “tanto l’Italia non andrà mai sola fuori dal Mediterraneo”!  Ebbene, si tratta di rispolverare un minimo di memoria; nel 2006 quando l’Italia, dopo l’attacco dei pirati ai mercantili Jolly Smeraldo e Città di Milano al largo della Somalia, inviò Unità della nostra Marina per tutelare quei nostri equipaggi imbarcati e per garantire le SLOCs, eravamo i primi e da soli; ancor prima in Vietnam per l’operazione “Boat People”, a seguire la crisi in Libano, e via dicendo. Purtroppo capita e non possiamo auto-escluderci in partenza da simili attività, anche come single-nation, per la tutela dei nostri interessi nazionali fuori dal Mediterraneo.
Un altro aspetto concettuale non va sottaciuto; da sempre è la politica estera che richiede il supporto dello strumento militare nelle situazioni di crisi, soprattutto con la presenza preventiva  di  Unità navali allo scopo di dissuadere, fare da demoltiplicatore delle tensioni, assistere la diplomazia attraverso la ben nota  caratteristica della Naval Diplomacy, tipica e connaturata con lo stesso strumento navale. Oggi, con la  riduzione dello strumento militare, si invertono “le polarità” ; la politica estera dovrà fare prima i conti con i limiti e l’impossibilità dei militari alla  partecipazione alle crisi  fuori area, e quindi sarà la mancanza di capacità militare a guidare o menomare gli interventi diplomatici e non viceversa. Mah!!
Come già evidenziato, un altro punto controverso, delicato e  dolente, checché ne possano pensare alcuni che non distinguono una nave da un carro armato, riguarda l’organizzazione “copernicana” futura del comparto della Difesa. Mentre può essere condivisibile l’accorpamento di alcune funzioni in merito all’acquisizione,” il procurement”di nuovi mezzi, che in buona sostanza già esiste con il Segredifesa ed è  a livello interforze, si nutrono seri dubbi sulle paventate sinergie della logistica, che si ricorda, è una prioritaria funzione “operativa” a supporto diretto della stessa efficienza e efficacia dello strumento militare delle  singole FFAA. C’è  il rischio è di avere un “carrozzone” inteso solo come ente amministrativo, lento, elefantiaco a cui non può “fregar di meno dell’operatività globale dello strumento operativo”, ma produrre scartoffie amministrative, trasporti, forniture comuni e altre simili amenità: tanto la responsabilità dell’approntamento delle capacità esprimibili ricadrebbe, in ogni caso, sui vertici delle singole FFAA!
E, in quanti anni e con quanti milioni di euro vedremo realizzati questi accorpamenti, affinchè vadano a regime?   Speriamo che almeno l’unificazione della formazione resti nei  cassetti, e  che le varie scuole e Accademie continuino nelle loro  specificità educative  senza miscelarne i colori, le motivazioni, e l’istruzione : nel pieno rispetto dei valori nella loro diversità, e di un corretto e perfino goliardico  spirito di corpo, essenziale per il marinaio, per l’aviere, come per il soldato. Non sempre l’unione fa la forza, soprattutto se le esperienze sono diversamente metabolizzate e sentite: rovinarle per il gusto di una trasformazione, per dire che si è “interforizzato” tutto e tutti, è  irragionevole e perfino folle.
A tal proposito sovviene richiamare il prioritario concetto dell’armonizzazione e dei criteri comuni, validi sia per l’acquisizione dei mezzi, qualunque sia il nuovo Ente a ciò preposto, sia per i criteri di efficienza operativa che le singole FFAA devono rispettare: una doverosa rivisitazione dovrebbe essere contenuta nel L.B., ma non vi è traccia. La Difesa attuale,sia nelle destinazioni operative reali, che nelle fasi di acquisizione dei sistemi, evidenzia delle notevoli differenze soprattutto nei criteri  che, quanto meno, potrebbero definirsi “eccentrici” e quindi poco armonizzati. Esiste pertanto uno squilibrio con appariscenti impatti operativi, strategici e perfino sul personale.  Senza fare i farmacisti, basta prendere il turn- over dei reparti fuori area, certamente influenzato da molti fattori, dalla logistica, dai sistemi impiegati, ecc, che  risulta praticabile solo se, per mantenere un reparto dell’Esercito o dell’aviazione rischierato, ne disponiamo di 5 in Patria, mentre per la Marina il ritmo operativo si attesta mediamente su un rapporto 1 a 3.
Va da sé che tale rapporto andrebbe armonizzato nell’ambito di tutte le FFAA, così come dovrebbe essere posto come criterio di efficienza generale per tutto lo strumento militare, un valore di efficientamento non inferiore al 65%, valido sia per la nave, sia per l’aereo, sia per il carro armato, in quanto oggi il mondo dell’IT lo può consentire già in fase di produzione, su qualsiasi mezzo. La differenza in quei valori  è  la misura della diversa efficienza e quindi della produttività che dovrebbe essere uno dei principi cardini del L.B.anche per tagliare laddove efficienza non c’è, o per acquisire mezzi che per tutti siano commisurati a quel valore del 70%: se ci sono numeri  troppo in difetto in termini di efficienza significa che, oltre a monitorare i mezzi, va guardata attentamente anche la quantità di personale allocato per tale funzione: e se del caso usare lì le forbici per riequilibrare il sistema.  Il criterio che il L.B. dovrebbe sostenere è  lo stesso per tutte le FFAA: il mezzo – che sia nave, aereo o carro armato, deve avere un’ efficienza del 70%  e per la sua turnazione ne occorrono quindi 3 e non 5; è chiaro? E se alcuni reparti, nonostante tale target, hanno organici in più, vanno tagliati con oculatezza, senza ricorrere al solito taglio lineare col pantografo, rischiando di tagliare anche dove c’è del buono, e lasciare bivaccare gli altri.
Poi, la verticalizzazione del Comando in un’unica struttura dello Stato Maggiore Difesa, con un approccio monolitico,  antitetico della richiamata flessibilità e prontezza, da superpotere senza evidenti deleghe di compiti e responsabilità, lascia quanto meno perplessi. Forse non è chiaro che già esiste un Comando Operativo Interforze COI, così come un Comando Integrato delle Forze Speciali COFS, che si occupano degli aspetti  operativi , della loro pianificazione e condotta, e che esercitano  il controllo delle operazioni Joint, vuoi quelle  normali che quelle speciali. Ma allora che si deve ancora “sinergizzare”, se non tentare surrettiziamente di fare un’operazione di estetica e collocare tutte le FFAA nelle mani di un “superuomo”?   Così i Capi di FA diverranno delle sorti di Ispettori con la responsabilità di approntare e fornire le forze capacitive di competenza,umane e materiali, anche se la borsa per la spesa  viene ritenuta più in alto. Non ci vuole molto per  ravvisare incongruenze palesi anche sotto il profilo logico e etico: ma se lo strumento e le capacità di una certa Componente non sono pronti, addestrati ed efficaci quando chiamati ad operare, magari a causa della mancata allocazione di risorse dal vertice Difesa, chi ne è responsabile? Sembra tornare a galla un vecchio concetto imperiale : “divide et impera….e panem circenses alle truppe!” Dividi, apparendo di accorpare, così comandi, anche se ciò  provoca rivalità e contrapposizioni; soddisfa, quindi,  il potere demagogico del politico che così, dando “pane e giochi”, tacita il malumore del soldato…: una locuzione latina, antica, che pare attagliarsi bene al nostro caso!
Della questione delicata del personale e dell’ineludibile progetto serio di valorizzazione della gente militare, col doveroso riconoscimento innanzitutto della loro specificità, scevra dalla PA, e l’eliminazione del famigerato istituto dello straordinario, e via dicendo,  si è già parlato a sufficienza , anche se qualche opinionista fa orecchie da mercante. In tale progetto bisogna coinvolgere  i Vertici e la rappresentanza dei militari, il COCER – per ora negletto anche nella stesura del L.B.-  che è  il raccordo politicamente corretto fra le istanze del personale e la classe governativa. Comunque, tenendo conto del fatto che, prima di fare assunzioni a tempo determinato -che avrebbero comunque il sapore di FFAA mercenarie, a tempo-  per tappare  “politicamente” i  buchi prodotti  dalla nota Riforma in corso, bisognerebbe garantire a tale personale che, dopo 6 o 10 anni di servizio non si trovi in mezzo ad una strada, ma ci si assicuri, e non a parole, del loro reinserimento nella vita civile. Promesse già fatte, a suo tempo, e poi mai mantenute con i poveri Volontari in  ferma prefissata di 4-6-9 anni, che al termine della ferma sono rimasti appesi, alla famosa quanto attuale “meteorologia politica”, sempre variabile e tendente al peggio!
In altri Paesi è vero che esistono forme di reclutamento  a tempo prefissato, ma è altrettanto vero che il giorno dopo il congedo, il tizio ha un altro lavoro a cui la Difesa si è premunita di pensare; da noi, pur con un auspicabile cambio radicale, sarà davvero così?  Qualche dubbio sovviene, amici miei, non fosse altro per la coerenza dei governi che si alternano.  Né, in tale contesto, sono accettabili alcuni  miserevoli  commenti mediatici che imputano al  militare attuale, a fronte di una reale bassa  busta paga, la richiesta di andare a combattere in Afghanistan solo per incassare più consistenti indennità di fuori area: ci sarà pure qualcuno che per esigenze personali considera anche tale possibilità, ma quel “solone” forse si dimentica che se una Brigata si avvicenda, parte l’intera Brigata secondo degli ordini che non sono parcellizzati, ma validi per tutti.
E’ offensivo per la dignità e l’onore del militare etichettarlo come fosse un mercenario d’avventura, che “va in missione a caccia non del nemico, ma dell’indennità”: forse un po’ più di correttezza mediatica, di alimentazione della materia grigia, e di onestà intellettuale non guasterebbe neppure alla nostra stampa, quando si avventura in campi sconosciuti, e solo per imbrattare pagine e persone.
E, purtroppo, sono gli stessi bravi yesmen che invitano la Difesa a mettere un “avanti tutta” per finire contro gli scogli della cruda, ma ovvia realtà, e a costituire uno strumento militare casereccio, circoscritto al “de noantri”,  fregandosene del resto del mondo e  della sicurezza globale: basta che la Difesa costi meno!

Giuseppe Lertora