Bruno e Vera Pelizzari, in una foto scattata prima del sequestro di Bruno e Debbie per mano dei pirati somali
Bruno e Vera Pelizzari, in una foto scattata prima del sequestro di Bruno e Debbie per mano dei pirati somali

Escludo che sia stato pagato un riscatto. l’Italia non paga riscatti”. Con queste parole il 21 giugno del 2012 l’allora ministro degli Esteri, Giulio Terzi rispondeva a chi gli domandava del rilascio di Bruno Pelizzari e Deborah Calitz. Il primo era un italo-sudafricano e la seconda una sudafricana. Erano stati entrambi tenuti prigionieri in Somalia per quasi 20 mesi. I due turisti-velisti erano stati catturati il 26 ottobre del 2010 al largo della costa della Tanzania dai pirati somali. Al momento della cattura erano a bordo dello yacht ‘Choizil’ preso a nolo per un giro nell’Oceano Indiano. Ufficialmente il 21 giugno 2012 il loro rilascio era stato presentato, sia dalle autorità italiane sia somale, come un successo delle forze di sicurezza somale che avevano compiuto un blitz militare riuscendo a liberare i due turisti velisti prigionieri in Somalia. Era chiaro a tutti che per il loro rilascio era stato invece certamente preceduto dal pagamento di un riscatto. Pelizzari avrebbe infatti confidato, nel giorno della liberazione, ad un giornalista che il rilascio era stato il seguito ad una soluzione negoziata che è poi, la stessa cosa. I predoni del mare somali non hanno mai rilasciato una nave o un ostaggio senza prima non aver ricevuto in cambio il pagamento di un riscatto (e lo sappiamo bene, visto che ben tre navi italiane, con relativo equipaggio, hanno avuto la stessa sorte e lo stesso epilogo). Liberoreporter conosce bene i retroscena della vicenda. Per il rilascio di Bruno e Debbie era stato inizialmente chiesto alle loro famiglie in Sudafrica, un riscatto di 10 mln di dollari; poi, di fronte al fatto che non erano in grado di pagare una cifra così alta, si erano detti disposti ad accettare 500mila dollari per poi di nuovo alzare la posta a 4 mln. La persona da noi interpellata, molto vicina a Bruno, durante un amichevole colloquio su Facebook, ci confidò che quando Bruno e Debbie erano stati rilasciati quella che definiva la sua ‘guerra’, era stata vinta ed era finita. Aggiungendo che tutto era stato reso possibile anche grazie all’aiuto dei suoi amici italiani. “Ho fatto abbastanza, ho dato anche spettacolo di me cercando di farli uscire da quel buco infernale e alla fine la cosa è riuscita. Ho dovuto fare in modo di essere disponibile in qualsiasi momento in cui i pirati decidevano di chiamare. Senza calcolare lo stress che mi davano alcuni pazzi mitomani che pensando che potevo avere un sacco di soldi, mi contattavano di continuo”. Ci rilasciò anche un’intervista in esclusiva che noi per rispettare la sua volontà non abbiamo mai divulgato. Oggi però, alla luce dei recenti sviluppi sulla vicenda abbiamo deciso di renderla nota. E’ stata proprio la sorella di Pelizzari, Vera Hecht Pelizzari a rilasciarci l’intervista. Quel vincolo di segretezza è venuto meno, visto che ormai l’epilogo è di dominio pubblico. 

Dirò quanto è stato pagato per il rilascio di loro due, ma per favore non dite dove avete preso le informazioni, ‘HO FATTO UNA PROMESSA CHE NON AVREI MAI DETTO’. Io credo che noi, il resto del mondo, permettiamo ai pirati di avere il sopravvento se non ci consentono di parlare apertamente dell’importo. Soprattutto tra le altre vittime di questo terribile crimine che questi mostri la fanno sempre franca. Come hanno fatto con noi, durante i negoziati, si sono vantati della “quantità reale” che hanno ricevuto per il rilascio dei coniugi Chandler, i due inglesi rapiti. Ma io sapevo che i numeri erano stati gonfiati notevolmente”. “Credo che si sarebbe potuto chiudere e farla franca con 300mila dollari. Questo grazie all’aiuto di un altro sudafricano somalo che mi ha “aiutata” con i negoziati. Mi sono molto arrabbiata con “il mio amico” Hakim, un somalo di Johannesburg. In ogni caso abbiamo finalmente ricevuto la svolta a 500mila dollari ma per favore ‘PLEASE DONT EVER MENTION THAT YOU GOT THIS INFO FROM ME’. Il negoziatore, l’ultimo, dei pirati somali mi ha contattato attraverso il sistema di comunicazione Facebook…

Ecco le parole che scambiammo in quei giorni di giugno 2013

E’ a conoscenza di quanto è stato pagato per il riscatto?

500mila dollari.

Da dove sono venuti i soldi?

Da Italy.

Chi ha condotto trattative?

Io fino alla fine  e avevo quasi  chiuso a 300mila dollari.

Chi ha poi, condotto la trattativa, finendo per pagare di più e in che modo sono stati consegnati i 500mila dollari ai pirati?

Le trattative le ho sempre condotte io. Il ragazzo che ho avuto in Somalia ha confuso un po’ le cose e poi, non volle ascoltare le mie storie e dall’Italia mi hanno detto che dovevo chiudere l’affare,  che ero troppo tempo e perché Bruno era italiano non dovevo ascoltare qualsiasi altra consulenza.

Come si chiamava questo ragazzo somalo?

Abdul Hakim. Era un somalo che ho pagato per andare in Somalia da qui in SudAfrica.

Quindi l’Italia si è messa in mezzo ed ha fatto salire il riscatto?

Si. Io tenevo le comunicazioni. Tutte le mie telefonate venivano però registrate da Italia. Se dicevo qualcosa di sbagliato mi  chiamavano e mi dicevano che stavo parlando troppo. I somali non hanno mai capito che l’Italia ha avuto qualcosa a che fare con l’affare.  Ho detto loro che eravamo riusciti a ottenere i fondi supplementari che stavano cercando.

Quindi nemmeno il governo di Mogadiscio sapeva che l’Italia ha pagato riscatto?

Non lo so

I soldi come li hanno dati a te e come sono stati consegnati e a chi?

Quando l’affare è stato chiuso l’Italia andò in Somalia e ha preparato il luogo di scambio con l’assistenza delle forze di sicurezza somale. Con i contatti del mio somalo, Abdul Hakim e i contatti degli italiani hanno preparato il terreno per il rilascio. Credo che avessero evacuato tutto un villaggio. Il denaro (anche qualcosa in più, nel caso servisse) mi è stato consegnato un giorno prima.

Dove erano contenuti i soldi?

In una valigia. Gli italiani, mi ha detto Hakim, che i soldi li avevano tenuti in sacchetti da viaggio. Bruno e Debbie sono stati scambiati in Somalia, ma il denaro non è stato consegnato in quel momento. E ‘stato dato ad un anziano somalo che per entrambi le parti era di fiducia e quando Bruno e Debbie erano al sicuro al vecchio è stato dato il comando di sbloccare i fondi per i rapitori. Sulla rotta dalla Somalia, gli italiani con B & D, si sono fermati a DjiBouti. Bruno è così fortunato che l’Italia ha fatto quello che ha fatto per lui. Se avessimo dovuto fare affidamento sul Sudafrica sarebbero morti entrambi in Somalia.

[alert type=” info”]Era il 8 giugno 2013. Per non compromettere la fonte, si preferì evitare la pubblicazione.[/alert]

Lo Screenshot della conversazione originale

screenVera-Ferdinando