Sacco e Vanzetti: era il 23 agosto del 1927 quando furono giustiziati pur non essendo colpevoli. Un’infamia durata quasi un secolo…
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Il fenomeno dell’emigrazione europea oltreoceano è stato forse uno degli aspetti più interessanti del secolo scorso. Interessante sotto il profilo storico letterario e non certo per quanto riguarda il lato umano. Milioni di nostri connazionali nei primi del novecento si sono trasferiti (con non poco sconforto) nelle lontane “Americhe”, alla ricerca di quella terra promessa che veniva tanto narrata in patria. La Liberty Island era un sogno, i primi bagliori della costa una gioia infinita e quella foschia newyorkese da cui si intravedeva alta e sontuosa la Statua del Bartholdi con la fiaccola in mano un agognato punto d’arrivo. Basti solo pensare quali emozioni dovettero provare quei poveri “disgraziati” che – in migliaia – dopo settimane di navigazione “atlantica”, attendevano stremati una tale liberatoria visione. Sollievo, occhi sbarrati, cuore pulsante e un solo desiderio; l’american dream, l’abbraccio con i familiari già stanziati negli States e una nuova vita, di sicuro più dignitosa di quella lasciata nelle nostre martoriate terre.
Il distacco dai paesi natii per molti è stato dolorosissimo e, ancora oggi, il cordone ombelicale che lega le due nazioni è forte e sentito. Nipoti e pronipoti che ricordano, con nostalgia, le gesta dei nonni con fotografie, piccoli oggetti e pensieri che si sono tramandati di padre in figlio. Migranti provenienti da nord a sud ma con una massiccia presenza soprattutto dal meridione che, in centinaia, con valigie di cartone e poche cose addosso erano costretti ad imbarcarsi e fuggire là dove si auspicava un’esistenza un pochino migliore. Tra questi due personaggi che non dovrebbero essere mai dimenticati per la loro incredibile storia che ha riempito pagine e pagine, fatto scorrere fiumi d’inchiostro sulla carta stampata di tutto il mondo.
Stiamo parlando di Ferdinando Nicola Sacco, nato il 22 aprile del 1891 a Torremaggiore in provincia di Foggia e del suo compagno di cella e di morte, il cuneese (di Villafalletto) Bartolomeo Vanzetti, nato l’11 giugno 1888.
Sacco e Vanzetti, meglio conosciuti negli Stati Uniti come Nick e Bart. Il pugliese e il piemontese, celebri – loro malgrado – per la tragica vicenda che li vide coinvolti in uno degli abbagli giudiziari più eclatanti del Ventesimo secolo (uno dei tanti). Ci sarebbe molto da dire su questa ingiustizia divenuta tristemente nota come la condanna politico-razziale per antonomasia; dai lunghi 7 anni di tortura psicologica fino all’epilogo del braccio della morte. Anche loro come tanti erano nostri cari, anzi carissimi connazionali, ritrovatisi nella terra delle speranze in cerca dell’ambito sogno: quello AMERICANO. Anni difficili però per gli emigranti in quel nuovo continente. La cosiddetta “paura rossa” che anticipa di un ventennio il “maccartismo” incombeva sulle scelte delle autorità locali e il ferreo procuratore Mitchell Palmer, tra il ‘17 e il ’20, mette letteralmente alla gogna gran parte dei cosiddetti “ribelli”. Non comunisti, non filo marxisti, non guerrafondai – intendiamoci bene – bastava semplicemente “camuffarsi” da anarchici, radicali o semplicemente non in linea con le direttive del governo dell’epoca per essere mal visti o addirittura perseguitati da Washington.
Tra il 1908 e il 1909 sia Nick (Sacco) che Bart (Vanzetti) salparono dalla nostra penisola in direzione Stati Uniti, senza però conoscersi. Era operaio in fabbrica il primo, commerciante di pesce il secondo e un paio gli anni di differenza all’anagrafe. Solo nel 1916, a seguito di alcuni scioperi e fuggiti in Messico, ebbero modo di unirsi alle manifestazioni pacifiche antigovernative. Tornati in “patria”, terminato il primo conflitto mondiale, furono immediatamente presi di mira dalle Forze di polizia e dal Ministero di Giustizia per poi essere inseriti in una presunta lista nera di sospettati “pericolosi” da monitorare con particolare attenzione. In realtà furono dapprima incastrati per futili reati e poi per il ben più grave duplice omicidio di un cassiere e una guardia giurata. Fu questo infatti l’ignobile capo d’accusa che li portò dritti alla sedie elettrica, il 23 agosto del 1927 nel penitenziario di Charlestown (Comune di Dedham, Contea di Norfolk).
A nulla è servita la confessione di Celestino Madeiros che scagionava completamente entrambi, così come i tanti appelli provenienti da diverse parti del pianeta e da numerosi personaggi illustri quale Albert Einstein. Anche il governo fascista di Roma (ad onor del vero) fino al mese prima dell’esecuzione si è speso molto a livello diplomatico per i due italiani. Fu lo stesso Benito Mussolini infatti con un missiva indirizzata all’Ambasciatore Usa a Roma a chiedere con veemenza al Governatore clemenza, onestà processuale ed infine la grazia. Tutto inutile. Per i nostri martiri la decisione era stata ormai presa e il destino delle loro vite già scritto. Quasi un secolo dopo la loro vicenda ci fu un uomo che disse davanti ai suoi carnefici, pochi istanti prima di venire brutalmente giustiziato, la famosa frase: “vi faccio vedere come muore un italiano”. Costui si chiamava Fabrizio Quattrocchi, orgogliosamente siciliano, perito ingiustamente in Medio Oriente. Oggi ricordando Sacco e Vanzetti potremmo dire che, anche se il fato per loro è stato ingiusto, ci hanno fatto vedere e hanno fatto vedere al mondo, a testa alta, come sono morti due veri ITALIANI!

Io dichiaro che ogni stigma ed ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti” : queste le parole piuttosto significative pronunciate dal governatore del Massachusetts Michael Dukakis, durante un discorso celebrativo datato 23 agosto 1977, cinquant’anni dopo la vergognosa condanna. In questo particolare momento di pochezza “italica” è bello ricordare quanta unione ci fosse stata tra i due, quanta convinzione d’innocenza nei loro animi e su quali alti valori fossero basati quei tenaci ideali, in un epoca – tra l’altro – sicuramente molto più difficoltosa di oggi. Lo si evince dalle strazianti parole rivolte da Nicola Sacco al figlio Dante poco prima di perire:
Si, Dante mio, essi potranno ben crocifiggere i nostri corpi come già fanno da sette anni: ma essi non potranno mai distruggere le nostre idee, che rimarranno ancor più belle per le future generazioni a venire”.

Mirko Crocoli